Quello strato di terra sulla pelle non
compromette un equilibrio reso friabile
dal tempo. Ricade al suolo per ricomporsi
alla prima pioggia, che magari attenderà
per diverse gestazioni e aborti.
H 15,30. Bologna. Al primo piano di un palazzo in via Emilia Ponente.
Jasmine è nuda. Sta sul letto, le braccia strette al corpo. Stende le dita. Trattiene il respiro, la bocca chiusa. I seni le si sformano dallo sterno contro le costole. Tiene congiunte le palpebre. Passa un istante, poi un altro. Le labbra sempre più serrate. Quasi le si fanno bianche. Forse è un minuto. Adesso Jasmine è violacea intorno agli occhi; si tiene alla trapunta, le si stringe con le mani fino a non sentirsi più le unghie. Le pulsazioni cardiache le spezzano il corpo. Sente come se avesse terra dentro ai polmoni. Le orecchie prendono a fischiare. Le guance le si imporporano. Una donna le si fa di fianco e le stende sul corpo un peplo color porpora con radi disegni in oro. Le ha appena coperto il capo. Attende. Ora la solleva tra le braccia. Le avvolge il corpo dentro al peplo. Prende una corda nera di un certo spessore, posta ai piedi del letto. La volge intorno al corpo della ragazza, partendo dalle caviglie. A tratti la donna tira forte la corda. Jasmine non si muove.
La donna le cerca il seno sinistro, rigonfio di sangue; le prende in bocca il capezzolo attraverso la stoffa, per stringerlo tra i denti piano, poi coi denti più serrati. Jasmine si contrae in un corpo che si sfa in dolore. La corda le taglia la carne. Si tiene stretta alle ossa. Jasmine respira forte. Ti amo. Si sente sfiorare la testa, stringere i capezzoli. Quella le poggia sul ventre un vassoio con dentro una siringa e un taglierino. Prende il taglierino e pratica una piccola apertura nel peplo in corrispondenza dell’avambraccio. Prende la siringa. Le cerca una vena. Pratica l’iniezione. Ripone la siringa nel vassoio, quindi questo in terra. Si adagia su Jasmine, che adesso respira piano. Con lei di nuovo sopra, come sentirsi un lemure.
H 17,43. Bologna. In via Emilia Ponente.
La donna libera Jasmine, che resta immobile. Fissa la finestra. Ora si alza dal letto. Prende i vestiti da sopra la sedia vicino al letto. Va in bagno. La donna sta su un’altra sedia, poco discosta dal letto, di fianco a un tendaggio arancione che ricade sul pavimento. Attende qualche minuto in silenzio.
Jasmine ricompare. Sta dentro a un vestito multicolore in cotone con predominanza di verde sporco.
"Io vado." Le si china sul volto. La bacia sulla guancia. Quella le accarezza i capelli, poi le natiche. L’altra le sorride.
"Ciao"
Jasmine va verso la porta d’ingresso senza voltarsi. La donna la osserva uscire, la schiena curva.
Scese le scale, attraversato il portone in vetro blu dello stabile, sta già in strada. Si muove lenta sulle gambe indolenzite, ha i tendini del collo tesi. Ci sono volte in cui si pensa di non poter avere fretta, tanto ci si sente il corpo stretto. Si guarda attorno. L’autobus…Vaffanculo. Si affretta. Inciampa. Sta per cadere. Si tiene a un palo. L’autobus no 25 le passa davanti, con la sua massa incassata di corpi. Non ce la faccio…Merda…Prende a correre. Sente una fitta crescerle dentro la coscia destra, tenerle il sottocoscia. Adesso Jasmine vacilla. Scansa un vecchio, poi una donna, quasi inciampa in un cane. Il cane le corre dietro. Lei non riesce a scalciarlo. La fermata…L’autobus sta immobile poco più avanti. Forse…L’oggetto arancione le sembra prossimo. Forse…C’è ancora gente in fila che sale dalla portiera posteriore. La fila si riduce. Jasmine si accosta a una donna. Respira a fatica. Guarda il cane. Scodinzola. Sale sull’autobus. Resta in piedi. Pieno. Sta incollata alla donna davanti, incastrata tra uomini ai lati con gli occhi fissi in terra, in un silenzio intessuto di rumori tra smagliature larghe un sorriso. La