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Ritratto d’artista: Cristina Roncati

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Ritratto d’artista: Cristina Roncati

Dell’eclettismo di cristina Roncati si è avuta riprova nella recente mostra tenuta dall’artista con una scelta di opere ascrivibili a diverse fasi della sua produzione, in un itinerario a ritroso nel tempo. Non solo spiccavano alcune delle grandi sculture in gesso, cemento e terracotta patinata, dall’anatomia slanciata, munite di accessori, munite di accessori di moda che avevano sfilato sotto le volte della scenografica sala ex-Sip del Comune di Modena. Queste figure longilinee. d’impianto scenografico, sono il fulcro della maturità stilistica dell’autrice, che nell’inesausto sperimentalismo stilistico e materico ha dato riprova della sua poliedricità in pittura (non dimentichiamo che era allieva di Tino Pelloni, esponente del Chiarismo della Scuola di Burano) in grafica, scultura e oreficeria. Ma il clou della sua creatività si ha sicuramente in scultura. Fanno parte della sua attuale ricerca artistica le avvincenti figure in cui il volume si smaterializza nel fulgore dell’oro, in eleganti movenze sinuose, nell’impalpabilità di una struttura vivificata dalla trasparenza e dalla luce, che rammenta l’alto magistero di Medardo Rosso, che intaccava le fattezze dei suoi personaggi all’insegna della luce, come protagonista dell’impressionismo, ed è sopratutto "Donna che ride" dove si ravvisa un’affinità con le ultime creazioni fulgide di Cristina, sopratutto quella toccante "Bambina" le cui eleganti modulazioni plastiche sembrano della temperie simbolista. Della "Bambina", per l’interessamento di Ilario Tamassia che rivela sicuro fiuto non solo nell’antiquariato, ma anche nella scelta di artisti di vaglio, si avranno versioni fittili.
Dopo una prima produzione pittorica degli esordi, sensibili ritratti, nature morte di sapore antico, Cristina è in tentazione di scultura, negli accumuli tridimensionali, nei polimaterici, che impiegano carte e stoffe, passamanerie come già faceva Hannah Hoech del movimento Dada e con diversi esiti , impiegarono carte e tessuti Sophie Taueber-Arp, Sonia Belaunay, senza dimenticare i lirici polimaterici di Prampolini, quale Beguinage. Ed è "Ragazza d’Emilia", ad avvincerci, per la sinuosità delle movenze di fattezze muliebri, dissimulate appena dal gioco di viluppi e torsioni di tessuti, carte e pigmenti, in sospetto di Body Art. Nel gioco plastico di pieni e vuoti, si avverte nei segni, nelle tracce del negativo adorno, una ricerca plastica, sia pure con un medium soft.
Cristina foggia figure dolenti, ammantate di nero in un cupio dissolvi, siglato da inutile attesa, figure muliebri velate, che rammentano i Compianti di Niccolò Dell’Arca, Mazzoni e Begarelli, per la loro spiccata vocazione scenografica, nell’impaginare queste protagoniste, bloccate da un trauma in un gesto accennato, in una fissità dolorosa di grande efficacia drammatica come se fossero figure corali di un Miracle Play.
In un’altra fase stilistica, Cristina celebra i fasti della ciclicità delle stagioni, traducendo in serti di fiori il tripudio della Primavera, il fulgore abbacinante dell’estate in trionfi di spighe e fiori, smaglianti; l’onusta sapidità di frutti, per simboleggiare l’autunno e un acorona di spine inserite in un’equazione scabra di rami, per esprimere l’algida crudezza e nudità dell’inverno. Queste opere avevano una duplice versione, in tessuto dorato e in bronzo.
L’artista si dedica poi a raffigurare Dame e Cavalieri, d’impianto scenografico, di grande originalità, che sfilano misteriosamente ammantati, celando l’identità dietro viluppi di veli e panneggiamenti.
Ed è il Cavaliere, stremato da reiterate prove di iniziazione, ha compiuto una Nekja, una discesa agli inferi dell’altro da sè, nel versante in ombra della coscienza, potrebbe essere uno dei cavalieri del Graal o protagonista dei tornei.
Ma son soprattutto le figure femminili le protagoniste dell’avventura stilistica di Cristina, celate simbolicamente alla vista, dietro un drappo, un velo, racchinandosi dietro un’anta o discrete presenze all’interno della Carrozza, o in un vano scenografico, come Maddalena nell’armadio, che fu brutalmente smantellata, come avevano fatto, cancellando le scritte della porta di Duchamp alla Biennale di Venezia. Un capitolo a parte, per coloro che volontariamente o per raptus, arrecano danni o deplorevoli atti di vandalismo, oltre ai danni arrecati dall’incuria e dal tempo. Nihil sub sole novi, ma sembrano moderni fenomeni patologici, come la "sindrome di stendhal" o chi arrechi insulto ad opere d’arte, quali la Ronda di notte e la Pietà di Michelangelo, mentre un episodio di pecoreccia stupidità quello in cui alcuni ignoranti e cretini hanno mutilato la fontana del Bernini a Piazza Navona, cavandosela con una pena lieve che è un invito a ripetere danni analoghi.
