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Pesci rossi

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Pesci rossi

Mi guardava con due occhi colmi di sentita partecipazione ma non riusciva a nascondere un sorriso di apprezzamento. Puntava un dito sul mio "povero pancino" dolorante sussurrandomi tutte le spiegazioni del caso. << ...qui dentro hai due pesciolini rossi che stanno giocando... ti faccio una tisana calda con tanto zucchero e fra poco ti passa tutto>>.
Pesciolini rossi nella pancia? E quando mai ho mangiato pesci rossi? Quel giovane dolore annientava la mia ben poca pazienza e quelle poche parole, ad un bambino che aveva da poco superato il tavolo di cucina in una lotta senza quartiere di centimetri con tutto il mobilio di casa, parevano fondarsi su solide basi scientifiche.
Colei che mi preparava tanto duramente alla vita era una sorta di balia o tata del tipo "via col vento, quasi una Mamy dal viso rubicondo, dalla figura balenoide e dall’abbraccio più protettivo del mondo. Ma in quel mondo, immenso, grande quanto il cielo sopra la mia casa, la mia tata aveva la pelle più chiara di una serva della Virginia del sud nella metà del secolo scorso ed io curiosamente la chiamavo nonna.
Col tempo il rischio di tanta verità era quella di procurarmi un certo aborrimento verso la fauna ittica… niente da fare, continuavo a divorare volentieri grigliate di pesce e fritti misti accertandomi prima, con quel forcone in miniatura che avevo nella mano, che almeno quei pesci non avessero più intenzione di muoversi.
Ma accadeva ugualmente, nonostante le mie precauzioni, che quei due bastardi di pesci rossi, Fred e Ginger, non la smettessero più di giocare.
Le volte che mi hanno colpito a tradimento, funesta sindrome da evento angosciante o sconcertante sbalzo termico, non riesco a contarle e forse neppure tutte le ricordo.
Rimangono quelle situazioni epiche che mi hanno reso cosciente della mia natura mortale temprandomi alla sofferenza senza una tisana calda a portata di mano.
Gli anni trascorsero e quei due pesci rossi crebbero sino ad assumere le sembianze di due squali balena…
Quel pomeriggio il grande Odino decise di scolare la pasta sulla mia polverosa città e pesanti goccioloni caddero caldi come brodo.
Mi ero concesso un’ora d’aria, diritto anche dei detenuti di massima sicurezza, un’ora di niente per rilasciare la tensione accumulata in vista dell’esame. Passeggiavo ma non riuscivo a liberare la mente, una goccia mi colpì sul naso, seguito da un boato a squarciare un cielo da fine del mondo e da un bombardamento crescente. Subito dopo sentii un brontolio profondo provenire da me, feci una smorfia pensando che Fred si fosse svegliato già incazzato.
Furono sufficienti una decina di gocce grosse come un pugno a infradiciarmi, mi misi a correre rifugiandomi nella libreria verso cui ero diretto. Poche cose sono più soddisfacente che ritrovarsi in un locale climatizzato circondato da libri intonsi custodi di chissà quali verità mentre fuori un nubifragio esplode con uno scroscio liberatorio.
Ero bagnato ma stranamente sollevato. Afferrai qualche libro la cui copertina attirava la mia attenzione leggendone la trama e le prime righe. Mi rilassai abbassando la testa quasi ad avvicinarmi a quelle ordinate pile di testi, ma quando sbirciai alla mia destra non lessi più neppure una parola. Cautamente prendevo un libro a casaccio lo aprivo fingevo di leggere, lanciavo uno sguardo a quella figura, ed ancora più delicatamente lo deponevo al suo posto.
Vedevo soltanto lei, a meno di due metri da me, intenta a scrutare un volume quanto mai anonimo. Aveva un profilo del volto perfetto, e quelle labbra rosee appena socchiuse erano da spezzarti il respiro. I capelli erano legati in una treccia che le cadeva una spanna sotto le spalle, era vestita di rosso. Niente orecchini, niente trucco. Istintivamente mi ersi in tutta la mia prestanza fisica, a sottolineare che si trovava di fianco ad un uomo dotato di geni forti e gagliardi. Ero pronto a riprodurmi con lei anche sul momento ma lei non volle darmi soddisfazione. Io continuavo a fingere di leggere un libro sull’uncinetto, quando mi accorsi che teneva in mano un romanzo che avevo letto di recente. Nella mia testa cominciò a suonare un allarme ed una voce tuonò "siluro numero uno fuori" e le rivolsi la parola.
