KULT Underground

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L’inverno alle finestre

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L’inverno alle finestre.

Ormai l’inverno era alle finestre.
Sì, perché l’inverno non è solo alle porte, come ormai dicono tutti quei manichini che passano la loro vita vendendo frettolose illusioni travestite da esigenze; l’inverno è anche alle finestre, e sui tetti, e addosso alle automobili, ma non solo: soprattutto è nella terra, è negli alberi, dentro ai tronchi, penetra i rami, avvolge le foglie, le avvinghia, le tortura, le annichilisce e le divora, e lo stesso fa con tutto ciò che è vivo e ha completato il suo corso che dura un’estate.

Crudele?
Non proprio… fa solo spazio alla nuova vita che nascerà… una vita vera, di quelle…

Dannazione a queste scarpe!

Ormai sarebbe ora di cambiarle, ma come si fa a cambiare una scarpa sola?
Non è possibile, devo acquistarne per forza un paio. Però l’altra scarpa, la destra, non emette quel fastidioso rumore cigolante ad ogni passo, quella destra è ancora placidamente suolata, quella destra non apre la bocca per lamentarsi ad ogni passo, come fa invece questa dannata sinistra.
E qui la politica non centra… è proprio una questione sociale: perché mai risuolare una scarpa? Meglio comprarne una nuova, tanto ormai il modello è fuori moda… esce di moda nel preciso istante in cui esce dal negozio, così come ogni nuovo modello nasce vecchio e contiene un piccolo "dispositivo di autodeterioramento" che danneggia pelle e cuoio allo scadere del "periodo di consumismo" appositamente impostato dal fabbricante.

Lo stesso fabbricante che dice che l’inverno è alle porte.

Ma in fondo la scienza serve a questo no? Lo scarpolino rappresenta il passato, e noi non possiamo rimanere nel passato, noi siamo figli del nostro tempo, del progresso, della performance…

PARLA PER TE, COGLIONE.

Basta pensare, ora.
Ci sarà tempo dopo, una volta arrivato.
Fa un po’ troppo freddo per pensare, anzi, meglio affrettarsi ed allungare il passo, anche se con questa dannata scarpa che urla "E’ ora di cambiarmi, è ora di cambiarmi, è ora di camb…

Ma… era questa la strada?
Boh, chissà, è già passato un anno da allora, non posso certo ricordarmi tutto, non sono mica un computer io no? Il mio compito non è ricordare, il mio compito è… è… è quello di analizzare, programmare, impostare…

…ma che diavolo imposto poi?

Lasciamo perdere.
Il mio lavoro oggi è finito, ci penserò domani. Ora è meglio che mi preoccupi di trovare il posto e divertirmi.

***

La notte era chiara, ma il freddo si faceva sentire. E poi era tutto così silenzioso che il gemito della mia suola sinistra sfrecciava tra pareti e cunicoli amplificandosi, dilatandosi e ingrossandosi fino ad urtare i miei timpani con la prepotenza di uno spot televisivo. Prepotente, irritante, e dannatamente strafottente perché provocato proprio dal mio piede, che in tutto questo gioco c’era dentro fino al collo, ed io con lui.
Tutt’intorno una disarmonica invasione di macchine parcheggiate, a volte dritte, a volte storte, a volte di fretta a volte composte, a volte sul muso e a volte non più, ma ciascuna di esse con la propria vita, la propria storia, le proprie corse e i propri amori, in una chiassosa cacofonia di bisbigli che accompagnava il mio respiro affannoso e insufficiente.

Ancora qualche passo e dovrei essere arrivato… ricordo che doveva essere circa qui, in questa zona.
Ma senti senti… adesso che sono fermo mi manca il gemito della suola… ma cosa diavolo mi sta succedendo? Forse il mio cervello comincia ad essere talmente alienato da sentire il bisogno di essere martellato, torturato, condizionato e forse anche deriso per sentire che ancora vive?

***

Ecco, mi pare di scorgere un’insegna, o meglio, un A4 orizzontale.

Un A4 orizzontale? Ma cosa sto dicendo? Perché ho sentito il bisogno di classificarlo come A4?
Cosa importa? In fondo è solo un foglio di carta.

No, sbaglio di nuovo, non è un foglio di carta qualsiasi, è QUEL foglio di carta. In effetti dubito che un altro foglio di carta abbia passato quello che ha passato QUEL foglio di carta. Sì, probabilmente tanti altri fogli di carta sono stati fabbricati allo stesso modo di questo, ma provengono veramente dallo stesso albero? Non credo, e già qui i fogli di carta che assomigliano anche lontanamente a QUEL foglio di carta si riducono considerevolmente. Non solo, ma se anche altri fogli provengono dallo stesso albero, sono veramente uguali? Dubito fortemente che molti altri fogli provengano da QUEL ramo in particolare, quello che riusciva a prendere più raggi solari in una giornata di molti altri insieme.
In fondo è una questione di fortuna: un ramo può crescere dalla parte in cui c’è più sole o da quella che rimane più in ombra. Tutto sommato è normale… quello che conta però è che alla fine i fogli di carta che assomigliano abbastanza a QUEL foglio di carta sono solamente qualche decina, o qualche centinaia se proprio vogliamo concederlo. Però nessuno comprerà mai un pacco di carta da più di cento fogli, perché è ingombrante e poi non se ne usano così tanti in casa. Questo significa che, ammettendo pure che tutti i cento fogli di QUEL pacco provenissero dallo stesso ramo di QUEL foglio di carta, QUEL foglio di carta ha solo novantanove fratelli gemelli, che però ora non vivono più con esso, perché esso, QUEL foglio di carta, ora è lì, dove lo vedo, e per arrivare lì ha vissuto chissà quali esperienze, chissà quali pressioni ha dovuto subire, chissà quali manipolazioni, chissà quali elaborazioni, distorsioni e piegamenti prima di diventare QUEL foglio.
E poi, nessun altro foglio al mondo reca una scritta come quella:

