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L’enigma di Q

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L’enigma di Q

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Capitolo Uno

Il capitano Picard stava fissando le stelle dall’ampia finestra della saletta tattica.
La forma oblunga delle scie luminose deformate dalla possente velocità della nave lo affascinava sempre, osservarle cercando d’immaginare quando sarebbe apparso il fascio successivo era un gioco divertente che praticava fin da cadetto, quando a bordo di navette di piccole dimensioni, si perdeva nei suoi pensieri cercando d’immaginare la vastità del Cosmo.
Molti anni erano passati da allora , e sebbene lo spazio avesse sempre per lui il medesimo fascino, la responsabilità derivante dal comandare una nave stellare come l’Enterprise, talvolta lo induceva a tralasciare quegli aspetti secondari e romantici dei viaggi stellari.
Si volse dalla finestra sospirando sottovoce, raggiunse la scrivania ed appoggiò le mani alla fronte rendendosi conto, non senza sorpresa, di stare tremando.
Accese il terminale ed attivò il segnale di soccorso del Comando di Flotta, attese pazientemente alcuni secondi sperando che qualcosa, questa volta, apparisse sul monitor.
Dopo alcuni inutili tentativi il computer confermò nuovamente le sue paure.
"Nessun collegamento disponibile." sentenziò freddamente la macchina senza alcuna inflessione nel tono della voce artificiale.
Picard scostò bruscamente il monitor imprecando sottovoce, si sollevò dalla poltrona e si diresse con decisione verso l’uscita della saletta.
Poco prima di raggiungere la porta sembrò esitare, cambiò direzione e tornò sui suoi passi, si affacciò nuovamente al portellone d’osservazione alla ricerca di un’idea, di un’intuizione per quella situazione incredibile e paradossale.
Eppure la verità era lì davanti a lui, semplice e facile da afferrare, sarebbe bastata accettarla e tutto avrebbe avuto nuovamente un senso: l’Enterprise stava navigando al di fuori dello spazio, del tempo, e da qualsiasi altro luogo conosciuto o semplicemente immaginato da mente umana.

Tutto incominciò tre giorni prima, quando la piccola supernova esplose improvvisamente contraddicendo le previsioni dei calcolatori di bordo.
Beta Canopus era una stella come tante altre, perfino banale rispetto ad altri fenomeni stellari di ben altro interesse, nulla di particolare da segnalare sulle sue condizioni di astro "prossimo" ad entrare in una fase di supernova, cosa che secondo le stime sarebbe dovuto avvenire non prima di alcune migliaia di anni.
L’Enterprise era in quella zona in missione di rilevamento cartografico, una missione che l’equipaggio iniziò ben presto ad odiare a causa della sua estenuante monotonia.
La deviazione di rotta che li portò così prossimi al punto dell’esplosione derivò da un’anomala lettura delle particelle neutriniche nella fotosfera stellare, il comandante Riker, di servizio in plancia in quel momento, prese al balzo la possibilità di rendere più stimolante le osservazioni decidendo di studiare da vicino quel fascio che emanava nello spazio circostante come un faro intermittente.
Poi la tragedia.
Inaspettata , violenta, catastrofica.
Picard, come il resto dell’equipaggio non ebbe il tempo di reagire o di applicare le misure d’emergenza, l’Enterprise venne scagliata all’interno di una frattura interdimensionale generata dalla violenza dell’esplosione stessa.
Come una foglia sospinta dalla forza di un ciclone l’Enterprise entrò immediatamente in avvitamento ruotando come una trottola impazzita sul suo asse principale, a bordo la cognizione del tempo sembrò vacillare mentre la nave iniziava la sua folle corsa verso l’ignoto.
Fortunatamente gli scudi in quel momento erano attivi, diversamente l’astronave sarebbe stata vaporizzata all’istante, ma forse tutto sommato sarebbe stato meglio così pensò pessimisticamente Picard tornando in plancia senza un’idea precisa su cosa fosse più opportuno fare per uscire da quella drammatica situazione.
O meglio una soluzione c’era, ma si rifiutò a priori di volerla seguire, era più che certo che Q fosse ancora lì presente e lo stesse spiando, come già altre volte aveva fatto, ridendo alle sue spalle per la sua mancanza di determinazione.