<< quello l'ho letto, è un bel romanzo d'avventura... se ti piace il genere>>.
Intanto pregavo perché non mi mandasse a cagare, anche se con due pesci rossi che sguazzavano nel mio ventre l’evenienza non mi pareva così infausta.
Lei si voltò per vedere da dove provenisse quel suono e penso che l’immagine di me infradiciato fosse, purtroppo, simile a quella di una foca monaca dall’aria interrogativa.
Vide il libro che tenevo tra le mani e con una punta di cattiveria disse: << anche quello è un buon libro... se ti piace il genere>>. Poi sorrise, la bastarda. Era bella, con gli occhioni grandi ed io non potei far altro che sorridere ringraziando il cielo di non aver avuto tra le mani un manuale di Kamasutra.
Il mio sguardo era sceso fino al seno quando quel figlio di una "pesce cagna" di Fred mi lanciò un fitta lancinante allo stomaco. Sbiancai e posai il libro sull’uncinetto.
La mia "fata" intanto prendeva libri come fossero stuzzichini, con un gesto appena accennato si rivolgeva a me per chiedermi: <>. Voleva mettermi alla prova.
La metà dei giudizi che detti erano inventati. Ero ai limiti della sopportazione Fred e Ginger stavano giocando a Hockey, ed io sentivo scendere sulla schiena rivoli di sudore freddo.
Mi diedi alla fuga, con una frustrazione tale da farmi tremare di rabbia.
Prima di uscire la guardai un istante ma lei non mi degnò neppure di una smorfia.
Corsi via quasi più disperato per averla dovuta lasciare, probabilmente per sempre, che per il dolore che sentivo. Nei giorni che seguirono fui un’anima in pena, tutto sembrava andare storto, gli inderogabili impegni universitari che mi sarebbero stati derogati per insipienza, gli incontrollabili sentimenti che provavo per una ragazza sconosciuta, mi pressavano senza tregua.
Galleggiavo per le vie del centro, senza alcuna prospettiva all’orizzonte, con la testa china attento a non inciampare in qualche granello di polvere, intento a ricordare quella ragazza dal vestito rosso che mi era apparsa in sogno, quando la vidi.
Era in compagnia di altri ragazzi armati di borse e ventiquattrore che immediatamente mi stettero sui coglioni. Mi raddrizzai, stentai una camminata alla Jhon Travolta ne "La febbre del sabato sera", e con un espressione di compiacimento sul viso la salutai.
Lei si girò di scattò mi guardò e concedendomi un sorriso da primo premio mi disse ciao.
Lei proseguii, io pure.
Svoltai l’angolo con quell’aria da "bhè è successo qualcosa?", mi preoccupai di non essere a portata di sguardo e il mio umore stramazzò al suolo. Restai immobile, Ginger sbarrò un istante gli occhi poi li richiuse disgustata.
La reale sensazione di essere un idiota mi giunse come un sussurro.
Due volte, per due volte incontro la mia "fata" e non riesco a parlarle. Pregai intensamente che Fred e Ginger si trasformassero in due piranha assetati di sangue per divorarmi e mettere fine alla mia sofferenza. Poi mi vennero alla mente le parole che mio nonno mi disse anni prima: << con calma, pazienza e determinazione si ottiene tutto, tutto tranne afferrare quelle rarissime opportunità (botte di culo) che ti trovi davanti al naso all'improvviso >>.
In quell’istante seduto per terra, il disprezzo che provavo per non aver onorato quella voce lontana mi fece venire la nausea, balzai in piedi e corsi per inseguire ciò che volevo.
Quando lei mi vide sorrise di nuovo, questa volta divertita .
A me sarebbe anche bastato quello, quello e qualche bacio, ma lei non sembrava capire il mio bisogno così mi obbligai a parlare. Emettevo suoni sforzandomi di non sbirciarle il seno. Diedi un nome ad un desiderio e puntai al lotto il suo numero di telefono negli anni a venire. Giocai la partita fino in fondo senza darle l’opportunità di scomparire ancora.
Mi bastarono pochi minuti per essere certo che fosse più bella di qualsiasi sogno.
Mi ero innamorato e magicamente Fred e Ginger si tramutarono in pietra.
Un blocco allo stomaco mi rendeva difficile deglutire ma era la sensazione più esaltante che avessi mai provato.