portiera meccanica si chiude. Un uomo abbastanza avanti con gli anni le si appressa dietro. Jasmine sente le sue ossa accalcarlesi lungo la schiena fino alle natiche. Avverte l’odore crudo di quel corpo asperso di borotalco e naftalina. Resta ferma. Il respiro è quasi normale. Il sudore si rapprende tra le pieghe del suo corpo, glielo scava. Il vecchio le sta sempre più addosso. Jasmine fa finta di niente. L’autobus si arresta bruscamente e provoca un contraccolpo in avanti. A Jasmine sembra che le ossa del vecchio si facciano in pezzi contro il suo corpo. Si fa rigida tra le cosce. Indurisce le natiche: il vecchio per tenersi ha posato le mani sui suoi fianchi. Le sente ruvide. Jasmine aspetta. L’autobus ha ripreso a muoversi. Il vecchio non sposta le mani. Jasmine è un pezzo di legno. Giornata di merda…Si spinge in avanti sulla donna, che di rimando le urla sul naso un distinto: "Non spingere!". Jasmine resta confusa. Nel frattempo il vecchio ha abbassato le mani, raccogliendo tra queste le natiche. Jasmine trattiene il respiro, non sa cosa fare. Rilascia i muscoli delle gambe, cerca di respirare regolarmente. Si sente come nuda. Non riesce a reagire. Prova un formicolio sempre più intenso. L’autobus è di nuovo fermo. Aperta la portiera, Jasmine di scatto, senza riflettere travolge il vecchio e si precipita fuori. Per la strada, tra persone che fanno la fila per salire sul mezzo pubblico. Guarda le portiere chiudersi e portarsi via il vecchio con la mano sulle palle. Ha come il bisogno di urlare. La voce non le esce. Stanca ricomincia a camminare.
H 19,24. Davanti alla Feltrinelli.
"Era ora. Che è mezz’ora che ti aspetto. Quanto ti durano queste lezioni di matematica?! Se mi conti balle, guarda che fai prima a dirmelo, invece di farmi aspettare mezz’ora. Cos’hai?"
"Ho avuto da studiare molto. Ho preso l’autobus e un vecchio mi toccava il culo. Sono scesa e me la sono fatta a piedi. Poi arrivo qui e tu t’incazzi. Giornata di merda."
"Chi è che t’ha toccato il culo."
"Penso che era un maniaco."
"E tu ti fai toccare il culo da un vecchio e non gli dai un calcio tra il coglioni?!"
"Non sapevo cosa fare. Mi sono spaventata…"
"Sei una troia…che ti piaceva…dai, dillo. Che almeno non mi pigli per il culo."
"Mi è piaciuto tanto che gli ho fatto anche un pompino. Sei contento?!?"
"Sei solo una vacca…"
La schiaffeggia. Lei si allontana. Lui resta fermo, poi la raggiunge. Si abbracciano. Camminano insieme senza dirsi niente. Entrano in via dell’Inferno. La strada è deserta. Marco si ferma, si guarda la mano arrossata.
"Scusami. È che sei così bella, che ho paura che mi lasci. E se lo vuoi fare, però dillo, che così mi passa prima."
Jasmine lo guarda, gli prende la mano. Gliela bacia.
Riprendono a camminare. Da dentro un portone esce fuori un ragazzo sui sedici anni. Prende a camminare distratto. Marco e Jasmine gli si fanno vicini. Questo li osserva. Gli passano davanti. Fissa Jasmine, che guarda per terra. Gli pare di conoscerla. Quando ormai sono già oltre, il ragazzo si ferma e dice ad alta voce: "Tu non sei Jasmine?"
Jasmine si volta di scatto e lo saluta in fretta. Marco la fissa. "E quello chi è?"
"L’avrò conosciuto a una festa. E tu non lo conosci?…"
"Mai visto…" Marco sta zitto. I pollici delle mani gli si rodono tra loro.
Da parte sua, l’altro resta fermo a guardare il culo di Jasmine, fin quando questo non scompare dietro un angolo. Adesso riprende a camminare. Guarda l’orologio. H 19, 27. Luca affretta il passo.
H. 19,27
Luca con passo svelto ripercorre a ritroso via dell’Inferno, esce in via Marsala, poi in via Indipendenza. Scansa con movimenti nervosi le persone che gli si mettono davanti. Evita le bancarelle del mercato della Montagnola. Arriva all’autostazione. Sono le 19,47. Raggiunge il pullman già col motore acceso e vi si introduce. "Non va a Monzuno questo?"