Finalmente si risedette sulla poltrona centrale, si umettò le labbra secche ed ordinò con voce aspra.
"Signor Data, spenga il nucleo di curvatura."
L’androide si volse con un’espressione perplessa sul suo volo biancastro, si apprestò a sottolineare l’inopportunità di quel tipo di manovra quando sullo schermo principale la distorsione venne sostituita dalle seguenti parole scritte a caratteri cubitali.
"Complimenti Jean-Luc, spegnere il nucleo a curvatura proprio in questo momento, davvero una bella mossa."
Picard non riuscì a contenere la propria rabbia, si avvicinò alla postazione del Secondo Ufficiale e ripeté i suoi ordini, mentre volgendosi verso un luogo non ben definito del soffitto sottolineò.
"Q, vattene dalla mia nave e lasciami in pace, hai già fatto abbastanza danni! Signor Data, spenga il nucleo, adesso."
Prima che l’androide potesse completare la procedura l’Enterprise fu improvvisamente avvolta da un bagliore luminoso, le pazza corsa nella cavitazione come per incanto ebbe termine mentre l’intero universo intorno a loro riprendeva le tranquille sembianze di sempre.
Picard sentì nettamente il suo equipaggio tirare un respiro di sollievo mentre una goccia di sudore freddo gli rigò l’occhio sinistro costringendolo a passarsi una mano sul viso.
"Signor Data, rapporto."
"Capitano, ne siamo usciti, abbiamo assunto rotta e velocità iniziali, danni minimi ai motori principali e sui ponti dieci e quattordici, le riparazioni sono già in corso."
"Grazie signor Data, faccia rotta verso la Base Stellare più vicina."
Picard indietreggiò verso la poltrona centrale, tentò di sedersi ma con imbarazzo sentì che il suo posto era già stato occupato, Q era lì e stava sorridendo maliziosamente indossando, come di consueto, l’uniforme da capitano della Flotta Stellare.
Istintivamente fece un balzo in avanti, si girò di scatto incontrando lo sguardo di quell’essere capriccioso, il quale proprio in quel momento gli stava mostrando la lingua emettendo dei suoni gutturali simili a pernacchie.
Indicando con il braccio destro la paratia Picard urlò senza più controllo.
"Q, la mia pazienza è finita, lascia immediatamente le mia nave!!!"
L’entità sembrò divertirsi vedendo il rossore sul volto accigliato del capitano, si alzò dalla poltrona mentre il servizio di sicurezza irrompeva in plancia spianando le armi.
"Fermi, restate ai vostri posti." ordinò rapidamente Picard afferrando le braccia dell’intruso prima che succedesse l’irrimediabile.
Q, distratto dall’iniziativa distolse lo sguardo dalla squadra ed incuriosito domandò.
"Jean-Luc, perché mi abbracci in questo modo? Non pensavo che fossimo diventati così intimi…capisco che tu possa trovarmi irresistibile, anche se continui a volermi mandare via ogni volta che salgo a bordo…ma in questo momento non sono qui per questo, devo parlarti con urgenza, e penso proprio che questo non sia il luogo più adatto. Andiamo, vieni con me."
Picard non poté proferire parola, né ebbe il tempo di fare nulla, Q schioccò semplicemente le dita e come di consuetudine un fascio multicolore investì i loro corpi facendoli svanire dalla plancia dell’Enterprise fra gli sguardi attoniti di tutti i presenti.

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Capitolo due

Il buio più completo avvolgeva il luogo dove Q decise di materializzarsi.
Con le punte degli stivali Picard tastò il terreno auspicando che ce ne fosse uno solido sotto di sé.
Gli scherzi di Q potevano essere letali e malgrado Picard pensasse di esserci ormai abituato, le certezze di uscire vivo dalle fantasie di quella creatura bizzarra non erano per nulla elevate.
Ansando per la tensione percepì nettamente il rumore del proprio respiro, intorno a lui sembrava che non ci fosse nulla se non l’oscurità ed il freddo che negli ultimi minuti si era fatto più intenso e pungente.
Eppure Q doveva essere ancora al suo fianco, Picard lo immaginò ridere a crepapelle vedendolo totalmente indifeso, per non dargli ulteriore soddisfazione decise di non proferire parola aspettando che fosse lui ad esporsi per primo.
