Song Yet To Be Sung
(Virgin, 2001)
L’attesa è giunta al termine il 17 luglio: dopo un ennesimo, ultimo ritardo, il primo vero album solista di Perry Farrell è stato pubblicato in contemporanea su tutti i mercati mondiali. Come sempre capita quando un lavoro già abbondantemente annunciato viene ripetutamente posticipato, non avevano tardato a diffondersi voci disparate riguardo alla sua effettiva qualità: qualche mese or sono era stato anche suggerito, senza mezzi termini, che il ritardo nella pubblicazione dell’album fosse dovuto ne’ più ne’ meno che allo scetticismo della stessa Virgin, i cui responsabili lo avevano giudicato poco convincente e bisognoso di drastiche modifiche. Oggi rimane difficile stabilire quanto di queste illazioni fosse vero, e quanto invece i ritardi fossero dovuti a semplici motivi tecnici legati al lavoro in studio: tutt’altro che improbabili, specialmente se si riflette sul fatto che sonorità di questa fattezza sono una novità per Perry, il quale potrebbe ragionevolmente essersi soffermato più a lungo sulla loro definizione.
Ma di che sonorità stiamo parlando, allora? La domanda è più che legittima. Quello che già si sapeva era che Perry aveva scelto di abbandonare la strada battuta lungo tutta la sua carriera per avventurarsi nel mondo dei sintetizzatori e dei ritmi digitali: Song Yet To Be Sung conferma in questo senso tutte le aspettative, fin dall’iniziale e programmatica Happy Birthday Jubilee. A tratti l’adesione di Perry alle tendenze più attuali della musica elettronica è quasi imbarazzante (Did You Forget) quando non addirittura discutibile negli esiti (Say Something). Altrove riemerge un gusto melodico etereo, misticheggiante e piuttosto new age, non lontano dai Porno For Pyros dei tempi che furono, per quanto sempre mediato dall’utilizzo a piene mani di una strumentazione assai ‘sintetica’ (Shekina oppure Our Song) e capace in certi momenti di riportare alla mente un altro grandissimo cantante alle prese con i propri esordi da solista: ovvero il Robert Plant della metà degli anni ’80, le cui sonorità più meditabonde di quell’epoca ritornano, seppur ammantate di ritmi pseudo-giamaicani, in King Z e To Me (come a dimostrare che per entrambi, ex-leader di gruppi rock di fama mondiale, sia stato troppo difficile resistere alla tentazione di strizzare l’occhio all’esotismo una volta lasciatisi alle spalle le band che li hanno lanciati…). Quasi impossibile da catalogare, ma per questo particolarmente riuscita, risulta allora alla fine Admit I, che pare essere uscita da un carnevale di New Orleans… Fortunatamente, sia nel caso di Farrell che del suo più illustre predecessore qui citato, una costante rimane ed è la voce, grande al di là dei brani che si trova di volta in volta ad interpretare: pur se, è giusto dirlo, l’ex-Jane’s Addiction si spinge qualche volta un po’ troppo in là anche nelle sperimentazioni vocali.
Song Yet To Be Sung può piacere o non piacere. Chi ha amato i Jane’s Addiction in primis e Perry solo di riflesso, in quanto loro frontman carismatico, ne rimarrà probabilmente sconcertato e correrà a rifugiarsi nella vecchia e rassicurante discografia della storica band losangelena; chi invece ha apprezzato Farrell anche, se non più, come Porno For Pyros sarà più preparato ad accogliere positivamente quest’ultimo lavoro; chi infine ha sempre identificato nell’autore un bizzarro genio della musica alternativa contemporanea non potrà che seguirne con rispetto ed affetto questi suoi primi passi in un mondo fin qui da lui mai esplorato. A voi la scelta.
Perry Farrell
Fabrizio Claudio Marcon