Il 13 febbraio appena trascorso Henry Rollins compiva quarantaquattro anni.
Henry Garfield, poi Rollins, nasce a Washington, DC il 13 febbraio 1961. Le notizie sulla sua infanzia ed adolescenza non si sprecano: Henry non si è mai mostrato particolarmente interessato a divulgarne altro che aneddoti e singoli episodi, ed ha fin qui sempre rifiutato l’idea di scrivere una propria biografia o affidarne il compito ad altri. Ad ogni buon conto le cronache descrivono Henry come un ragazzo iperattivo al punto da suggerire per lui un trattamento farmacologico che ne imbriglia l’energia vitale e ne stronca l’appetito, fino a trasformarlo in un teenager magrissimo e complessato. La chiave di volta arriva per lui con l’interruzione del trattamento e l’incontro con il signor Pepperman, suo insegnante di ginnastica delle scuole superiori, che lo inizia ai rudimenti del body building: in men che non si dica Henry si appassiona a tal punto da costruirsi in breve tempo un fisico imponente. Questo impressionante cambiamento si riflette anche sulla sua personalità: Henry acquisisce energia e sicurezza, e dopo qualche insoddisfacente lavoro temporaneo arriva finalmente ad individuare nella musica il proprio campo di elezione. Leggenda vuole che a fargli maturare la decisione finale sia stato un concerto dei Ramones, gruppo che Henry ancora oggi adora letteralmente: un ruolo non indifferente gioca anche la sua amicizia di lunghissima data con Ian MacKaye, in seguito fondatore dei Minor Threat e più tardi anima dei Fugazi.
L’ingresso vero e proprio di Henry nel mondo del rock avviene all’inizio degli anni ’80 in forma non esattamente canonica, ammesso e non concesso che ve ne sia alcuna: attivo con band minori nell’area della capitale, una sera Henry riesce a guadagnare lo stage durante un concerto del suo gruppo preferito, i Black Flag, ed impressiona Greg Ginn e soci in misura tale da guadagnarsi un invito ad unirsi a loro in pianta stabile. Per Rollins è un sogno che diventa realtà, e l’inizio di un’avventura che si protrarrà fino al 1986, anno di scioglimento della band. I suoi anni nei Black Flag sono accuratamente documentati dai suoi diari, pubblicati in seguito con il titolo Get in the Van: Henry infatti non suona ma scrive moltissimo, principalmente diari, poesie, riflessioni e testi di canzoni. Il ruolo di frontman dei Black Flag, nei quali egli peraltro riconosce apertamente la leadership artistica di Greg Ginn, insegna a Rollins tutti i trucchi del mestiere per sopravvivere nel mondo della musica, e gli mostra anche un rovescio della medaglia rappresentato da fans a dir poco troppo espansivi e personaggi di contorno che con la musica non hanno nulla a che vedere.
Allo scioglimento dei Black Flag Henry si ritrova, a soli venticinque anni, ad aver maturato un bagaglio di esperienze non indifferente. Continua a scrivere incessantemente e calca i palcoscenici anche da solo, per serate nelle quali recita i propri testi e improvvisa a ruota libera, ma l’amore per la musica non lo abbandona e lo porta ben presto a fondare un proprio gruppo: nasce così la Rollins Band. A questo punto Rollins non potrebbe essere più lontano dall’adolescente insicuro e mingherlino di dieci anni prima: fisico da culturista, espressione perennemente arrabbiata, tatuaggi che gli coprono tutto il corpo, una presenza scenica tremendamente energica. La sua musica riflette in pieno il personaggio: hard rock con influenze blues ed occasionali tocchi funky, tempi medi o medio-lenti a riflettere il suo amore per i Black Sabbath, su cui si dipanano lyrics grondanti rabbia, alienazione e ribellione.
Nonostante le premesse, Henry non è semplicemente un urlatore da palcoscenico: nel corso degli anni ha sviluppato una filosofia di vita non necessariamente condivisibile ma molto significativa ed originale, soprattutto nel mondo del rock. La si può riassumere nella citazione "keep your blood clean, your body lean, and your mind sharp": rifiuto di alcolici e fumo, cura quasi maniacale del corpo, occhi puntati con senso critico su tutto quanto succede nel mondo. L’amico MacKaye ha nel frattempo dato vita con i suoi Minor Threat al movimento Straight-Edge, le cui derive più estreme includono il rifiuto del sesso e sposano spesso la causa animalista ed ambientalista in genere: il cinismo di fondo di Henry lo tiene lontano da simili eccessi ma fa di lui un personaggio se possibile ancora più originale, una sorta di disilluso umanista di fine millennio.
Tra la fine degli anni ’80 ed i primi ’90 l’attività della Rollins Band procede di pari passo con quella del Rollins scrittore: come se non bastasse, Henry si propone sempre più spesso nella veste di spoken-word performer, intrattenendo il proprio pubblico con spettacoli che sono sempre meno recital di poesia e sempre più monologhi sulla follia della società contemporanea, abbondantemente conditi da uno humour spietato che egli dispensa con crescente naturalezza. A questo punto Rollins è anche imprenditore di successo: ha infatti fondato una propria casa editrice (battezzata con la data di nascita del fondatore: 2.13.61), nata per offrire pubblicazione ai suoi diari ma presto allargatasi fino ad includere autori disparati quali Iggy Pop ed Henry Miller; e in seguito attiva anche come casa discografica. Sempre negli anni ’90 prende corpo anche la carriera cinematografica di Henry, che ottiene infatti parti in film quali Jack Frost e Heat, dove recita assieme a due mostri sacri quali Al Pacino e Robert de Niro: non si tratta esattamente di interpretazioni memorabili, e senza dubbio per quanto visto fin qui non è nei panni di attore che Rollins passerà alla storia, ma queste incursioni in un campo non propriamente suo testimoniano ulteriormente di un estremo eclettismo.
