KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

La bimba del peccato

6 min read

La bimba del peccato
(terzo classificato – sezione Horror)


Ci fu almeno una cosa che Paul Sheldon, il celebre scrittore della saga di Misery, non seppe durante il suo agghiacciante soggiorno nella casa di Annie Wilkes. Visse da lei abbastanza per essere tarpato, per essere amato in un modo raccapricciante e morboso e per conoscere l’album dei ritagli, quel libro pazzesco che raccontava tutte le oscenità commesse dalla sua carnefice…
Ma su quel libro Annie non scrisse mai quello che accadde al Boulder Hospital, al reparto maternità, in una fredda giornata di gennaio…

Era lì, con il suo camice bianco e uno strano sorriso sulla grande faccia di pietra; osservava i bimbi disposti nelle culle attraverso il vetro, aspettando che la donna dalla lunga vestaglia grigia se ne andasse, che la smettesse di osservare sua figlia e di pregare. Credeva che sarebbe impazzita se quella sporca burba lì davanti non se ne fosse andata. Pregava da mezz’ora, quella strana donna, stringendo un gigantesco crocifisso tra le mani. Muoveva le labbra con impeto febbrile e le pupille schizzavano dal crocifisso e alla neonata e viceversa. Annie non aveva mai visto una donna in quello stato.
"Oh Signore perdonami, ho peccato, ma giuro che il frutto del peccato potrei sacrificarlo a te, oh Signore per te io sacrificherei il mio Isacco se solo ne avessi la forza e tu lo volessi, oh sono perduta, dannata…"
Annie la guardò e si sforzò di rivolgerle un sorriso, sebbene i suoi occhi restassero spenti.
"La accompagno in camera signora, vuole? Lei è molto stanca e la bambina dorme tranquilla, non darà problemi…"
La donna si lasciò condurre in camera senza mai cessare il suo salmo allucinato.
Povera bambina…, pensò Annie osservando la bimba con la coda dell’occhio mentre lasciava la stanza. Sentiva un groppo al cuore. Oh povera bestiolina, oh così piccola…
"Vuole una camomilla?", domandò alla signora quando l’ebbe aiutata a distendersi sul letto. Quella scosse la testa – gli occhi sul crocifisso, gli occhi sempre sul crocifisso – e lei annuì. "Bene allora. Si riposi", disse. E lasciò la stanza.
Attraversò il corridoio e tornò alle culle. La figlia della strana donna dormiva nel suo lettino, le manine accanto al volto pallido; sulla culla le era stato attaccato un bigliettino con il nome scritto in lettere rosa. Non il nome intero, ma un diminutivo, contornato di fiorellini colorati. Annie pensò che non fosse stata la madre ad appiccicarlo lì, la madre sembrava (perduta, dannata) troppo scioccata per averlo fatto, doveva essere caduta in una crisi post-parto perché da ore non faceva altro che pregare e lamentarsi del suo peccato. Il peccato che ora dormiva beato nella culla.
Povera bestiolina, pensò Annie, di nuovo. Avrebbe sofferto con una madre come quella. Non ora, forse, ma quando sarebbe cresciuta…
(il frutto del peccato potrei sacrificarlo a te…)
(per te io sacrificherei il mio Isacco…)
Davanti al vetro il volto di Annie si contrasse in un’espressione di dolore e per un momento parve (spegnersi) impallidire e rilasciarsi, tutti i muscoli molli e inattivi. Rimase così qualche istante, pensando alla donna e alla bambina, alla piccola Isacco che giaceva immobile nel lettino. Pensò che sarebbe stata una povera bestiolina a lungo, se non per tutta la vita, e quando si risvegliò da quel suo shock momentaneo, stringeva e riapriva le mani in gesti convulsi. Pensò che ci avrebbe pensato lei, oh sì. Lei avrebbe fatto in modo che la bimba non dovesse mai soffrire.
E già correva verso il suo armadietto. Avrebbe portato a termine il suo compito in fretta e nessuno si sarebbe accorto di niente. Fece scattare la serratura dell’armadietto con la chiave che aveva nel camice ed estrasse una piccola bustina arancione.
Ecco qui bestiolina sofferente… Annie ti aiuterà. Oh sì, piccolina, Annie ti salverà da tanto dolore…
E nel pensarlo provò una stretta al cuore più forte della precedente. Si sentiva sempre così, quando aiutava gli altri. Era rischioso farlo, ma le faceva bene aiutare le persone in difficoltà, si sentiva utile e buona. Sarebbe durato tutto pochi minuti e avrebbe salvato una vita. L’idea quasi la commuoveva. Si precipitò di nuovo nel reparto maternità e di nuovo osservò la bambina, non più da dietro il vetro, però, ma da vicino.