Fortunatamente non dovette attendere a lungo.
"Allora Jean-Luc, non hai nulla da dire? Non sento più il suono delle tue vuote minacce." esclamò Q sfiorandogli con la mano il collo facendolo rabbrividire.
"Coraggio, non mi chiedi nemmeno dove ti ho portato e per quale scopo? Avanti, sono certo che muori dalla curiosità di saperlo."
Picard si sforzò di mantenere un tono controllato mentre cercava di localizzare il suono della sua voce.
"D’accordo Q, dimmi cosa vuoi e perché mi trovo qui." rispose brevemente sfregandosi le mani per generare un poco di calore.
Q non rispose immediatamente, preferì lasciare Picard sulle spine, poi dopo alcuni minuti con un battito di ciglio l’ambiente intorno a loro iniziò a rischiarare permettendogli d’intravedere la sua figura.
"Così va meglio Jean-Luc? Ormai dovresti saperlo che mi piacciono le entrate di scena drammatiche ed in effetti questa volta penso di aver superato perfino me stesso."
"Facendo esplodere una stella? Q, sei proprio un irresponsabile ed immaturo…"
L’essere non gli lasciò finire la frase, con un balzo felino si avvicinò al suo viso soffiando sul suo volto ormai congelato.
"Attento con le parole Jean-Luc, potresti farmi irritare seriamente, e questo sarebbe molto sconveniente per te, ad ogni modo ricordati che vi ho salvati dal vortice interdimensionale e soprattutto dai tuoi pazzeschi ordini." poi con tono più leggero puntualizzò. "Eppure uscire da quella trappola non mi sembrava così difficile, devo ammettere che mi avete deluso. Prima vi cacciate nei guai e dopo, come al solito, incolpate me per i vostri miseri fallimenti. Che delusione voi esseri inferiori."
Picard era prossimo a cedere, s’inginocchiò sul pavimento raggomitolandosi per il freddo che stava rapidamente paralizzando il suo corpo, si volse e vide il volto del suo persecutore osservarlo con un’espressione indecifrabile, incredibilmente intravide un barlume di compassione sul volto spavaldo di Q, pur non credendo ai priori occhi abbozzò un sorriso poco prima di perdere i sensi; poi tutto intorno a lui svanì completamente.

Quanto tempo era trascorso?
Impossibile definirlo con esattezza, il luogo dove Picard si risvegliò era simile al precedente ma se non altro la temperatura era certamente più confortevole. Sentì un braccio energico aiutarlo ad alzarsi dal giaciglio, dovette pensare di stare sognando vedendo che era proprio Q in persona ad offrirgli il suo aiuto.
"Grazie." disse infine ripulendosi l’uniforme un poco sgualcita e strappata in più punti.
"Di nulla Jean-Luc." rispose la creatura sapendo perfettamente quanto Picard odiava che lui si prendesse la licenza di chiamarlo semplicemente per nome.
"Adesso sono certo che mi ascolterai con maggiore attenzione, non credi?"
Con un gesto della mano lo spazio intorno a loro si tramutò in una città dalle sembianze sinistre: enormi ciminiere spargevano nell’aria voluttuose nuvole di fumo nero, mentre al suolo il fango sembrava invadere liberamente le strade scendendo dalle colline adiacenti.
I due s’incamminarono lungo le vie fra i passanti che tentavano di sfuggire alla pioggia acida che iniziava a cadere sulle loro teste sempre più copiosamente.
Picard cercò riparo sotto un cornicione spiovente e volgendosi al suo compagno domandò.
"Q, perché ci troviamo in questo luogo?"
"Jean-Luc, non vuoi arrivarci da solo? Non dirmi che non conosci questa città." rispose ironicamente indicando un passante che si proteggeva con un ampio cappuccio.
"Ehi tu, vieni qui!" ordinò afferrandolo per un braccio, lo pose di fronte al capitano e bruscamente gli strappò il copricapo.
"Un essere umano!" esclamò Picard notando con ribrezzo il suo volto ricoperto da cicatrici ed ustioni.
"Hai compreso adesso dove ti trovi?"
Picard apparve sempre più confuso, si guardò intorno cercando qualche punto di riferimento.
"Sembrerebbe la Terra." concluse infine riconoscendo alcune strutture della città, incamminandosi svoltò l’angolo ed intravide in lontananza il Golden Gate ed allora non ebbe più alcun dubbio.
