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Incubus live a Milano 05-02-2002

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Incubus live a Milano, 05-02-2002

Chi fra voi abbia avuto modo di leggere le mie recensioni relative agli ultimi due album degli Incubus si sarà facilmente reso conto di come le sonorità di questo gruppo mi abbiano decisamente conquistato: mi è sembrato perciò naturale prestare attenzione al calendario dei concerti e cogliere al volo l’opportunità di vederli suonare dal vivo al PalaIOL di Milano. Venti euro, tanto è costato il biglietto, di questi tempi sono una cifra relativamente onesta: addirittura vantaggiosa, se rapportata alla qualità ed alla quantità della musica in programma.
La serata si preannuncia infatti assai interessante. Prima degli Incubus saliranno sul palco ben due gruppi di supporto: gli Hoobastank ed i 311, che scopro in quest’occasione pronunciarsi three eleven quando io già oscillavo fra un poco musicale three hundreds eleven ed un sintetico three one one… Non di rado, ad essere onesti, capita che la performance delle band di contorno rappresenti sostanzialmente solo un fastidioso elemento di ritardo per un pubblico giunto lì per gustarsi i soli headliners: l’attitudine abbastanza aperta del pubblico ‘alternativo’ permette però ad ogni gruppo di proporsi circondato quantomeno da curiosità ed attenzione. Sta poi a loro sfruttare la chance concessa…
Mentre dei 311 conosco già qualcosa, gli Hoobastank sono per me una completa novità quando si presentano sul palco poco dopo le sette. Sono una lietissima sorpresa. Il loro set è altamente energetico e vibrante, ma anche ricco di sfumature che, seppur penalizzate dall’acustica non eccezionale, rimandano vagamente nello stile proprio alla principale attrazione della serata. Annotandomi mentalmente di non recarmi mai più ad un concerto senza avere ascoltato almeno di sfuggita parte del materiale dei gruppi presenti, riesco comunque a cogliere due o tre brani veramente interessanti: paradossalmente direi addirittura che il primo singolo tratto dall’album self-titled, ossia Crawling In The Dark, non sia nemmeno il migliore fra quelli proposti. I ragazzi comunque sono promossi a pieni voti…
Le sonorità degli Hoobastank lasciano quindi il posto allo ska core dei 311, il cui spettacolo testimonia di come si possano cercare soluzioni diverse ed originali, pur sapendo che la propria presenza sul palco sarà inevitabilmente limitata a mezz’ora e che il pubblico starà inevitabilmente già aspettando il gruppo seguente. Rievocando una tradizione che credevo morta e sepolta, i 311 decidono coraggiosamente di riservare cinque minuti buoni della loro già non lunga esibizione ad un… assolo di batteria! Quando poi anche il resto della band, la quale aveva momentaneamente abbandonato la scena per lasciare campo libero al batterista, rientra armata di quattro tamburi (uno per componente), la situazione comincia a ricordare il famoso spettacolo teatrale Stomp. L’iniziativa viene poi riassorbita nel tessuto di uno dei brani di repertorio della band, che va elogiata almeno per la creatività nell’impostare un set il quale dal punto di vista prettamente musicale si rivela trascinante ma non proprio originale. Al termine è proprio il cantante dei 311 ad annunciare il prossimo arrivo degli Incubus, prima di lasciare il palco tra gli applausi. Tra parentesi, fuori dal palazzetto avevamo trovato in distribuzione gratuita un’edizione promozionale dell’ultimo singolo del gruppo, You Wouldn’t Believe: un buon modo per farsi conoscere ed apprezzare…
L’inevitabile pausa per il cambio della strumentazione accresce l’attesa per l’arrivo del quintetto californiano e spiana la strada alla prevedibile ovazione che li accoglie. C’è solo il tempo per i rituali saluti in italiano (Brandon Boyd tra l’altro è l’unico a pronunciare un "grazie Milano" perfetto, laddove i suoi colleghi avevano troncato di netto la "e" di "grazie"…) e via che si parte con Circles, la seconda traccia del recente Morning View. La resa del gruppo dal vivo è eccellente e anche il palazzetto pare farsi per incanto più intimo di quanto le sue effettive dimensioni darebbero a pensare. La sapiente miscela di melodia e aggressività rende da subito lo show degli Incubus vario ed interessante per i palati più diversi.
Il materiale proveniente da Morning View viene proposto con molta generosità: a spiccare secondo me sono un’ottima versione di Warning, la trascinante Nice To Know You e ovviamente l’attesissima Wish You Were Here, che Brandon dedica all’estasiato pubblico del PalaIOL. Come dimenticare poi la sezione acustica, che può contare su una toccante Mexico e sull’immarcescibile Drive? Da quest’ultima si torna direttamente ad attaccare gli amplificatori per recuperare anche qualcosa dalla storia ‘antica’ della band: la folla si scatena in particolare per celebrare l’esecuzione di pezzi provenienti da S.C.I.E.N.C.E., album ben più robusto anche se meno variegato degli ultimi due. Dall’ascolto accorato si passa allora all’agitazione frenetica che si trasmette dalle primissime file fino alle retrovie… Brandon è l’elemento carismatico, colui che calamita l’attenzione del pubblico e si fa veicolo visivo di tutta la musica del gruppo. La presenza scenica del resto dei componenti è infatti decisamente composta, quasi dimessa: Boyd vive ogni brano con intensità e partecipazione assoluta, laddove il chitarrista Mike Einziger raramente abbandona la sua postazione e si concentra unicamente sulla musica che fluisce incessantemente dal suo strumento.
Dopo un’abbondante dose di good vibrations Brandon saluta la folla, non prima di aver promesso un sollecito ritorno, ed il gruppo si allontana dal palco. Dopo una breve attesa i cinque sono di ritorno e si lanciano in un ardito momento strumentale, in cui Boyd si diletta con un didgeridoo ed i suoi colleghi intarsiano una base molto fluida in sottofondo: è il preludio ad una delicatissima I Miss You, momento di grande impatto emotivo. Purtroppo però a questo punto il concerto si sta avviando a conclusione: ancora pochi minuti, dominati da una furiosa Nebula, e Pardon Me è la canzone scelta per accomiatarsi dal pubblico del palazzetto.
Cala il sipario su un’esibizione assai riuscita, dunque. Avendo precedentemente avuto modo di seguire in televisione una performance dal vivo degli Incubus, ed avendone apprezzato l’eccezionale qualità, mi chiedevo quanto di quel risultato fosse dovuto all’effettiva potenzialità del gruppo e quanto invece ad una resa acustica senza dubbio non paragonabile a quella, tutt’altro che ideale, del PalaIOL. In altre parole, ero curioso di vedere se il quintetto sarebbe riuscito a trasmettere le stesse emozioni forti anche in un freddo palazzetto dello sport ‘prestato’ alla musica. La risposta è sì. Ottimamente introdotti da due gruppi di supporto all’altezza della situazione ed accolti da un pubblico adorante, gli Incubus hanno offerto alla gente quello che essa s’aspettava: grande musica senza troppi fronzoli. Si può chiedere di più?


Fabrizio Claudio Marcon

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