(secondo classificato)
"Allora…Ti chiami Marian Bergère. Sei nata il giorno 8.4.06. I tuoi genitori risultano dispersi. Attualmente sei iscritta all’istituto di biotecnologie alimentari di Bologna. Alle ore 3.46 del giorno 3.12.26. sei stata trovata in possesso di capsule contenenti caglio per uso alimentare…Rischi l’incriminazione per tentata strage…Ci arrivi a capirlo, questo?"
L’uomo in uniforme verde ha una voce gentile. L’uomo le si accosta, le accarezza la guancia destra. Un dolore dolciastro le si stende per il corpo stretto alla sedia con cinghie magnetiche. L’uomo in uniforme attende un istante.
"Non credo che ci sia niente da aggiungere."
Marian non riesce a respirare. "Io non ne sapevo niente…" Gli occhi le si sfanno in una massa di capillari rossastri, le pupille si scontornano.
"Perché dici che non ne sai niente? Noi abbiamo le prove…"
Marian ha fissi gli occhi sul pavimento.
"Da quanto lo conoscevi? Lavoravate da molto?"
Marian alza lo sguardo verso l’uomo in uniforme. Ne ha un’immagine sfocata. L’uomo pare essere stanco, la voce gli si fa atona.
"Proiettare il filmato 8.4.06."
Contro la parete più larga appaiono immagini confuse di corpi compressi sotto una massa cromatica rossastra di ciano. Dall’alto due voci si sovrappongono a tratti in un’unica traccia, si scontornano in suoni, per poi ricomporsi.
"Fai presto."
Un uomo e una ragazza dentro una stanza. Al centro sta un tavolo rettangolare. Sul tavolo stanno sparse alcune capsule arancioni. L’uomo col cappotto addosso sta piegato sul tavolo, le mani a cercare le capsule: infila le capsule in una bustina di plastica. "Ho quasi finito." Si mette la bustina nella tasca del cappotto blu con striature ocra.
La ragazza si stringe le braccia al petto: il corpo le si sflana, stretto dentro il chiarore della maglia.
"Già fatto?…" Si lascia andare, stesa sopra al tavolo. "…dici che lo sanno?" Si stringe le gambe al petto, le dita intrecciate.
Lui la guarda lentamente. "Cerca di non pensare, per favore…ti chiedo solo di non pensare a niente. Potrebbero individuarci…" Le si fa vicino, le passa una mano sopra la fronte fredda. La tiene a sé. Le dita gli si sfanno in uno sfarfallio ramato.
Immagini che si scontornano tra il pavimento e l’aria. Una ragazza è distesa sul pavimento, si passa le dita sopra le costole. Se le conta. Su di lei cade come un velo di polvere.
"Vero che non sai il mio nome?" Tiene chiusi gli occhi. Ora li apre, li volge a sinistra. L’altro è nudo, sta discosto. Cerca il cappotto con la mano.
"…Mi chiamo Marian…Cosa credi che cambi adesso?" La voce si assottiglia, le si sfa come gesso: "…Le OGM ci troveranno comunque… quanto formaggio si fa col caglio dentro le capsule?…Ci arresteranno per tentata strage…"
Quello si perde in un bordo della stanza, appiattito nelle crepe della parete opaca. A sinistra, dal bordo una luminescenza si slarga a macchia, sfora l’immagine. Marian si alza di scatto, la luce taglia in due la stanza.
"Cos’è?" Resta immobile. Il chiarore le ridisegna il corpo. L’altro sta già dentro il cappotto.
"Si chiamava candela…soltanto candela. Non ci possono trovare."
Marian cerca la maglia, se la infila: la stoffa si allunga fin sotto le natiche. "Non funziona con batterie chimiche?"
"No. Non credo…" Lui la poggia sopra il tavolo, devia la luce col palmo della mano. La fiamma si piega verso la sua pelle, gliela sfiora, passano pochi istanti. Scosta di scatto la mano. Ora sorride.
L’uomo e Marian percorrono un corridoio stretto di ruggine e rifiuti. La luce della candela si sfa in riflessi ocra, a tratti ramati. Si posa su monili di ossidiana. Si allunga fino a perdersi pochi metri oltre.
"Quanto tempo è trascorso?…Ci dovremmo essere…No?"
"Non so… Sì, ci siamo."
Un bagliore bluastro viene loro incontro.
Marian si stringe la bocca, i denti contro le labbra. "È il segnale, vero? Tra un po’ via questa roba…Non ne voglio più sapere niente di caglio…"
Lui soffoca la candela, spinge Marian indietro. Marian cade tra rifiuti friabili di ruggine. Tutto intorno è rosa. C’è un suono sordo che riecheggia. Marian trema, si muove a scatti. Sta col petto aperto, i polmoni che affogano nel sangue. Voci le si accalcano alle orecchie. È immobile, le ossa le si fanno pesanti. Avverte qualcosa di freddo afferrarle il braccio, poi come un ago penetrarle la cute gonfia di sangue. Immagini che si sfocano in striature bluastre.
Le immagini scivolano via dalla parete più ampia. La luce a elio illumina la stanza bianca dalle dimensioni irregolari.
"Marian…Mi senti?…"
Marian non riesce a muovere gli occhi…
"Come fai a dire che non ne sapevi niente…Marian, confessa… avrai una riduzione di pena… lo sai che il caglio naturale è pericoloso. Lo sai che è illegale venderlo. L’hai fatto per soldi?"
Gli occhi di Marian lacrimano. Il respiro le si disfa in gemiti.
"Marian… non sarai certo una terrorista…"
L’uomo in uniforme le prende il mento tra le dita, glielo agita, le sorride: "Marian, sai che il filmato non mente… Lo sai, no?, che è reale. Non l’hai ancora studiato?…Proiettare il filmato 8.4.06."
Contro la parete più larga appaiono immagini confuse di corpi compressi sotto una massa cromatica rossastra di ciano. Dall’alto due voci si sovrappongono a tratti in un’unica traccia, si scontornano in suoni. Per poi ricomporsi.
Film 8.4.06.
Christian Del Monte