"Si, indubbiamente siamo sulla Terra, esattamente a San Francisco, ma perché mi hai condotto proprio qui?"
Q lasciò andare il viandante, il quale si precipitò come un folle sotto la pioggia scrosciante perdendosi fra i vicoli della città ormai in preda al delirio della follia collettiva.
Intere bande di criminali si muovevano fra i disordini cercando d’accaparrare tutto quello che potevano dalle vetrine infrante dei negozi, del tutto incuranti del suono delle sirene della polizia che laceravano l’aria.
"Complimenti Jean-Luc, hai fatto centro ancora una volta, ma se osservi meglio noterai che manca qualcosa in questo luogo, qualcosa che per te ha certamente molto importanza. Coraggio sforza la tua piccola mente e tenta almeno di ricordare cosa c’era laggiù. Non è difficile, ci hai passato i primi cinque anni della tua inutile carriera." lo spronò Q vedendo il volto di Picard impallidire notando l’enorme fabbrica che si ergeva ad alcuni isolati di distanza da loro.
Tradendo tutta l’emozione che provava in quel momento finalmente Picard esclamò angosciato.
"È scomparsa l’accademia della Flotta Stellare!!!"
Q batté le mani per l’acuta osservazione.
"Bravo Jean-Luc, hai proprio indovinato, sei veramente molto perspicace…scommetto però che non sarai in grado di spiegarmi il motivo di tale assenza, sono pronto a scommettere qualsiasi cifra."
Rifiutando d’accettare quella realtà Picard ribatté cercando di convincere se’ stesso che quella era solamente una visione indotta da Q.
"Questo è uno dei tuoi soliti trucchi da baraccone."
"No Jean-Luc, nessun trucco questa volta, te lo giuro, incominci a capire adesso? No eh? Come al solito devo spiegarti tutto io. Bene, sappi che questo è il futuro della Federazione, e questi sono i risultati dei vostri inutili sforzi per migliorare la condizione umana. Questo è il luogo che testimonia il vostro totale ed assoluto fallimento: siamo esattamente nella San Francisco del venticinquesimo secolo, il vostro prossimo futuro, ecco cosa avete fatto e cosa vi meriterete." concluse Q con un’espressione ferina e minacciosa.
Picard rimase letteralmente senza parole, tutto intorno a lui sembrava un allucinazione senza fine, la città, le persone, perfino la struttura architettoniche di quel luogo assurdo ed irreale.
Alzando gli stivali, ormai completamente immersi nel fango, chiese con un filo di voce.
"Se questo è veramente il nostro futuro a quale scopo saperlo in precedenza?"
Q sembrava attendesse con impazienza quella specifica domanda, sospirò in modo teatrale e si sollevò in tutta la sua statura urlandogli dritto in faccia.
"Perché è tutta colpa dell’Enterprise se la Terra e la Flotta Stellare finiranno in questo modo!!! Voi esseri stupidi che giocate con la trama del tempo senza sapere quali saranno le conseguenze delle vostre azioni!!!"
Mentre indicava il paesaggio deprimente intorno a loro, Q perforò Picard con il suo sguardo indagatore.
"Adesso lo sai Jean-Luc, se lo desideri puoi provare a porvi rimedio oppure lasciare che il futuro ti venga incontro inesorabilmente in questo modo, a te la scelta, ma decidi in fretta perché io ho ben altre cose da fare."
Picard si fece piccolo deglutendo a fatica, tossendo per l’elevata concentrazione di carburi tossici nell’aria infine ammise.
"Va bene Q, hai vinto tu, cosa devo fare?"
Scuotendo l’indice l’entità fece un cenno negativo.
"Eh no Jean-Luc, non posso sempre essere io a rimediare alle vostre colpe, dovrai arrangiarti da solo, del resto non hai sempre cocciutamente rifiutato il mio aiuto?"
"Va bene Q, avevi ragione…per favore aiutami, dammi almeno qualche indizio in più."
Mentre i loro corpi si dissolvevano abbandonando quel tetro scenario Q sussurrò alle sue orecchie alcune parole.
"Come desideri, ho pietà della vostra ridicola specie, ricorda bene le mie parole: tutto quello che hai visto è stato causato direttamente dell’Enterprise. Buona fortuna mon capitain."
