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Breve saggio di Meccanica Quantistica – IV

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Breve saggio di Meccanica Quantistica
Quarta Parte
Effetto tunnel e fluttuazioni quantistiche nel vuoto

La meccanica quantistica abbatte prepotentemente le nostre certezze riguardo al mondo microscopico, regalandoci di contro un modello interpretativo affascinante ma sconvolgente in talune sue previsioni. Scendendo oltre una certa scala, ed in particolare nei pressi della cosiddetta lunghezza di Planck (una misura infinitesimale, ben minore della dimensione di un atomo), lo scenario quantistico si fa bizzarro e turbolento. La fisica classica (ma anche la pur rivoluzionaria relatività) si fondavano sull’assunto che il tessuto dell’universo fosse sostanzialmente regolare a tutte le sue scale, da quella microscopica a quella delle grandi distanze intergalattiche: la meccanica quantistica invece smentisce definitivamente questa ipotesi.
Tanto per cominciare, dobbiamo accantonare il concetto di ‘vuoto assoluto’. Nel mondo dei quanti esistono infatti le cosiddette fluttuazioni quantistiche nel vuoto, un fenomeno assai peculiare che porta alla continua creazione e successiva annichilazione di coppie particella-antiparticella: anche lo spazio apparentemente più deserto pullula in realtà di queste stravaganti coppie, la cui vita media è brevissima ma che nondimeno contribuiscono ad agitare uno scenario che ci illudevamo fosse statico e tranquillo. A rendere possibile la formazione dal nulla di queste coppie è un altro effetto esotico previsto dalla fisica quantistica, ovvero l’effetto tunnel.
La possibilità di compiere un determinato processo fisico è sempre strettamente legata all’energia impiegata. Per portare a compimento un dato processo dobbiamo fornire al sistema interessato un’energia sufficiente, senza la quale il fenomeno (un movimento, una reazione o quant’altro) non può avvenire. Esiste però la possibilità che il sistema in questione ‘prenda in prestito’ l’energia necessaria dall’ambiente circostante, a patto che essa venga restituita in tempi sufficientemente brevi: è come se facessimo un giro con la macchina di un nostro amico e riuscissimo a riportarla in garage prima che lui si svegli. Se questo riesce, nessuna legge è violata: la coppia particella-antiparticella ottiene l’energia necessaria alla propria creazione ma le cede quasi istantaneamente tramite la successiva annichilazione, riportando il bilancio in parità.
Per quanto perciò lo spazio vuoto pulluli di attività a livello microscopico, è pur vero che osservato su scale più grandi continua ad apparire vuoto: ciò accade perché il bilancio energetico dei processi microscopici fornisce come risultato un sostanziale pareggio, offrendo l’impressione che niente si sia realmente verificato.
Le fluttuazioni di cui sopra costituiscono però anche lo scoglio contro il quale si sono arenate le speranze dei fisici di unificare la meccanica quantistica e la relatività generale, e di conseguenza anche le speranze di aver trovato, in una delle due o in una loro combinazione, la teoria fisica definitiva. Come ho già detto infatti la relatività presuppone quale requisito uno spazio regolare ed uniforme anche alle più piccole scale, cosa che invece la meccanica quantistica (che qui detta legge) dimostra essere falso: questo implica che il tessuto spazio-temporale di Einstein ad un certo punto perde del tutto la sua severa geometricità e diventa imprevedibilmente irregolare, facendo così perdere validità alla fisica che vi era stata costruita intorno. Ne’ la meccanica quantistica ne’ la relatività costituiscono la risposta ultima alle domande che animano i fisici, la cui attenzione si è infatti in parte spostata verso altre teorie che potrebbero invece rappresentare il traguardo lungamente inseguito: la più accreditata attualmente, lo dico solo per curiosità, è la teoria delle superstringhe, che riesce elegantemente a superare le contraddizioni sorte fra relatività e fisica dei quanti, seppur in un quadro teorico molto complesso ed ancora in fase di studio.

Non-località
Relatività e meccanica quantistica entrano in collisione anche in altre circostanze, come nel caso della cosiddetta non-località della fisica dei quanti.
Un punto fermo della teoria einsteniana è l’impossibilità per un qualsiasi oggetto dotato di massa di raggiungere o superare la velocità della luce: questo vale ovviamente anche per le particelle portatrici di forze (come il fotone, il quale trasmette le immagini e lapalissianamente viaggia sempre e solo alla velocità della luce stessa), il che rende impossibile per esempio la trasmissione istantanea di un qualsiasi impulso elettromagnetico nel vuoto. La luce delle stelle che vediamo brillare in cielo non ce le raffigura infatti come sono adesso, ma com’erano nel momento in cui l’impulso luminoso ha lasciato la loro superficie: la vicinissima (in termini cosmici) a Centauri ci appare quale era piu di quattro anni fa, e lo stesso Sole che osserviamo sorgere è in realtà quello di otto minuti prima (se esplodesse in questo preciso momento non ce ne accorgeremmo che tra otto minuti, tanto per fare un esempio catastrofico…). Il problema legato al propagarsi dell’attrazione gravitazionale, la quale agisce su distanze enormi senza alcun analogo ritardo apparente, fu brillantemente risolto da Einstein tramite la curvatura dello spazio tempo, ma questo ci porterebbe ora troppo lontani dal nostro discorso.
Ancora una volta a mettere in difficoltà il grande fisico arriva la meccanica quantistica, per la quale l’osservazione di determinati parametri di un elettrone produce un effetto sensibile sulle caratteristiche di un secondo elettrone identico, partito assieme a lui da uno stesso punto ma in direzione opposta: dal momento che entrambi viaggiano alla velocità della luce, nessun segnale può essere partito dal primo elettrone ed aver raggiunto il secondo, ma nondimeno pare che il primo lo abbia in qualche modo ‘avvisato’, istruendolo sul comportamento da tenere di fronte al nostro tentativo di analisi. Sembra quindi che qualcosa di misterioso leghi i due elettroni, quasi essi si fossero messi d’accordo prima di partire per il loro tragitto sulle risposte da fornire a qualsiasi domanda potesse esser posta loro in futuro: si tratta chiaramente di una spiegazione stramba ed inconcepibile, ma è quanto il senso comune ci spinge ad ipotizzare di fronte alla non-località.
In qualche modo dobbiamo concludere che in questo caso esistono legami ‘nascosti’ fra le singole particelle, ed anche che le particelle posseggono proprietà la cui definizione è intrinsecamente legata al metodo ed allo strumento sperimentale che noi andiamo ad utilizzare per analizzarle.


Continua…

Fabrizio Claudio Marcon

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