Quando avevamo dieci o undici anni
sapevamo cosa volevamo.
Un pallone nuovo, un fucile con i proiettili di gomma
o una serata al cinema a guardare uno di quei film d’orrore.
Avevo due amici soprattutto
allora.
E passavamo interi pomeriggi
a tirare calci ad un pallone nella casa-fattoria di uno
o davanti al computer di Mike.
Ma alle volte Mike ci lasciava;
Mike non aveva il papà
perché era morto di cancro quando lui aveva sì e no due anni.
Ma diceva che se lo ricordava.
Eppure Mike alle volte ci lasciava.
"Devi studiare pianoforte, fare esercitazioni!"
Gli intimavano i nonni, e così noi
lo seguivamo nel salone con la finestra che dava sulla strada
e ascoltavamo in silenzio, il pianoforte,
mentre le note si scagliavano come frecce infuocate nella stanza.
Qualche volta ridacchiando
alle sue spalle
e a quelle di Mozart.
Ogni tanto rimaneva la mamma ad ascoltare
Una signora appena sulla quarantina, con un culo un po’ grosso
e gli occhi celesti.
Ed appena entrava, Mike attaccava Debussy
perché sapeva che lei era contenta,
appagata.
Mike non voleva che lei frequentasse nessuno
ma faceva l’insegnante e forse approfittava di
qualche
ora
di "buco".
Eppure adesso, quando ci
passo davanti
con la macchina,
qualche volta volgo
lo sguardo
su.
E credo di aver bisogno di
un pallone nuovo, della maglietta della Juve
e di Debussy.
Joe Ferrara
Da giovani