Anno secondo della gestione Barbera e anno secondo della mia presenza al Lido.
La ricetta è sempre la solita: corse fra un film e l’altro, tour de force visivi, pranzi frugali durante le file alle proiezioni, carenza di sonno. Ma anche l’organizzazione non cambia, riproponendo la formula vincente dell’anno precedente (rimane invariata anche il video che precede le proiezioni, con protagonista Asia Argento1).
E soprattutto grandi divi e cinema americano a far la parte del Leone.
Arrivando lungo con Clint Eastwood (Leone d’oro alla carriera e film d’apertura della Mostra), la mia breve presenza ha incorporato Altman e Zemeckis. "Dr.T and The Women", film di Altman in concorso, vede come protagonista un brillante Richard Gere insieme ad un cast di attrici famose degno dei precedenti "Short Cuts" e "The Player". L’attore americano recita la parte di un ginecologo texano, bravo e felice padre di due figlie, la cui vita circondata da donne inizia letteralmente ad essere tempestata di "sfighe" familiari. La commedia è "carina", ma questo aggettivo contiene già in sé la non eccezionalità della pellicola, ed anche se ha ricevuto applausi (ma quale pellicola ormai a Venezia, tranne qualche rara eccezione sospettosamente premeditata, non ne riceve?), siamo lontani da un "Mash" o dai film citati in precedenza.
Zemeckis fedele ad un cinema più Hollywoodiano, non si discosta molto dalle sue formule collaudate, anche se qui alla mostra ci propone un triller, pur sempre con cast stellare: Michelle Pfeiffer ed Harrison Ford, utilizzato sorprendentemente in chiave di cattivo. Alcune scene cariche di suspense sono ben girate, ma ci fermiamo qui: il film può essere tranquillamente archiviato senza grandi clamori. Curioso sentir recitare "Indiana Jones" in lingua originale e francamente rimango perplesso e preoccupato per la sua parlata biascicata ed incomprensibile: speriamo che facesse parte del ruolo….
Altro film in concorso dal grande cast è stato "The Man Who Cried" della regista Sally Potter, che personalmente considero come il peggiore di quelli da me visti in questa edizione del Festival. Melò scontato e forzatamente votato al pianto, assomiglia più ad una soap opera che ad un film drammatico. Banalissimi i ruoli dei protagonisti: Johnny Depp è uno zingaro bello e nobile di cuore di cui si innamora Cristina Ricci, ebrea russa fuggita da bambina alla ricerca del padre emigrato in America. John Turturro è un cattivo e famoso cantante lirico che denuncerà la protagonista ai nazisti. Lavoro da dimenticare per la brava regista di "Orlando".
Fra i "pezzi da 90" di questo inizio di festival c’erano anche due film fuori concorso: "Brother" di Takeshi Kitano e "Merci Pour Le Chocolat" di Claude Chabrol.
Kitano conferma la sua verve comica surreale ripercorrendo le strade della violenza della Yakuza giapponese, questa volta trasferita negli Stati Uniti. Il film sarebbe bellissimo, se non fosse già stato girato dallo stesso regista anni prima: sembra, infatti, di rivedere passo dopo passo "Sonatine", strepitosa storia di guerra di clan, con incredibili personaggi (soprattutto Kitano-alias Beat Takeshi nel suo ruolo di attore). Qui il clan comprende oltre ai giapponesi anche gangster neri dei ghetti che in un’alleanza fraterna sfideranno la Mafia italiana con conseguente e prevedibile disfatta finale.
Non è un caso questa migrazione statunitense (dovuta forse anche alla poca considerazione che hanno i suoi film in patria), essendo la pellicola una coproduzione giapponese-americana; i dubbi nascono da come riuscirà Kitano a gestire i rapporti con la censura americana visto l’estrema violenza del suo cinema.
"Merci Pour Le Chocolat", storia di rapporti familiari "deviati" dalle presenza dall’inquietante figura di Isabelle Huppert, presidente di una famosa industria di cioccolato, e sposa di un affermato pianista, ripercorre la strada segnata dal suo film del 1995 "La Cérémonie", che vedeva come protagoniste proprio Isabelle Huppert e Sandrine Bonnaire, e sceglie, come all’epoca per la Bretagna, la tranquillità del territorio svizzero dove collocare i suoi personaggi malati, figli e distruttori dell’ambiente borghese che li ospita.
Chabrol è un Maestro, sa costruire storie ed immagini, ma questo falso triller girato con tocco leggero non convince particolarmente, e proprio il personaggio impersonato dalla sua musa ed icona rimane abbastanza sospeso.
In realtà un altro Maestro era presente durante la mia permanenza al Lido: Manoel de Oliveira che presentava in concorso il suo film "Palavra e Utopia", ma non me la sono sentita di affrontare due ore e dieci minuti di un film portoghese (la cui lentezza è proverbiale) incentrato tutto sulla figura di un gesuita e delle sue prediche.
Fra le note positive debbo segnalare tre film.
Il primo è "The Goddess of 1967" (in concorso) della regista Clara Law, un road movie australiano che vede protagonisti un ragazzo giapponese amante dei rettili, una ragazza cieca del posto, dal tormentato passato familiare, ed un’auto, la "Dea" appunto del 1967, la "mitica" Citroen Ds. Il viaggio non sarà solo fisico, ma anche emotivo e sentimentale.
Il secondo s’intitola "Possible Worlds" del regista canadese Robert Lepage (vecchia conoscenza anche teatrale) e fra i protagonisti vede l’ambigua figura di Tilda Swinton. Storia onirica di vite parallele che girano attorno ad un omicidio perpetrato allo scopo di rubare il cervello della vittima. Storia affascinante alla ricerca dell’animo umano.
Il terzo (personalmente il più bello che ho visto a questa Mostra del cinema) è "Tillsammans" ("Togheter") del regista svedese Lukas Moodysson, del quale è passato sugli schermi lo scorso anno "Fucking Amal", co-prodotto anche dalla Zentropa di Lars von Trier (sempre lui). E’ la storia di una piccola comune domestica nella Svezia degli anni 70′, in cui storie familiari s’intrecciano con le nuove libertà politiche e sessuali della società di quel periodo.
La pellicola è estremamente frizzante, con situazioni esilaranti sottolineate dalle musiche degli ABBA.
Un ultima riflessione la merita il cinema italiano, quest’anno particolarmente presente nel concorso ufficiale.
Nell’impossibilità temporale di vedere "I Cento Passi " di Marco Tullio Giordana ed "Il Partigiano Johnny" di Guido Chiesa che hanno sollevato commenti sia positivi sia negativi, mi soffermo sul film di Salvatores "Denti", accolto positivamente dalla critica e dal pubblico della Rassegna.
Condividendo ed apprezzando il tentativo del regista di cambiare le tematiche e le costruzioni del proprio cinema (significativo da questo punto di vista il passaggio da un attore come Diego Abatantuono troppo legato ad una propria immagine caricaturale, ad un Sergio Rubini più elastico), rimangono comunque dubbi i risultati ottenuti, sia nel precedente Nirvana, sia in quest’ultima pellicola; e personalmente continuo a rimpiangerne i primi lavori.
Ma si sa che i registi italiani si giudicano più severamente rispetto agli altri europei ed americani, e forse alcune critiche sono eccessive, anche alla luce di alcune pellicole molto pubblicizzate che si sono viste proprio all’interno di questo 57° Festival di Venezia.
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Venezia 2000
Andrea Leonardi
Ma basta!!