KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Deaver

4 min read

Deaver

"Come una culla, il furgone mortuario lo faceva oscillare dolcemente… Sfregò il volto contro un’etichetta satinata all’interno della sacca… Accarezzò l’etichetta con la larga guancia e aspirò aria attraverso la minuscola apertura lasciata dalla cerniera lampo non chiusa fino in fondo… Gli uomini che portavano via i morti chiamavano sacco degli incidenti stradali la cosa in cui lui si trovava adesso… Le labbra si sollevarono di nuovo a scoprire i denti: riuscì a far scendere giù il cursore, venti centimetri, venticinque. La testa tonda e rapata emerse dallo spiraglio dentellato. Con la bocca ringhiante e la grossa faccia pareva un orso, anche se non solo gli mancava la pelliccia, ma era bluastro: buona parte della testa era tinta di quel colore…".
Cosa ci fa un uomo vivo dentro una sacca mortuaria, trasportato da una station wagon mortuaria? E’ l’interrogativo che immediatamente il lettore si pone scorrendo le righe d’apertura di uno dei più noti lavori di Jeffery Deaver, Pietà per gli insonni.
Basterà percorrere qualche altra pagina per scoprire che quest’uomo dalla figura massiccia, chiuso in una sacca "schifosamente stretta" per la sua robusta corporatura, ha un nome, Michael Hrubek, e per sapere che altri non è se non uno schizofrenico e folle stupratore.
Restiamo con il fiato sospeso, foglio dopo foglio, vestendo i panni degli abitanti del New England accomunati da un terribile destino, quello di aver conosciuto Hrubek, ora evaso dal manicomio con l’intento di vendicarsi sulla donna che ha causato la sua "incarcerazione" testimoniando contro di lui. La donna si chiama Lisbonne Atcheson e già il secondo capitolo del romanzo inizia a narraci di lei e di Owen, il marito, conducendoci pian piano a scoprire i segreti di questa donna, apparentemente semplice e spesso definita "un tipo che non dà nell’occhio", del suo piccolo mondo fatto di una casa a Ridgeton, uno dei centri più tranquilli dello stato, con piante ornamentali, bossi dall’odore pungente e cespugli di lillà, scuri e spogli.
Ridgeton, una cittadina di rado toccata dalla tragedia, mai dalla violenza premeditata, ora protagonista di uno spaventoso "tornado umano". E noi viviamo in diretta, quasi in prima persona, le sensazioni di un uomo dalla mente malata, assetato dal desiderio di vendetta, di Lis, perseguitata dalla sensazione di una vibrazione, una "presenza" che pare preannunciare la tragedia, di Ron Adler e quanti inseguono l’evaso ripercorrendo i suoi passi, camminando sulle vittime e i cadaveri lasciati da Hrubek sul suo cammino. Si susseguono pagine dalle tinte cruente: "Nessuno voleva guardare. Osservavano il calendario alla parete, la tazza da tè infranta, i promemoria fissati al frigorifero color avocado con calamite a forma di frutti. Guardavano tutto ma non la terribile forma legata con del filo elettrico alla sedia a braccioli. Il medico entrò con passi cauti, evitando l’enorme chiazza di sangue sul pavimento a piastrelle. Si chinò a esaminare il groviglio di nodi. La testa della donna, con la gola squarciata, ricadeva all’indietro, e la camicetta era aperta. Le lettere sbilenche incise nella pelle spiccavano sul petto livido…".
Una forsennata fuga che si fa contemporaneamente una spietata caccia all’uomo: "Adesso scese dalla Cherokee e tornò indietro verso la Cadillac. Il rumore dei suoi passi era cancellato dalla pioggia che cadeva fitta. Si fermò scrutando nel buoi. A diciotto, venti metri, una figura massiccia era ferma a urinare contro un cespuglio, voltando le spalle a Owen. L’uomo guardava il cielo, la testa calva arrovesciata, e pareva che canticchiasse sommessamente. Owen si accucciò sfilando la pistola dalla cintura e cercò di stabilire la prossima mossa…".
A fare da sfondo, come se da sola la furia di uno psicopatico non bastasse a sconvolgere l’esistenza di tante persone, c’è lo scatenarsi della natura, una bufera d’acqua i cui ritmi cadenzano anche quella umana…per arrivare ad una notte in cui l’orrore pare non avere fine. Un orrore in cui d’improvviso i buoni divengono cattivi e i cattivi buoni, in cui quello che doveva essere un diavolo vendicatore si fa angelo ammonitore. Una fine annunciata da una frase misteriosa scritta dallo stesso Michael Hrubek: "Il traditore è Adamo. Devo sacrificarmi per salvare la povera Eva". Una frase che vedrà svelato il suo enigmatico significato solo alla fine del romanzo, di questo thriller mozzafiato degno della penna e della mente di colui che non a caso è da molti considerato il degno erede di Thomas Harris.
Il Times ha definito Jeffrey Deaver "il più grande scrittore di thriller dei giorni nostri". Pietà per gli insonni lo conferma e il cinema ha premiato l’avvocato neworkese, che ora si dedica interamente alla narrativa, portando sugli schermi un altro suo grande e noto successo, Il collezionista di ossa, che ha incollato alle poltrone migliaia di spettatori facendo nascere in loro il desiderio di leggere gli altri lavori di Deaver, da Il silenzio dei rapiti fino a Lo scheletro che balla e La lacrima del diavolo, libri che certono non lasceranno deluse le nostre aspettative.


Francesca Orlando

Altri articoli correlati

Commenta

Nel caso ti siano sfuggiti