Picard completò la smaterializzazione e si ritrovò seduto sulla sua poltrona di comando fra gli sguardi angosciati del comandante Riker e del consigliere Troi, li osservò per alcuni secondi come se li vedesse per la prima volta in vita sua, poi si alzò di scatto ed ordinò in preda al panico.
"Allarme Rosso!"

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Capitolo Tre

Il mattino seguente nella sala riunioni il capitano Picard era intento a descrivere la sua incredibile avventura al resto degli ufficiali di plancia.
Il suo volto era ancora segnato per quella folle esperienza vissuta a fianco di Q e la sua voce, per quanto egli si sforzasse d’apparire rilassato, risuonava tremula ed insicura.
Il comandante Riker, come del resto tutti i presenti, tentò di non fare notare il suo imbarazzo nei confronti del capitano, attese pazientemente il termine del rapporto ed infine per sdrammatizzare la situazione rifletté ad alta voce.
"Certo che Q è veramente una spina nel nostro fianco."
Il signor Data non poté fare a meno di effettuare una valutazione più professionale della situazione.
"Capitano, quello che lei ha vissuto potrebbe essere stato una macchinazione di Q, devo sottolineare che ciò è già avvenuto in passato, come possiamo essere certi che adesso sia diverso?"
Picard incontrò gli occhi profondi del consigliere Troi, annuendo sperò che le sue percezioni empatiche potessero dare credito alla sua storia.
"Consigliere, la prego di dire a tutti i presenti quello che ha percepito durante la mia esposizione dei fatti, ho forse sognato tutto? Non tema di dire la verità, sarei ben felice di sapere che si è trattato solo un incubo."
La Betazoide si rivolse all’assemblea aprendo il palmo delle mani.
"Per quanto lei sia ancora visibilmente sconvolto, non c’era traccia di menzogna nelle sue parole, solo una certa confusione mentale, quello che ha visto corrisponde a verità, anche se ovviamente influenzata direttamente da Q."
"Il che ci riporta di nuovo al principio." intervenne Riker dando voce ai dubbi dei suoi colleghi.
Picard appoggiò la testa fra le mani, stette così per alcuni secondi, poi sollevò lo sguardo lasciandosi alle spalle le paure ed i fantasmi.
"Signori, io non ho nessun dubbio, l’ho visto con i miei occhi, fra duecento anni la Federazione sarà del tutto scomparsa e la Terra sarà un luogo simile ad un inferno dantesco. No, non posso essermi sbagliato, in fondo è tipico di Q spostarsi a suo piacimento nel tempo, è possibile quindi che visitando la Terra del futuro abbia effettivamente visto il pericolo che incombe su tutti noi e sia tornato per avvisarci ed impedire che ciò accada."
Il tenete Worf immaginò una strategia di battaglia per risolvere brevemente il problema.
"Capitano, cos’ha in mente di fare? Affrontare i vili nemici che attaccheranno la Federazione? Noi siamo pronti."
"No signor Worf. Q è stato molto esplicito nel darmi quel suggerimento, le sue esatte parole furono: tutto quello che hai visto è stato causato direttamente dell’Enterprise, capisce? Ha detto: è stato causato, cioè che è avvenuto nel passato, in qualche modo durante i nostri viaggi nel tempo abbiamo accidentalmente alterato il nostro stesso futuro."
Un certo disagio si diffuse fra i presenti mentre ponderavano con attenzione le parole del capitano.
Il tenente comandante La Forge si adagiò allo schienale della poltrona prendendo infine la parola.
"Si rende conto che è virtualmente impossibile determinare con esattezza quando ciò è realmente successo?"
Picard, dopo aver ascoltato i commenti dei suoi ufficiali, si avvicinò allo schermo spento sulla parete, indicandolo precisò.
"Lei ha perfettamente ragione signor la Forge. Entro domani voglio che esaminiate tutti i rapporti personali riguardanti le missioni che hanno avuto il tempo come fattore comune, anche il minimo evento insignificante dovrà essere riferito. Farete rapporto direttamente al signor Data, il quale estrapolerà tutte le possibili variabili nella speranza che possa spiegarci com’è avvenuta l’alterazione della storia. Per il momento è tutto, potete andare."