Ecco fatto. Un momento solo piccolina, un momento e la tua Annie…
Strappò la bustina arancione sollevando un piccolo spruzzo polveroso e in quel mentre la bambina aprì gli occhi. Annie si ritrasse quasi, innervosita da quello sguardo così profondo e così… Strano? Scosse la testa, cercando di scacciare quel pensiero. Quella che aveva davanti non era che una bestiolina in pericolo. Evitò dunque di guardarla negli occhi – la metteva in soggezione, terribilmente – e si rovesciò il contenuto della bustina in un palmo, preparandosi ad avvicinarla al naso della piccola.
Ecco… prendi questa e dormirai… dormirai senza dolore, senza male…
Ed ecco che il veleno, la "sostanza infetta" come l’avevano chiamata i giornali, era a un palmo dal viso della bimba, a pochi centimetri dalle narici che l’avrebbero respirata e di respirare avrebbero cessato per sempre e…
E una finestra si spalancò all’improvviso, spruzzando via la polvere dal palmo di Annie e mandandola a spargersi sul pavimento, minuscoli e fatali granelli argentati. Annie si voltò scioccata verso la finestra, incredula che si fosse aperta quando lei l’aveva chiusa solo qualche attimo prima.
"Sporca burba", mormorò al battente che ora sbatteva contro il muro in tonfi ritmati, mentre la tenda sventolava all’interno della stanza come uno spettro. "Ora dovrò risciacquare". Si allontanò dalla culla e si chinò a raccogliere la polvere da terra quando una nuova folata di vento la mandò a sparpagliarsi da un’altra parte, rubando un ringhio rabbioso alla donna. "Ma che cosa succede?!", abbaiò.
Si levò in piedi e si avvicinò tenace al punto dove la polvere si era sparsa ed ecco che una culla le finì addosso, veloce come un bolide; la bambina che vi giaceva dentro cominciò a piangere terrorizzata. Annie gemette, spalancando gli occhi e osservando la scena inorridita. La lampadina della stanza esplose, schizzando minuscoli cocci di vetro nella stanza e nelle culle. Alcuni di essi colpirono Annie in faccia, sfregiandola. Poi tutte le culle presero a muoversi, tutte la accerchiarono impedendole di raggiungere la polvere.
Tutte eccetto una. La culla della bambina che aveva tentato inutilmente di avvelenare se ne stava ferma immobile nel suo angolino. E da lì la neonata la stava guardando, gli occhi feroci e vivi come mai Annie li aveva visti ad una bambina.
La bambina dorme tranquilla, aveva detto alla madre, non darà problemi. Ora, con lo sguardo pieno di orrore, seppe che tutto quel trambusto era stato provocato proprio da lei.
"Sporca burba", mormorò di nuovo Annie, stavolta rivolta alla bambina, "non la passerai liscia". Non finì di dirlo che un sonaglio colorato appeso a una culla si staccò da essa e la colpì tra il naso e l’occhio, strappandole un grido di orrore. Poi, senza lasciarle tregua tutti i biberon si sollevarono dal tavolino al lato opposto della stanza e le finirono addosso, veloci e folli come bolidi. Annie cercò di schivarli, si parò con le mani, fu colpita al viso e al corpo. Poi, gemendo, si fece strada tra le culle, cercando di aprirsi un varco.
Prega giovane madre… prega, tua figlia è un demonio, pensò, rivolta alla donna col crocifisso. Poi riuscì a raggiungere la porta d’entrata e gettò uno sguardo dietro di sé.
Pensò che avrebbe ucciso quella bambina strana. Doveva essere una strega, pensò, perché lei aveva visto i suoi occhi cambiare, seguire la traiettoria dei biberon mentre quelli le si gettavano addosso.
"Strega", disse. "Sporca burba strega"
La osservò un solo istante ancora e di nuovo si disse che l’avrebbe uccisa. Ma non lo fece mai. Quella bambina l’aveva terrorizzata.
Provò un tuffo al cuore il giorno dopo, quando le infermiere trovarono in disordine l’intera stanza. Nessuno le chiese spiegazioni, ma lei non si avvicinò più a quel demonio di bambina, osservando da quel momento solo da lontano la culla. E quel bigliettino attaccato, con il diminutivo del nome scritto a lettere rosa:
"CARRIE".

Giorgia Tribuiani

Altri articoli correlati

Commenta