Piacevole sorpresa, finalmente, dopo lunga parentesi, è una bella mostra di G. Franco Passoni, figurativo simbolista, ma che la mancata aderenza a vieti schemi e tematiche di ‘ismi’ alla moda, sia pur effimera, quali citazionismo e mitologismo, hanno reso più schivo e appartato, tutto dedito a "provare e riprovare delle cose il dolce aspetto", per dirla con Paolo Uccello, chè seguire il dettato del Cennini gli è superfluo, per la disinvolta padronanza di tecniche e mezzi espressivi, in pittura, tecniche calcografiche, e tecniche miste su carta. Presenta la griffe del grafico di razza, soprattutto nell’acquaforte, in cui la sicurezza di un segno fluido che traccia i contorni di cose e personaggi, dettagli di paesaggi di rara finezza, emergente nella valentìa, con cui delinea contorni suadenti di delicate nature morte.
In pittura, i colori sobri esprimono appena le forme degli oggetti, sottoposti ad un’indagine sensibile, che pur rasentando l’illusionismo e il trompe-l’oeil per la rara perizia dell’autore, nulla hanno a che spartire con l’algido realismo più vero del verosimile, sembrando ispirarsi alle nature morte seicentesche. Certi dettagli e le silhouettes dei personaggi, la resa lenticolare di entità naturalistiche sembrano presentare wahlverwandschaften, affinità elettive con quelle urpflanzen, piante primigenie, elaborate dai trattati scientifici di Goethe che, con la teoria delle ‘Ombre colorate’ dimostrava efficacemente di sapere il fatto suo in arte. L’eleganza e le strutture infinitesimali di questi paesaggi presentano valenze oniriche della pittura simbolista, ma la cornice fiabesca, in cui s’intravvede la sagoma di antiche dimore, il sapore mitologico su cui si stagliano personaggi dai connotati classici, sembrano di sapore manierista, pur traducendo con acribia lenticolare varietà di fiori e vegetali della ‘famiglia d’erbe e animali’ nella temperie del Gotico internazionale, per la rara abilità che nulla ha di fotografico, essendo il dato sensibile trasfigurato in entità numinosa, rivelata da una cratofania, a opera di un dio nascosto (Goldman) o di un’epifania, in cui assistiamo ad una prodigiosa rigenerazione, come l’intese Klee in ‘Teoria della forma e della figurazione’, per tradurre la germinazione in fieri in particolari naturalistici, all’insegna del lirismo. Certe rese simboliche del dato sensibile, sempre risolte in sapienti modulazioni cromatiche, con la pacatezza della pittura tonale, con una luce radente che scivola sugli oggetti, sfiorandoli appena senza indulgere all’accattivante, ne’ al lezioso, animando le campiture leggere. Sono avvincenti queste nature, che meno morte di così non potrebbero essere, anche se oggetto della sua analisi sensibile sono frutti, oggetti umili e dimessi, tradotti in lacerti guizzanti del dato sensibile, animati da fiotti di luce, che sembra affiorare da una polla di chiarore, per stemperarsi nel crogiolo cromatico, in stesure che sono veli, appena percettibili. E son frutti vividi, a balzare in primo piano, a catturare la nostra attenzione, certe mele, frutto iniziatico e della tentazione, anche se mancano i fatidici albero della conoscenza e relativo serpe che s’attorca in spire tortuose, chè queste son mele moderne, intrise di un verde acido che spicca, in mirabile complementarietà sull’indaco della carta, spiegazzata con voluta nonchalance, di l’artifex optimus, per dirla con De Chirico, se rendere il gioco plastico di micro-convessità e concavità della texture in un sapiente alternarsi di luci e ombre cromatiche, valorizzando le pieghe, le increspature, facendo anche emergere dal ritmo serrato dei fori della carta dell’involucro, spiragli di luce che si propagano sulla campitura impalpabile, come una carezza, in risalto con l’intelaiatura lignea dela cassetta.
