Prendo spunto da un articolo apparso su "l’Unità" il primo Novembre per parlare del famoso contributo statale al cinema cosiddetto di qualità. Premetto che tutto ciò che segue è un’opinione assolutamente personale, premessa necessaria dato che si discorrerà anche di politica e di orientamenti ideologici.
Da quando il governo Berlusconi è caduto non passa occasione in cui gli stessi esponenti d’allora non attacchino con forza il finanziamento al cinema italiano di qualità. Mettiamo ordine. Da qualche anno esiste una commissione ministeriale il cui compito è quello di selezionare alcuni copioni cinematografici da finanziare a fondo perduto (ma poi vedremo un’eccezione importante) al fine di favorire il cinema di qualità, il cinema d’arte che altrimenti i produttori difficilmente rischierebbero, dati gli scarsi incassi. Veltroni ha ridisegnato questa commissione riducendo il numero dei componenti da quaranta (sì, quaranta!) a sette ed estromettendo i produttori. Ora in questa commissione ci sono solamente esperti del settore come sceneggiatori o autori e non più persone direttamente interessate alla canalizzazione dei fondi. Qual è l’accusa mossa dalle personalità del Polo a questa forma di finanziamento? Il fatto che i film "omaggiati" di questa assistenza finiscano molto spesso per incassare meno di quanto sia effettivamente costata la realizzazione e soprattutto il fatto che, parere loro, a beneficiare di questa legge siano sempre temi, sceneggiatori e registi di "sinistra".
Bastano poche parole per capire come diverso sia l’approccio di due ideologie contrapposte ad un tema così poco proficuo come la cultura. Nessuno ricorda che col governo precedente erano i produttori stessi a spartirsi i fondi fin dalla loro erogazione, semplicemente spingendo i propri film in barba a qualsiasi valutazione di qualità o di interesse. I detrattori dimenticano che il fondo ha comunque finanziato Ciprì e Maresco, un cinema di qualità riconosciuto in tutti i festival mondiali, "Radiofreccia" che poi ha rinunciato al finanziamento grazie all’importante accordo commerciale con la Medusa, "Così ridevano" vincitore del festival di Venezia, e poi Scola, Luchetti, Argento e tanti altri film sui quali i produttori tentennano preferendo gli incassi di "Tifosi" o la distribuzione dei filmoni americani. Troppo comodo, troppo facile poi sparare sul cinema italiano quando, secondo alcuni, il cinema italiano che i produttori vogliono si limita al pur buono genere commedia alla Pieraccioni, Verdone, Vanzina ecc., ovvero i "blockbuster" nostrani. Nessuno ha il coraggio di dire che il finanziamento è deciso sulla base di un copione e che poi il risultato finale può essere inferiore alle attese, come è successo per il "Fantasma dell’opera" di Dario Argento, ad esempio. Nessuno ha il coraggio di dire che gli sceneggiatori giovani si stanno appiattendo sulle fiction, le uniche veramente richieste dai produttori. Nessuno ricorda che ormai, fatta eccezione per i veri film ammazza-sale, l’incasso al botteghino è una voce minore della resa totale di una produzione cinematografica dove ormai fanno la parte del leone la pay-per-view, le videocassette o le televisioni pubbliche e private. E allora basta. Chi predica la fine dell’assistenzialismo statale è la stessa voce che chiede soldi per film di basso spessore culturale e alti incassi. E’ così che andrebbero spesi i finanziamenti dello stato? Sarebbe veramente un’indecenza.
Criticare solamente è facile, però. E’ naturale che senza questo tipo di finanziamento il cinema d’autore sarebbe addirittura ignorato dalle produzioni e dalle distribuzioni e tornerebbe nell’ombra, destinato a non essere mai visto, schiacciato dai soliti film. Sempre da "l’Unità" leggo che Lionello Cerri, il produttore del bel "Fuori dal mondo1" con Margherita Buy e Silvio Orlando, è ancora in rosso con i costi di produzione nonostante il film sia stato premiato ed apprezzato tanto in Italia quanto all’estero. Forse la Rai dovrebbe dare l’esempio destinando un po’ più di risorse al cinema togliendone al boom delle fiction (dove ormai abbiamo già visto tutti i mestieri "buonisti" di questo mondo dalla commessa, al medico, al professore, al nonno…), forse il finanziamento dovrebbe essere restituito in base all’effettivo andamento della pellicola sul mercato, forse si potrebbe costringere il distributore ad abbinare uno di questi film ad uno dal successo scontato proprio come loro fanno con gli esercenti. Un’altra proposta, non mia ma sempre colta dalle parole di un piccolo produttore italiano, potrebbe essere quella di ridurre progressivamente l’importo del finanziamento ad un regista già conosciuto, ad una casa di produzione non minuscola in modo tale che in questa forma l’aiuto statale sia inteso come spinta iniziale e non come finanziamento tout court. Si potrebbe inoltre erogare meno denaro ma includere nel finanziamento un importo minimo d’acquisto per i diritti televisivi da parte della rete pubblica, importo poi che nessuno vieta di salire all’asta se il film è richiesto da altre reti. In questo modo al film non si darebbero solamente soldi ma anche (e soprattutto!) visibilità e pubblico.
Forse basterebbe saper leggere oltre le righe e capire che una commissione snella e competente che finanzia spesso buoni film italiani fa venire la bile ad una schiera di politicanti e affaristi che certi film non li va a vedere e non li vuole produrre…
Meditate gente, meditate.
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Sono miliardi spesi bene?
Benatti Michele
E’ proprio di questa mattina la notizia che questo film aggiunge alla lungua lista di riconoscimenti già vinti l’onore di rappresentare l’Italia alla selezione per gli Oscar.