Il mito è indiscutibilmente una creazione dell’uomo, ma anche un’esigenza primaria e ancestrale. L’invenzione degli dei, la spiegazione del sovrannaturale, il tentativo di trovare un perché a ciò che è misterioso e ignoto, il bisogno di creare un passato al di sopra delle conoscenze e della stessa cultura, concorrono alla creazione del mito.
La mitologia non è soltanto appannaggio dei popoli classici, tantomemo dei grandi filosofi ma è quanto di più radicato esiste nella cultura popolare; gli stessi classici, i greci e i latini, come ancora più indietro nel tempo l’uomo agli albori della civiltà, costruiscono le proprie mitologie come una sorta di ponte fra la realtà del quotidiano ed il più complesso e intangibile mondo delle idee, del soprannaturale e dell’anima.
Ognuno di noi ha i propri miti; costruiamo una mitologia personale spesso gelosamente custodita per farvi continuamente riferimento: sono i nostri idoli, i nostri modelli, il nostro universo popolato da esseri immaginari ma possibili che ci aiutano o contro cui combattiamo. Anche i nemici possono appartenere alla nostra personale mitologia.
La mitologia personale come la filosofia, l’arte del vivere e la scienza delle soluzioni immaginarie, prescinde dalla cultura. Anzi, spesso la cultura costituisce una barriera che spinge la razionalità a dominarci nelle scelte e nelle modalità con cui ci rapportiamo con gli altri esseri umani, fingendo di non credere agli esseri immaginari.
Un aspetto affascinante della mitologia sono i personaggi in qualche modo dotati di proprietà soprannaturali che vivono nelle storie e leggende necessarie alla sopravvivenza del mito.
Si tratta di un bestiario complesso ed estremamente articolato, sempre diverso: dipende dal periodo storico, dalla cultura, la civiltà, ma sempre incompleto.
Nel suo Bestiario, Cortàzar presenta una breve antologia di esseri immaginari del tutto impalpabili in quanto convivono dentro i personaggi delle storie; Borges nel suo Manual de zoologia fantàstica concentra l’attenzione sulla popolazione di esseri mitologici che mantengono una connotazione zoologica: è il caso di animali sognati, da Kafka, Lewis e Poe, animali della mitologia nordica e normanna, le bestie medievali e greche, quelle che troviamo nella Commedia di Dante.
Nelle sue biblioteche e nei suoi atlanti anche Borges è incompleto, tralasciando il misterioso mondo vegetale della botanica parallela. E’ un’invenzione letteraria di Lionni fatta di una curiosa popolazione vegetale in cui piante come il tirillo fossile o le mollette di bosco scompaiono se osservate e vivono aggregandosi in numerosissime famiglie.
Come gli esseri che esistono in natura, anche gli esseri immaginari mutano secondo leggi -differenti ma altrettanto rigorose – che potremmo definire evolutive. Poiché queste bestie fantastiche esistono finché l’uomo ne trasmette memoria, per alcune specie potremo dire che si stanno rivelando, nel corso dei secoli, praticamente immortali.
Il fatto che si decida di credere soltanto a ciò che possiamo vedere, è una questione strettamente personale, certo è che pone seri vincoli alla nostra comprensione. Gli esseri immaginari esistono mantenendo una precisa identità: il drago, l’unicorno o le fatine di Peter Pan non potrebbero essere diverse, possiamo parlarne, immaginarli a nostra volta o rappresentarli ma non possono cambiare, allo stesso modo di un cane o di un lupo.
In questo senso l’Aleph costituisce una scoperta sensazionale, descritto nel modo più esaustivo che io conosca nel racconto omonimo di Borges.
Non si tratta di un essere immaginario in senso stretto ma piuttosto un vero e proprio contesto: un punto -e ne esiste più di uno – che contiene ogni cosa. Non si tratta del riassunto delle cose, ma di ogni cosa nella sua completezza, la coesistenza di tutto accuratamente sovrapposto e trasparente, così da poter vedere distintamente ogni elemento come entità autonoma.
L’Aleph contiene anche noi stessi, quello che è stato, ogni luogo e anche il testo che state leggendo, tant’è che Borges lo descrive agilmente in poche pagine seppure possiamo trovarvi l’intera narrativa di Borges, la Biblioteca di babele e gli specchi, la sua vita e ogni cosa immaginata fino ad allora.
Possiamo trovare un Aleph nei punti più impensati della terra, dentro una pietra o nell’angolo buio di una cantina, probabilmente senza vederlo. Nemmeno Borges scopre l’Aleph da solo ma gli viene rivelato da Carlos Argentino, un poeta di bassa lega retorico e formale che ne fa pessimo uso; spendendo tutta la vita per descrivere in versi minuziosi l’intero pianeta.
Non credo comunque di conoscere qualcuno che -seppure gli mostrassi un Aleph – ne saprebbe fare un uso migliore di Carlos Argentino. E penso che tutto sommato non serva perché una verità così assoluta finirebbe per farci rinunciare a qualsiasi iniziativa personale, diversa dall’osservare l’Aleph.
Una cosa va ricordata. Una piccola parte di Aleph è dentro ognuno di noi, lo costruiamo attimo dopo attimo e l’Aleph, incompleto e parziale, alimenta la memoria che contiene tutti i nostri passati, distinti ed innumerevoli. Una piccola porzione di verità universale, la verità cui finora abbiamo assistito.
L’Aleph
Enrico Miglino