L’autista annuisce. Timbra il biglietto. Percorre il corridoio dell’automezzo fino ad arrivare nella parte di coda. Si siede in penultima fila. Tiene il naso incollato al finestrino. Avverte sulla faccia le vibrazioni dell’albero motore spanderglisi dentro le ossa. Ci vorrà un’ora. Il pullman si avvia. Luca sente le vibrazioni decrescere, abbandonare il suo corpo. Apre la borsa e tira fuori un fascicolo, i fogli sdruciti. Lo sfoglia con poco interesse. Guarda fuori dal finestrino. Il cielo nero di pece si confonde coi margini dell’asfalto, a tratti bituminoso di una luce elettrica dal suono ovattato, a tratti sospeso sotto macchie colorate distribuite regolarmente in strisce beige di cemento alte senza spessore. Ormai fuori da Bologna Luca riprende a leggere il fascicolo.
La Monsanto tra cibo trattato geneticamente, agente arancio e semi terminator.
LA MONSANTO ci riprova. Dopo l’agente arancio e il seme terminator, la potente multinazionale di St.Luis, USA, lancia sul mercato alimentare il risultato delle sue nuove ricerche: il cibo trattato geneticamente.
L’Idea è semplice: si tratterebbe di modificare la struttura genetica di determinati alimenti in modo tale da permettere una loro crescita più rapida e una loro maggiore resistenza agli agenti esterni. Questo si può ottenere attraverso l’inserimento di geni costruiti ad hoc in laboratorio nella catena genetica.
L’idea non sembrerebbe malvagia, se non fosse che queste nuove strutture sembra non siano compatibili con quelle previste dal patrimonio genetico dell’uomo e risultino essere per questo, cancerogene. La Monsanto naturalmente, nega l’evidenza come già aveva fatto in passato per l’impatto ambientale di altri suoi prodotti. Sono tra questi l’agente arancio e il roudpnol, l’erbicida più diffuso al mondo, entrambi basati sulla diossina.[…]
Negli anni 60 l’erbicida agente arancio venne usato dalle forze armate degli USA per defoliare l’ecosistema della foresta pluviale del Vietnam. Questo erbicida contiene delle elevate quantità di diossina, un agente chimico altamente velenoso e inquinante il cui produttore a livello mondiale è la Monsanto. Fu questa multinazionale la maggiore produttrice dell’agente arancio. L’impiego di questo prodotto chimico non mancò di avere delle influenze dirette anche sullo stato di salute dei militari americani. Tra essi, alcuni si ammalarono di cancro ai polmoni e alla prostata, altri riportarono delle intossicazioni con conseguenze permanenti. Le associazioni dei veterani della guerra del Vietnam intentarono una causa di risarcimento fisico e morale per svariati milioni di dollari contro la Monsanto e la vinsero. Questo fu un grave colpo per l’immagine pubblica della Monsanto, che si era proposta fino a poco tempo prima come l’antesignana della cosiddetta Prima Rivoluzione Agricola degli anni sessanta e settanta[…]
Luca non riesce a concentrarsi. Fuori è nero. Chiude gli occhi. Si rilascia sul sedile rosso di un velluto consunto. Ripensa a Jasmine. Nel dormiveglia. Il giornale gli scivola dalle mani.
Prima di dormire bisognerebbe accertarsi di stare ben comodi: basta poco a tramutare un sogno in un incubo. A volte anche il solo battere d’ali d’una mosca. Per intenderci, credo vi sarà capitato almeno una volta di stare lì in dormiveglia ed esserne coscienti, a godervi il concretarsi dei vostri inappagati desideri, e vedere voi che, veri protagonisti, vi fottete vostra figlia o figlio, a seconda; o, magari voi che stuprate la cara cugina o avete una relazione con vostro padre ormai settantacinquenne. Ecco, immagino sarete stati alquanto soddisfatti per la condizione fisica, seppur temporanea, che il vostro corpo avrà assunto in quel mentre: l’ipotalamo non conosce soste!! Bene, cercate adesso di prefigurarvi quale e quanto grande sarebbe stata la vostra delusione qualora a causa di un qualsivoglia agente esterno, mettiamo la suddetta mosca, il vostro oggetto di desiderio si fosse tramutato tra le vostre cosce, o con voi tra le sue gambe, in un qualcosa di viscido o squamoso, e comunque sia con molte più gambe rispetto al dovuto. E, tornando a noi, Luca non si trova in una posizione ben comoda…