Lentamente in fila indiana gli ufficiali dell’Enterprise lasciarono la stanza evitando di fare commenti, la dottoressa Crusher si tenne in disparte lasciando defluire i suoi colleghi, poi si affiancò al capitano prendendogli la mano ancora tremante.
"Jean-Luc, cerca di rilassarti, vedrai che in qualche modo risolveremo anche questa situazione."
Picard le sorrise ricambiando il gesto d’amicizia.
"Lo spero veramente Beverly, credimi, il futuro che ho visto non l’augurerei al mio peggiore nemico."
"Non potresti tentare di ricontattare Q e cercare di ottenere maggiori informazioni?"
"Temo proprio di no, se lo avesse voluto lo avrebbe già fatto, sono convinto che in questo momento si stia nascondendo da qualche parte studiando il nostro comportamento. Ma soprattutto non ho nessuna intenzione d’inginocchiarmi nuovamente al suo cospetto!"

Il mattino seguente il signor Data accese lo schermo a parete illustrando i vari percorsi intrapresi dalla storia a causa della loro interazione con il passato della Terra.
Come un albero dalle mille diramazioni agli occhi dei presenti lo schema apparve confuso e senza senso.
La maggior parte delle linee evidenziate in giallo, rosso, verde ed in altre decine di sfumature diverse si perdevano in altri nuovi tratti indicando una miriade di possibili futuri.
Picard si alzò ed osservò con attenzione, mentre il comandante Riker iniziò a provare un forte mal di testa solamente immaginando di seguire una delle linee temporali illustrate nel grafico.
"Rapporto signor Data." ordinò Picard attendendosi dal Secondo Ufficiale una guida per comprendere il significato di quella proiezione.
L’androide si affiancò allo schermo evidenziando alcune linee temporali indicate in blu.
"Capitano, vorrei prima fare una premessa: un modulo di questo tipo non è mai stato realizzato in precedenza. Ho inserito i dati che mi sono stati forniti, e sebbene attualmente il mio cervello positronico stia elaborando alcune soluzioni alternative, temo non sia possibile determinare, quando e come, abbiamo commesso quell’atto specifico che altererà la storia."
Picard non poté nascondere la propria delusione, si affiancò all’androide perdendosi a sua volta nella miriade di linee disegnate sul video.
Infine vedendo sfumare anche quella tenue possibilità domandò.
"Questo è tutto signor Data?"
"Non esattamente capitano. Se vogliamo dare una priorità ai fatti che accaddero durante i nostri incidenti temporali, possiamo concludere che nessuno di essi è stato particolarmente rilevante da poter generare l’effetto da lei osservato."
Il capitano seguì attentamente il ragionamento, poi riprese posto a capotavola più confuso di prima.
"E ciò cosa vuole significare esattamente, signor Data?"
"Capitano, la frase di Q è stata, a mio giudizio, volutamente vaga, egli le disse chiaramente che quello che ha visto è stato causato direttamente dell’Enterprise, ma non necessariamente dalla nostra Enterprise."
Quelle parole colpirono Picard come un fulmine a ciel sereno, per un istante tutto nella sua mente apparve finalmente chiaro come se la soluzione fosse sempre stata lì a portata di mano.
"Ha ragione signor Data. Stando così le cose probabilmente Q si riferiva alla prima Enterprise comandata dal capitano Kirk circa ottant’anni fa, a quei tempi avvennero i primi incidenti temporali nella storia della Federazione, e James Kirk… non era certo famoso per essere ligio alla Prima Direttiva, almeno così è riportato nei diari dell’epoca."
Colto dall’impeto Picard batté il pugno sul tavolo, poi mettendo insieme i tasselli di quel complesso rompicapo preferì accertarsi nuovamente.
"Signor Data, è proprio certo che non siamo stati noi ad alterare il corso della storia?"
"Si capitano, con una percentuale d’errore dello 0,045 percento."
Fra i commenti più disparati degli ufficiali presenti Picard attivò il terminale a bordo del tavolo, digitò freneticamente alcuni tasti finché non entrò nella banca dati della Federazione, formulò alcuni quesiti e subito la macchina compilò la lista del personale dell’originale Enterprise ancora reperibile.
