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L’ultima estate

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a mio nonno Guglielmo,
che non ho avuto il piacere
di conoscere di più

L’ultima estate

Auto di media cilindrata, sabato notte. Meglio, domenica mattina. Quattro mamme tirate fino allo spasmo. Alexia in sottofondo. Rossetto-autoreggenti-seni in trasparenza. Monica dietro, scomposta sul sedile. Riavvolge il filmato delle sue percezioni. Spiaggia, qualche ora prima. Due volte. Lentamente, la seconda. Il dondolio delle onde ritmava i movimenti. La salsedine profumava il sudore del suo compagno.
Federica arrotola uno spinello. Aspira, una, tre volte. Discreto, al solito. Lo passa a Cinzia, ubriaca. Ha cominciato a bere al ristorante, accelerato di Martini tra i cubi. Anche mia madre, al volante, è ubriaca. Attende il suo turno, aspira profondamente. Guidare piano sarà sufficiente, immagina mentre la droga entra in circolazione.

L’incubo delle quattro mamme, sempre lui. Il peggio, meglio, il peggio del peggio. Tutto quello che avresti voluto fare e che hai fatto in un filmato sub-celebrale. Tutte le notti. Interpreti principali: quattro mamme. Ma mica quattro mamme qualsiasi, nada. La TUA mamma, e le mamme dei tuoi migliori amici. Quelle che preparano lo spezzatino la domenica mattina, quelle che fanno le offerte alle missioni e che vanno in bicicletta al mercato coperto. Sempre loro, le mamme che ti hanno cresciuto, quelle ti hanno provato la febbre una novantina di volte.
Protagoniste assolute. Bere, spermare, cannarsi, live nella tua corteccia celebrale. Una vendetta naturalistica, immagino, Spencer o Mendel. Jung, magari Alberoni.

Mi alzo. Fa caldo, è quasi l’una.
Partire, andarsene. Correre via.
Mi piace pensare che sia l’ultima.
Lo diciamo sempre, tra noi.
L’ultima estate.

Contatto immediato, telefono.
Claudio. Compongo, squilla. Risponde.
Ciao, Claudio, partiamo. Sì, ma sai….., Valentina.
VALENTINA? Il Claudio la conosce da quattro-cinque secoli. Ha sempre rimandato. A conoscerla, rimandato a invitarla, a goderla, rimandato a lasciarla. E dire che le emozioni sono inversamente proporzionali alle novità, forse alla realtà. Ha prenotato, il bastardo, ha prenotato due settimane in un’isola tropicale. Duemilionitrecentomila a testa, tutto compreso, camere-cene-animatori-colazioni-discoteche-aerei-feste-mare-negozi-ombrelloni. Il bastardo, inclusa anche la sabbia. CLAUDIO, SEI SICURO? Tu e Valentina? Non risponde nemmeno, Monica in sottofondo. E’ pronto.
Non ci posso credere, non ci voglio credere.
Attacco.

Rivedo Monica sulla spiaggia, la gonna tirata sulla vita, il reggiseno slacciato, Monica sopra un trentenne tutto muscoli e niente cervello, avrebbe detto più tardi, alle altre. Si muove, piano. Sopra e sotto, avanti e indietro. Parole cancellate nel vento, corpi in ricarica per l’orgasmo finale.
Il peggio del peggio, e dire che alle elementari mi veniva a prendere tutte le mattine.
A scuola.

Andare avanti, selezione naturale. Sopravvivono solo i migliori, o erano i più adatti?
Ricevitore, ancora. Compongo un numero formato milioni di volte, pronto.
Cinzia. Buonasera signora, c’è suo figlio? Un attimo, guardo. Il sogno continua a mietere vittime, Cinzia e il suo spinello, Cinzia e gli autoreggenti con quattro centimetri di pizzo. Tutte le sere.
Pronto, Carlo. Finalmente! Allora? si parte? Ci stavo pensando… Sai c’è l’esame per l’ammissione al master americano, quello da trentasettimila dollari. Passerò un agosto di merda, ma devo studiare, ne vale la pena. Il mio futuro è più importante della solita vacanza.

