Entrero’ nella storia come Balzac, come Proust.
E, forse, come Max Woobynda.
Nel falbo meriggio apparirono tutti e quattordici, come se a un certo punto ne avessero pieni i coglioni. E mi sembra anche giusto. Non so perche’ mi sembra giusto, ma il fatto che uno si rompa i coglioni a un certo punto lo capisco. Penso: che cosa farei, esattamente, al posto suo? Non so che cosa farei ma mi farebbe piacere che qualcuno mi dicesse: – Giusto -. Eccoli li’, finalmente liberi quei lemuri di merda, meta’ merde, appunto, e metà nuvole, che dovrebbero, bada, e questa e’ storia non i films, dico, dovrebbero, insediarsi in qualche corpo o almeno tormentarlo, insidiarlo, terrorizzarlo. Rimangono invece dei poveri lemuri persi nel mondo, con la loro angoscia di mezze merde e mezze nuvole senza arte ne’ parte ne’ mazzi di carte ne’ chitarre. Se fosse un gioco, soltanto un gioco (ma cosa dico gioco) della mente? Vagano, immondi. Tutti e quattordici. Se fossero i racconti di Max Woobynda personificati? Uno somiglia a Jak Osborne IV, un altro a Pablo (ma come "sembra", è Pablo!) Nelson Autunnale, e quest’altro, cazzo, quest’altro è proprio lui, non mi posso sbagliare: è Palmiro Oronov. – Ciao Palmiro – Ciao – zzo fai da queste parti con questa banda di sfigati? – Non scherzare. Siamo tutti racconti di Max Woobynda, e tu lo sai, perche’ ci hai letti. – Ho capito benissimo. Pero’, come avete fatto a scappare? – Noi non siamo scappati, ci ha buttati fuori. – E come? Ha fatto come Giove con Minerva? – Ha fatto come Max Woobynda al cesso. – Sega? – No, cagata. – Capisco. Ora capivo anche perche’ parevano merde per metà. Mi sfuggiva tuttavia perche’ per l’altra meta’ parevano nuvole. E’ triste incontrare dei poveri racconti abbandonati. Specie se sono racconti di Max Woobynda. Li aveva pubblicati tempo fa sotto altro nome, un nome banale da cittadino italiano, il suo vero nome. E pensare che gli avevo scritto la prefazione. La raccolta si intitolava "Foglie d’Oronov", con una limpida e arguta allusione a Palmiro Oronov. Altri tempi, altre sbornie. Altre fighette da castigare. Brutti pero’ questi lemuri. Ora piu’ nessuno li leggera’. Piove sul meriggio non piu’ falbo. Mi chiedo dove andranno a far l’uovo e non so rispondere. Un peto argentino risuona alle mie spalle. E’ un sorridente bambino biondo con gli occhi azzurrri che li guarda andare via. Non aggiungo altro.
Lemuri in memoria
Paolo Catullo