Un blocco allo stomaco mi rende impossibile deglutire e non è la sensazione più esaltante che ho provato. Anzi mi sento soffocare, ed ho sentito distintamente Fred urlare: <>.
Intanto continuo a chiedermi il perché mi trovo qui, in piedi, diritto come una candela, nel mio abito fresco-lana con un espressione di rigida attesa sul volto. Rivedo le gambe e la curva delle natiche che ho adorato per tutti questi anni, lo sguardo che riserva soltanto a me, una voce maliziosa a chiedere, per poi dare con amore. Ma devo scacciare questi pensieri impuri, per non attrarre l’attenzione verso i miei pantaloni dalla piega perfetta.
Torna subito l’agitazione, mi mordo il labbro per una fitta di dolore allo stomaco.
Quei bastardi di Fred e Ginger stanno facendo un "uno contro uno" a pallacanestro.
Alzo lo sguardo verso di Lui, Arbitro supremo, pregandolo che li espella entrambi per comportamento indegno. Cerco di avvalorare la mia causa sussurrandogli che loro non sono figli del Signore ma solo pesci rossi generati dalla mia mente.
Sto per voltarmi per osservare quel branco di squali elegantemente seduti assetati di sacramenti, quando una figura appare sulla soglia. Mi accorgo di non respirare, supplicando un time out ai miei pensieri ed alle mie paure. Quella "cosa bianca" ha varcato l’ultimo confine al quale potevamo appellarci e si avvicina. La mia nozione del tempo non esiste più, ed i volti esultanti dei consanguinei non alleviano la mia agitazione. Cominciò a sentirmi incazzato per dover condividere noi stessi, lei ed io, con quel mercato di gente.
Lancio sguardi intorno ma non vedo niente, non vedo la sposa.
Lei si ferma di fronte a me, io, con la faccia da buffone, sto per chiederle: << Ciao, non ci siamo già conosciuti noi due?>>.
La mia bocca è disidratata, quando sento il suo profumo e quello della sua pelle.
Fred e Ginger mollano la palla e si siedono tranquilli in platea a godersi lo spettacolo.
Io alzo le spalle, sottolineando che ho ancora geni buoni, il sorriso si fa sicuro, l’emozione diventa desiderio di toccarla. Scorgo una ciocca di riccioli che le accarezza il viso e mi chiedo per chi stiamo facendo tutto questo. Ho paura a voltare la testa per scorgere qualcuno che a malapena conosco.
Mi guarda, vorrei rassicurarla ma già sono impegnato a confortare me stesso. Mi sento come il primo attore di una commedia colpito da amnesia fulminante.
Quella "cosa bianca" è la donna che ho scelto, finalmente la riconosco e mi scappa un ghigno, un sorriso divertito almeno quanto il suo, la prima volta che l’ho rincorsa.
Fred e Ginger stanno applaudendo.
Sorrido perché mentre io mi ritrovo due bastardi di pesci rossi, a lei la notte prima è toccato visitare l’acquario di Genova. Sì, la voglio.

David Argenta

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