Caldo. Sudore, afa.
L’ultima estate.
Alla grande.
Calma, stare calmi. Adesso Simone mi viene a dire che l’hanno assunto alla Popolare di Maranello, che non gli danno le ferie, e facciamo una cover di Paoli.

Niente di tutto questo.
Simone. Suona. Suona. Suona.
Suona. Suona. Suona.
Segreteria. Federica, la sua voce… la stessa dell’incubo. Bar della discoteca, ride con qualcuno mai visto. Luci soffuse, lo sconosciuto palpeggia la gamba scoperta. Quanti panini alla nutella mi ha preparato mentre studiavo con tuo figlio? Fa finta di nulla, si lascia toccare. Si scambiano i numeri di telefono, si incontreranno con calma durante la settimana.
Beep. Pronto, Simone, ci sei? Se ci sei rispondi… Simone? Ho bisogno di parlarti… prendi su…
Federica. Ancora. Ciao Raffaele. Buongiorno signora, Simone? È andato a pescare con suo padre. Erano anni che non andavano insieme. Puoi provare al cellulare, se vuoi. D’accordo, signora. Già che ci siamo, la mamma è in casa? Certo la chiamo. Mamma, MAMMA……

Codici genetici shakerati in un deserto di speranze.
Sudore. Dietro-davanti-sopra, dovunque. Sempre.
L’ultima estate.
Alla grande.
Almeno saperlo, quand’è l’ultima estate.
Un segnale, un’indicazione, stipendiare qualcuno con un cartello al casello di partenza. Sul cartello una scritta a caratteri cubitali: "Questa è la vostra ultima estate". In modo che non ci si possa sbagliare, che non ci siano dubbi, né prima né dopo.

Noi lo dicevamo sempre, qualche anno prima. Prima serata, automobile di papà. Corona in sottofondo. Noi quattro, finestrino elettronicamente disceso. Un vecchio lo incroci sempre, prima o poi. La musica lo infastidisce da lontano. Si volta, mi sporgo.
Aspetto che i suoi occhi impauriti incrocino il mio sguardo, uno sguardo cinquant’anni più giovane del suo. Mentre la macchina sfreccia, mentre Corona ulula aggettivi anglosassoni, io e il vecchio ci guardiamo, ci studiamo, in una sequenza millesimale che ricorda un film di Leone. I miei occhi sui suoi, fino all’ultimo, poi con tutta la cattiveria che mi circonda, con la rabbia catalizzata dall’alcool e dalla droga, esplodo contro le stagioni passate, contro il tempo che non tornerà, grido contro la sua pelle seccata dal tempo:
"Ricordati che è l’ultima estate!"
L’auto sfreccia via, il contatto si frantuma.

A volte il vecchio agitava un braccio contro di noi, un braccio avvizzito contro la nostra musica, la nostra velocità, le nostre fiche, l’alcool e la droga, contro le nostre speranza e la nostra età.
Altre volte (il vecchio) rimaneva in silenzio, pensieroso, meditava una vendetta indiretta. Forse una strage del sabato sera. Aspettava di leggere il Carlino, la mattina successiva. Prima pagina, una gigantografia. Quattro giovani spiaccicati contro un albero della statale. Otto colonne da leggere e da commentare con gli amici in bocciofila.

Agosto. Sono solo, lontani gli amici.
Lontane le fiche, scomparse per avventure più eccitanti.
Scomparse le mamme, distese sotto ombrelloni a immaginare sensazioni che vivranno solo nei miei sogni.
Lontano da tutto, disperso in un mare di caldo e di niente. A pensare a stagioni che si susseguono e a cui non riesco a conferire un significato qualsiasi.

Altre volte (il vecchio) pensava che avevamo ragione, che ne aveva vista anche troppe per i suoi gusti, che quella sarebbe stata davvero la sua ultima estate, e in un silenzio interrotto da qualche singulto spirava in una tranquilla notte d’agosto.

luglio 1998
Raffaele Gambigliani Zoccoli

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