Cristina, con incessante sperimentalismo, ha plasmato un repertorio plastico fittile, in ceramica, terracotta, porcellana, un raffinatissimo medium, con cui foggia le Castellane e i Castelli del giuramento, alternando la calda corporeità tattile del materiale fittile alla algida vetroresina, installazioni tessili intese come "anime" di strutture plastiche.
Si dedica poi ad installazioni scenografiche, ricorrendo al contrasto drammatico tra colori primari; vampate purpuree accendono di bagliori il mantello del Diavolo, cui s’alterna il nero-pece che maschera le fattezze, tradite dalo zoccolo caprino, mentre si sprigiona un acre sentore di zolfo, di questo inquietante inferno.
E’ ascrivibile alla successiva produzione di Cristina un repertorio plastico, per lo più in terracotta patinata, ceramica e porcellana; e sono le insegne della regalità a sfilare, diligentemente allineate allo scettro, il trono, insieme a figure, espressionisticamente esemplificate, ridotte a volumi icasticamente vibranti, in alcune delle quali si registra di antiche modulazioni plastiche, anche se le loro fattezze sono stilizzate e mettono in mostra nei panneggiamenti, nelle torsioni volumetriche, le membra flessuose nel modellato animato tradotte in movenze eleganti, accentuate dalo slancio del gesto accennato in progressivo affinamento tecnico-stilistico, elabora una gamma di esemplari fittili, foggiati con eleganza, sembrano ispirarsi alla fiaba, ed ecco una scarpetta-feticcio, di Cenerentola, in porcellana, i crateri dalla cavità animata dalla craquelure, sapientemente disposta a raggiera, in una varietà di pigmenti dal niveo candore di piatti, sinuosamente frastagliati, oppure sono esigui volumi, sottoposti a sapienti torsioni, intrisi di tenero rosa-confetto.
Ma l’amore di scultura Life-size prevale, inserita in un habitat voluttuosamente simbolista.
E sfilano le stilizzate statue dalle strutture stilizzate, il portamento impeccabile, da mannequin, anche se gli abiti sono veli dalle impalpabili increspature, queste figure slanciate sono munite di minuscoli accessori di moda, anche se l’anatomia sembra ellenistica, in un accenno di panneggiamento flautato.
Nella più recente produzione, Cristina con inesausto sperimentalismo, con effetti scenografici, accentuati dalla finezza della texture, in un miracolo di fulva effusione, che simula il fulgore dell’oro. Del resto anche le sculture antiche erano policrome, per la morbidezza curvilinea del modellato, ricorda le tenui sinuosità delle anatomie della scultura simbolista e Art-Deco, per la grazia avvincente delle movenze.
Le sculture fittili di Cristina Roncati presentano affinità stilistiche con le eleganti figurazioni della gloriosa stagione simbolista, Liberty, Art Deco faentina, i cui esponenti sono nonni, rampolli, che raggiunsero particolare raffinatezza nei lustri, come Melandri, in sintonia con la temperie della Secessione viennese.
Per il modellato lieve, il panneggiamento appena percettibile, il modellato vibrante, Cristina sfodera un piglio sicuro, inventiva, un gusto scenografico, con cui impagina volumi sinuosi e lievi, come le stilizzate figure di Donatello, di ieratica, pacata eleganza.
Carlo Barbieri ha elaborato paesaggi sintetici, post-impressionistici, espressi con piglio vibrante, con un ductus dall’andamento sinuoso, traducendo, in lacerti guizzanti, paesaggi visti dall’alto, in scansioni saldamente impaginate. La gamma cromatica è vivace, attutita da una base gessosa. Barbieri predilige un caldo rosso-mattone, per tradurre scorci sintetici, in abbreviazione stilistica; il colore si dispone in campiture calibrate; le angolosità volute della composizione conferiscono senso di motilità.
Di estrema sintesi simbolista, il fiore rosso, dai contorni curvilinei, ma la varietà non è identificabile e non si potrebbe annoverare nelle schede di Linneo, rientrando invece, nella botanica parallela di Leo Lionni, in cui fioriscano specie che si trasfigurano nella fantasia e nel sogno.
Giuliana Galli

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