"Il Tovagliolo Giallo" è una macchia ocra, che il "fuoco" della composizione, che esalta il ripiano ligneo del tavolo, cui fanno da contraltare le foglie giallastre della natura morta, in contrasto con il verde cupo di un’altra varietà fitomorfa, nel vaso, proiettando un gioco d’ombra vellutate e sinuose delle pareti.
Ma l’opera più avvincente, tra le belle nature morte, è un serto di mappe, carte, progetti, fogli arrotolati, serti di carta, talvolta dall’aspetto volutamente vissuto; dal colore stinto nelle pieghe dell’involto, da cui s’intravvedono enigmatiche, anctiche grafie tradiscono lo studio di un architetto, di un archeologo o di un geografo e proprio quelle mappe sono un invito al viaggio, anche se intorno al proprio tavolo, come nel vagabondaggio erudito nei libri di De Maistre, o in imprpbabili mari esotici di Salgari. In queste carte l’autore dà prova di grande spirito d’osservazione, nella resa della ‘grana’ della carta, sottoposta ad indagine affettuosa, facendo emergere vari gradienti di tattilità, in una sinestesia, in cui ci fa captare i lati riposti della materia, avvertire l’odore che si sprigiona, il rumore. se la si tocca, nel velo di polvere depositato, mentre si stinge il colore, rivelandone l’età. E’ un invoto questo, ad andare oltre l’apparenza dell’oggetto, apparentemente umile, riscattandolo dalla banalità cronachistica, per tradurlo in poesia.
Le entità verdeggianti dei paesaggi serbano l’incanto e la suggestione della cornice naturale di Lorrain, Poussin, e la magia del Manierismo, per quell’aura che circonfonde personaggi, animando paesaggi, che sembrano trasfigurati da una musica arcana, come nel Sogno scespiriano, o nel Flauto Magico mozartiano, come nelle raffinatissime opere di Niccolò Dell’Abate, cesellatore di incantevoli fiabe, lievi entità oniriche, sfiorate da personaggi mitici e animali e varietà botaniche, che sembrano sgusciare dalle illustrazioni dei codici miniati e degli incunaboli e dalle metope delle chiese romaniche, fino a sfumare nell’allegoria e nel sogno. Certe minuzie grafiche dell’impareggiabile talento di Passoni, per la sublime preziosità microstrutturale, divengono ‘Tranche de Vie’, come le miniature naturalistiche delle "Tres riches heures" dei De Limpourg; se fosse nato alcuni secoli fa, avrebbe fatto parte della cerchia dei miniatori, per la Bibbia di Borso D’Este o avrebbe illustrato il ‘De vegetalibus’ di Alberto Magno, mettendo in risalto particolari minuti , trasfigurati liricamente, come Properzia De’ Rossi aveva tradotto in favola e magia minuscoli frammenti di corallo. Del resto la grafica, pur avendo radici nordiche, da Martin Schongauer a Duerer, fino alle cesellature armoniose dei Fiamminghi, dei quali rammentiamo il sublime Stradano, il raffinato Bruegel del ‘Topo e la rosa’, ma anche la toccante levità degli stupendi disegni d’erbe e animali del Pisanello. In tempi a noi più vicini, rammentiamo la splendida lezione del Grazioni e del Fontanesi, allievi del Fattori.
La luce che pervade gli olii, soprattutto delle nature morte son quelle della Scuola italiana di Parigi e per la solarità, filtrata dalla pittura tonale, rammenta alcune opere di un esponente della Scuola romana: Antonio Donghi, mentre per la resa di nature morte, penso a Guarienti e a un certo Guerreschi. Sicuramente Passoni, per la levità del disegno, l’ispirazione fantastica ma imbrigliata da un ‘ordo rationalis’ rientra nell’alveo degli artisti di razza, che delle peculiarità del segno han fatto il clou della loro inventiva; citerei Giuseppe Viviani, Vespignani. Potrebbe dedicarsi agevolmente anche all’illustrazione di libri, in primis di poesie Doc.
Gianfranco Passoni
Giuliana Galli