Nel 1994 la Rollins Band pubblica Weight, dal quale vengono estratti due singoli capaci di riscuotere un certo successo perfino su MTV: Disconnect, il cui videoclip tributa un omaggio al film Taxi Driver (con Apocalypse Now uno dei favoriti di Henry), e la ballata Liar. Per qualche tempo sembra che questi possano fungere da lasciapassare verso le charts, ma la proposta musicale della Rollins Band nel complesso rimane troppo lontana dall’orecchiabilità richiesta dal grande pubblico: il successivo album, Come In and Burn, non ripete il successo del precedente e riconsegna il gruppo al suo ruolo di cult band in ambito underground. L’album appena citato rappresenta anche il capolinea della prima Rollins Band: ritenendola giunta alla fine della sua vita creativa, Henry la scioglie e ne costituisce una seconda incarnazione associandosi al trio rock-blues Mother Superior. La prima fatica dei quattro reca il titolo Get Some Go Again e vede la luce nel 2000: si segnala in particolare per Illumination, bel brano trainante che comunque non compie il miracolo di scalare le classifiche. Queste, del resto, sono l’ultima delle preoccupazione per Henry: da tempo privo di illusioni sulle sorti commerciali della propria musica, egli si accontenta di scrivere ed interpretare quello che più gli si confà senza curarsi più di tanto del numero di copie vendute.
Il terzo millennio ci regala un Henry Rollins ormai pienamente maturo, al quale il raggiungimento dei quarant’anni non pare togliere un briciolo di energia. Fedele al proponimento di vivere la propria vita intensamente, Henry sembra posseduto da un fuoco sacro che lo conduce a viaggiare, scrivere, salire su un palco ogni volta che se ne presenti l’occasione, ironizzare sul mondo intero e su se stesso prima di tutto, dare il 100% per qualunque causa o impresa che conquisti il suo interesse. Solitario, cinico, accusato spesso a torto di individualismo sfrenato e misantropia, Rollins però è anche in prima fila quando si tratta di visitare i campi militari americani in Afghanistan ed Iraq; e si fa ad un certo punto promotore di una campagna tesa a rivedere la sentenza di condanna nei confronti dei cosiddetti West Memphis Three, tre ragazzi imprigionati forse ingiustamente per un crimine orrendo dal quale si sono sempre dichiarati estranei. L’impegno sociale non lo porta comunque ad ammorbidire il suo stile, che si fa caustico ed incandescente in particolare quando il bersaglio sono la stupidità e la mediocrità che obnubilano l’americano medio. Ormai pienamente a proprio agio nelle vesti di stand-up comedian, Henry si rende protagonista di interminabili tour nel corso dei quali delizia le platee sparando a zero su vizi e debolezze dell’uomo occidentale moderno, senza peli sulla lingua: migliore testimonianza disponibile ne è la serie di CD che va sotto il titolo di Talk is Cheap, fin qui arrivata al capitolo numero quattro.
E’ difficile rimanere imparziali di fronte ad Henry Rollins, e questo va sicuramente a suo onore: siamo di fronte a quel genere di personaggio che è solito attirare fans sfegatati o detrattori altrettanto convinti, senza mezze misure. Non certamente universale per background e filosofia di vita, Rollins riesce però a proporsi in maniera talmente caratterizzata e diretta da conquistarsi un pubblico probabilmente più ampio e trasversale di quanto ci si possa immaginare: vent’anni fa parlava ai suoi coetanei, oggi continua a riempire gli auditori dei college anche se potrebbe essere il padre dei ragazzi che li frequentano… ai quali, per inciso, non lesina critiche per la loro pigrizia ed incapacità di avvalersi degli strumenti a disposizione per aprire gli occhi sul mondo. Certamente il Nostro non è privo di difetti: la flessibilità senza dubbio non è tra i suoi punti forti, e dalle sue filippiche ancor più che dai testi delle sue canzoni emerge in sostanza (e mascherata solo a tratti da sferzate auto-ironiche) un mondo diviso tra chi la vede come lui e chi ha torto. Nondimeno questo è, a ben vedere, un tratto caratterizzante di tutte le personalità forti e sicure di sé: e tra la miriade di auto-proclamatisi maestri di pensiero che ci affliggono quotidianamente, Henry Rollins è senza dubbio alcuno uno dei più interessanti. Cantante, scrittore, poeta, stand-up comedian, viaggiatore, attore, editore, icona del rock alternativo, occasionalmente dj radiofonico o conduttore di talk-show televisivi… ce n’è a sufficienza per augurarsi che gli anni non intacchino la sua prorompente voglia di esprimersi.
Henry Rollins
Chi abbia letto miei articoli in passato si sarà presumibilmente imbattuto in recensioni di materiale recante la firma di Rollins, e magari vi avrà prestato un’attenzione particolare alla luce del debito ideale che nel mio profilo biografico dichiaro di aver contratto con lui per "ispirazione intellettuale" fornitami in questi anni. Ebbene, al di là dell’opinione di chi scrive è difficile negare ad Henry Rollins un posto non del tutto secondario nella storia del rock , ed uno di primo piano in quello della cultura underground americana degli ultimi due decenni. Il mio obiettivo nei paragrafi che seguiranno sarà quello di tratteggiare brevemente la sua figura, purtroppo poco conosciuta in Italia (ma non nel resto d’Europa, dove l’inglese è seconda lingua nei fatti e non solo nei proclami dei ministri dell’istruzione) e spesso ridotta alla sua sola attività nel campo della musica.
Fabrizio Claudio Marcon