Tre nomi spiccarono fra gli altri, Picard trasferì rapidamente i dati sul grande schermo evidenziandoli in rosso: l’ambasciatore Spock, l’ammiraglio McCoy e il capo ingegnere Montgomery Scott.
"Numero Uno, inserisca immediatamente la rotta per la Base Stellare 42, dobbiamo assolutamente parlare con quei tre ufficiali." ordinò dirigendosi con passo deciso verso la saletta tattica.
Attraversando la plancia si sentì più sollevato sapendo di non essere il diretto responsabile della fine della Flotta Stellare, ma al tempo stesso non riuscì a comprendere come il capitano Kirk avesse permesso che tutto ciò potesse accadere.
I superstiti dell’equipaggio originale forse avevano la risposta alla sua domanda.

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Capitolo Quattro

"Maria, fai attenzione!" urlò il guardiamarina Piller afferrando al volo la provetta che distrattamente era caduta di mano alla sua collega.
Tirando un sospiro di sollievo la ragazza la raccolse e l’infilò con la massima cura nella valigia medica.
"Grazie Mike, ti devo un favore, non so’ cosa m’avrebbe fatto il Vecchio se avessi distrutto i campioni attivi del suo esperimento.
"Nulla di grave Maria, probabilmente ti avrebbe appeso fuori dalla stazione sospesa per le braccia." concluse Piller sforzandosi di rimanere serio.
I due scoppiarono a ridere proprio mentre una figura sottile e ricurva comparve sull’uscio alle loro spalle.
I suoi capelli argentati gli incorniciavano il volto rugoso e scarno, mentre il blu acceso dei suoi occhi sembrava non avesse perso d’intensità con il trascorrere degli anni.
"Ammiraglio McCoy!" esclamò la ragazza allontanandosi da Piller.
"I preparativi per il suo viaggio sono quasi ultimati." si apprestò a concludere prima che l’anziano ufficiale le rivolgesse delle domande imbarazzanti.
McCoy si avvicinò con la sua tipica andatura un po’ sbilenca causata da un’artrite molto fastidiosa agli arti inferiori, fissò incuriosito la sua assistente ancora rigidamente sull’attenti e replicò.
"Bene guardiamarina, me ne compiaccio, ad ogni modo sappia che non era mia intenzione appenderla fuori dalla stazione. Semplicemente l’avrei uccisa sul posto."
La ragazza arrossì visibilmente comprendendo che l’ammiraglio aveva sentito chiaramente i suoi commenti poco edificanti sul suo conto.
McCoy allungò la mano avvizzita e le accarezzò il viso paonazzo.
"Stavo solo scherzando Maria, quando si è prossimi ad iniziare un viaggio verso la Colonia Benecia tendo ad innervosirmi, e questo non aiuta certamente la mia sclerosi multipla…e adesso le dispiacerebbe portare quelle valige ed i campioni sulla navetta di servizio?"
"Certamente ammiraglio, come desidera." rispose prontamente la ragazza lasciando il laboratorio seguita a ruota dal guardiamarina Piller, il quale non ne voleva proprio sapere di restare da solo in compagnia dell’ammiraglio McCoy.
L’anziano ufficiale li osservò seguendoli con la coda dell’occhio, raccolse alcuni incartamenti e s’incamminò lentamente verso lo studio.
Tutto era pronto per la missione, McCoy sogghignò pensando a quella traversata come una missione in vecchio stile, in realtà sapeva perfettamente che avrebbe dovuto consegnare una serie di campioni all’università e con ogni probabilità presiedere ad una conferenza sullo sviluppo della medicina spaziale.
Sbuffò ripensando alla noia che tutto ciò avrebbe comportato, ma per un uomo che aveva già abbondantemente superato il secolo di vita si ritenne fortunato di poter viaggiare ancora per la Galassia con il grado di ammiraglio.
Eppure durante la sua giovinezza aveva sempre detestato gli alti vertici del comando, con le loro assurdità sulla disciplina, sui valori e sui vari regolamenti.
Lui amava definirsi un uomo pratico, un semplice medico di campagna, di quelli ancorati fermamente alle cose del passato, alle tradizioni, e se prestare servizio a bordo dell’Enterprise lo aveva reso una leggenda vivente adesso poteva tranquillamente trarne i suoi benefici.