Festa di Compleanno di
Kult Underground

Incredibile.
Mi trovo di fronte ad un bellissimo foglio di carta, QUEL foglio di carta, e ho fatto così fatica a percepirlo. La prima cosa che il mio cervello ha fatto quando l’ha visto è stata l’operazione di classificazione di QUEL foglio come "A4 Orizzontale", un A4 come tanti altri, un banalissimo A4 di carta.
Ma è veramente così difficile vedere quello che c’è veramente? Sul serio il mio cervello è talmente danneggiato da sentenze come "L’inverno è alle porte" che non è più in grado di avvertire realtà così immediate?

Forse no, anzi, sicuramente no.
In fondo io l’ho capito che quello è QUEL foglio, altri al mio posto non l’avrebbero capito e dopo un "Ecco un A4 Orizzontale" avrebbero proseguito per la loro futile strada. Questo significa che un barlume di sensibilità ancora mi rimane… ma fatica ad emergere, è come patita, mi pare quasi di vederla boccheggiare sull’orlo di una coltre di cemento metropolitano per cercare quell’ossigeno vitale che dava per scontato e che ora riposa forse per sempre al di sotto di questo bellissimo esempio di strada a due corsie per senso di marcia.
Senso di marcia?
Ma dov’è il senso in questa marcia?

Ecco la risposta.
E’ proprio lì, dove indica la freccia sotto la scritta, lì troverò tante risposte, o almeno, tante altre persone che si chiedono quello che mi chiedo io. Positivo, se non altro posso condividere il mio malessere con altre persone. Togliendo la solitudine, posso scemare di poco l’intensità di questo fascio di estraneità che mi ricopre ed offusca i sensi.

***

Un cancelletto arrugginito in un forzato controluce è puntato dalla freccia di QUEL foglio, e dà accesso ad una piccola e strettissima scaletta che porta al piano superiore. Salgo lento, un gradino alla volta, nel vano ma deciso tentativo di imbavagliare quella dannata suola sinistra, sostenendomi con le mani alle fredde pareti fino a raggiungere l’ingresso. Qui un’angusta porticina di metallo si lascia accarezzare languidamente dai miei polpastrelli infreddoliti, sciogliendosi a quella carezza per lasciare il posto al calore del locale.
L’ambiente è riservato, ma non scontroso. Non è appariscente, è semplicemente così come lo vedo, senza slogan, senza promotion, senza marketing. Tutto quello resta fuori, resta sulle strade, nei grattacieli, nei sontuosi residence per uomini d’affari, per uomini che sentono l’inverno alle porte.

Di più non potrebbero sentire, d’altronde.

Ci sono disegni e dipinti alle pareti. Grande. Finalmente vedo figli dell’uomo che non nascono morti, finalmente vedo figli dell’uomo che danzano alle pareti, e cantano, e mi seducono con forme e colori che mi invitano a svuotare la mente dalla spazzatura ostentatamente e presuntuosamente importante di cui si è riempita fino ad ora.
Sulla destra si staglia con maestosa presenza un monolite in stile moderno, quasi a recitare la parte dell’altare sacrificale, un altare pronto ad accogliere ogni forma di espressione della creatività umana, un sacrificio di tempo in cambio di una botta di vita, una miscellanea improvvisata per qualche minuto di rapimento.
Un po’ più in là, davanti a me, quattro figuri si muovono piano, quasi cullando come fossero pargoli i loro strumenti musicali, accompagnando con pochi gesti quest’abbuffata generale che ha un nonsoché di innaturale, di forsennato, di ANIMALE.

Mi sento già molto bene, ora sono veramente me stesso. Ora mi avvicinerò a qualcuno, mi presenterò e mi sentirò dire "Ehi, ma hai visto che bello QUEL foglio di carta che hanno usato per indicare dov’è la festa? Non lo trovi fantastico?" "Già, non oso immaginare che cosa abbia dovuto passare quel foglio per diventare così, dev’essere stato TERRIBILmente divertente!"

***

Così sarà.
Così è sempre stato qui.
Quando tornerò a casa, mi sentirò un po’ più a casa mia, mi sentirò un po’ più infreddolito, un po’ più stanco, un po’ più soddisfatto e un po’ più felice: in una parola, un po’ più vivo. Avrò conosciuto tante persone di cui non ricorderò il nome.

Per distrazione?
No, per scelta.
Non ricorderò il loro nome, perché non servirebbe.

A4 Orizzontale è un nome, ma QUEL foglio non è un nome,
è e basta.



Fabrizio Cerfogli

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