Com’era solito dire ai suoi studenti sembrava che tutte le malattie di questo mondo si fossero accanite contro di lui, facendolo apparire più vecchio di quanto non fosse in realtà, ad ogni modo malgrado le oggettive limitazioni dell’età, la sua mente era rimasta lucida e sveglia.
Dopo la crisi derivante dallo scioglimento dell’equipaggio e dalla morte del suo capitano, si era gettato a capofitto nello studio e nel lavoro tenendosi costantemente aggiornato sui progressi della chirurgia e della medicina, ma sopra ogni cosa aveva sempre rifiutato categoricamente di essere messo a riposo.
Quello era uno dei vantaggi di essere stato a fianco del capitano Kirk durante la storica missione quinquennale della prima Enterprise, e se ancora oggi non era crepato, beh tanto peggio per loro.
Per quanto il suo burbero carattere non si fosse per nulla ammorbidito con il trascorrere del tempo, gli piaceva pensare che fosse ancora pienamente in grado d’apprezzare la vita in tutte le sue diverse sfumature.
Giurò a se’ stesso che sarebbe rimasto in servizio finché fosse stato in grado d’accettare uno scherzo da parte della sua giovane assistente o di qualche spavaldo cadetto dell’Accademia.
Circa venti minuti dopo McCoy si avvicinò al portello della camera stagna pronto ad iniziare la sua nuova avventura, Maria lo stava attendendo con la valigia medica in mano, gentilmente gliela consegnò precisando.
"Ammiraglio, ci hanno comunicato che la navetta avrà alcuni minuti di ritardo, tuttavia con il teletrasporto potrebbe imbarcarsi immediatamente sull’Intrepid, in questo modo avrebbe più tempo per sistemare le sue cose.
McCoy scosse il capo ed afferrò tremante la valigia, fece una smorfia di disgusto e s’incamminò verso la sala d’attesa borbottando.
"…teletrasporto…maledetta tecnologia …spargere le molecole di un uomo per tutto l’universo…che modo folle di viaggiare…pazzi."
Continuando il suo monologo prese posto nella sala d’imbarco passeggeri e si mise pazientemente in attesa di essere convocato.
Maria lo raggiunse e si sedette al suo fianco per accertarsi che non avesse ancora bisogno di qualcosa.
Indicando l’uscita McCoy la rimproverò alzando la mano ormai quasi scheletrica.
"Adesso può andare guardiamarina, non sono ancora del tutto decrepito e non ho bisogno di una balia."
"Se me lo consente ammiraglio, vorrei attendere con lei la navetta."
"Faccia pure come crede guardiamarina." rispose bruscamente McCoy appoggiandosi allo schienale imbottito della poltrona.
Trascorsero alcuni minuti in silenzio.
Improvvisamente Maria sentì la testa del suo superiore adagiarsi sulla sua spalla, con tenerezza lo guardò e vide che si era assopito come un neonato, per non disturbarlo rimase immobile in quella posizione senza fare il minimo rumore; sorrise considerando come il sonno degli anziani fosse molto simile a quello dei bambini.
Malgrado non fosse un comportamento troppo conveniente per un ammiraglio della Flotta, la ragazza pensò che in fondo in quel momento nessuno era presente nella saletta ed il viaggio verso Benecia sarebbe stato lungo ed estenuante per un uomo della sua età.
Stettero così per circa quindici minuti, quando il pannello di comunicazione sulla parete trillò annunciando una chiamata d’imbarco, Maria scosse lievemente la spalla e McCoy si svegliò di soprassalto.
"Si? Siamo già arrivati?" chiese in preda all’eccitazione, sbigottito guardò il volto tondeggiante di Maria e capì cos’era successo, l’accarezzò dolcemente e la ringraziò per tutte le sue attenzioni nei suoi riguardi, poi come se nulla fosse successo si ricompose e si diresse verso il portello, lo aveva quasi oltrepassato quando una seconda voce si aggiunse a quella dello speaker.
"Ammiraglio McCoy? Sono il capitano Jean-Luc Picard a bordo dell’Enterprise, mi scusi per l’intromissione, ma avrei urgente bisogno di parlarle, la prego di accusare ricevuta del messaggio."
McCoy non poté credere alle proprie orecchie, con il pugno destro attivò immediatamente il comunicatore sulla parete.
"Qui parla l’ammiraglio McCoy, capitano Picard di cosa si

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