Luca sente freddo. Non so. Con qualcuno dovrei parlarne. Tra un passo e un altro le caviglie si sfregano tra loro incessantemente. La pelle gli si apre: la carne prende a bruciargli. Salta su di un piede. Resta immobile e inizia a contare. Ha l’occhio fisso in terra. Cerca di trovare un punto. Il punto si sforma, diviene una massa nera di terriccio. Dentro ad essa stanno Jasmine e Loris. Questi le sta sopra. Respira con affanno. Si muove spastico. Lei gli tiene il culo tra le mani, si inarca sulle anche, le cosce contro i seni. Se lo tiene dentro. Bacia Vanni. Luca sta fermo. Fissa il culo di Loris. Adesso Loris sta fermo. Luca non percepisce alcun suono. Jasmine si scrosta di dosso Loris, arranca in terra. Vanni le tiene il bacino tra le mani Lei si mette in ginocchio, gli porge il buco del culo, Vanni la incula. Luca si volta. Jasmine penitente. Loris si solleva trasvestito da croce e si sposta sul suo baricentro. Si fa leccare il cazzo umido da Jasmine. Lei glielo lecca mentre fissa Luca, distante. Vanni le sborra dentro al culo. Lei si divincola. Luca indietreggia e cade. Luca si fa trono a dondolo di Jasmine. Jasmine si muove lentamente, lo osserva. Luca è scosso da spasmi sempre più frequenti. Lei si ferma. Sorride, gli estrae il pene dalla vagina e lo tiene con le labbra. Luca è rigido. Un istante in più. Si conserva in bocca lo sperma di Luca, contratto nei muscoli. Lei gli sale sopra e baciandolo quasi lo soffoca col suo stesso sperma. Luca le vomita sul grembo. Il vomito si spande sul suo pene. Jasmine comincia a urlare un riso soffocato. Luca osserva il suo vomito. Jasmine è sempre più pesante. Lo schiaccia…
Luca apre gli occhi. È ancora sul pullman. Respira a fatica. Guarda fuori. Si intravede ormai Monzuno. Il paese, che già non è grande, da lontano si fa ancora più stretto. Le strade, anche quelle più larghe prima si accorciano, poi si accartocciano in curve sempre più improbabili in cui il pullman sembra restare in bilico tra guardrail e scarpate nere di foglie e radici. Visto dal pullman tutto pare meno importante. In breve compaiono ai bordi della strada le prime case. Più l’automezzo avanza più il cemento s’infittisce, limitando la vegetazione in stretti spiazzi e angoli di contado. Poi anche questo è sussunto dentro quell’abitato chiamato Monzuno: poche brevi strade con attorno case per un migliaio di persone, sospese sopra la valle. Il pullman si ferma nello spiazzo centrale del paese. Luca scende e si avvia sulla strada principale, in leggera salita. Passa davanti al bar di Riccardo. Si ferma un istante, ci guarda dentro, scorre gli occhi sui vecchi seduti ai tavolini, in cerchio. Nessuno. Saluta con la mano Riccardo, che sta dietro al bancone, sulla sinistra, con altre due donne sui settant’anni. L’altro fa un cenno col capo. Luca riprende a camminare, con la sua ombra doppia di luci artificiali. Dopo due isolati prende una strada a sinistra. Si fa forza nelle gambe. Dopo pochi minuti le case si sono diradate, sparse nel contado. L’illuminazione termina. Passo dopo passo la luce si sflana nel nero, la sua ombra si amalgama alla terra che dirada. Luca si ferma un istante. Si sforza di guardare attorno. Si infila in tasca le mani. Riprende a muoversi. Avverte il corpo irrigidirsi. Il vento attraversa gli alberi scuotendo leggermente le foglie. Queste vibrano di un suono discontinuo che resta incastrato nel calpestio di Luca, ormai col respiro pesante. A tratti l’aria si riempie del ciangottio di uccelli notturni, rotto dal latrare di cani invisibili. La strada, che lentamente si inerpica e si ritorce sul pendio, da poco si è sfatta in selciato. Non c’è più niente intorno, oltre a una vegetazione sempre più fitta. Altri passi ancora e questa si apre mostrando un cancello ricoperto di rose rampicanti. Luca oltrepassa il cancello e percorre un sentiero in un lieve declivio, che si curva sulla destra. Man mano che la curva si svolge il terreno si addensa, sciogliendosi dall’ombra di Luca. Una luce bianca che degrada nel cobalto si infiltra piano dentro al nero che lo circonda. In breve appare una vasta casa colonica con mattoni a vista. Luca si ferma dinanzi alla porta a vetrata. Resta fermo un istante, si guarda intorno. Suona al citofono.
"Chi è?"
"Sono io, Mamma."
La porta si apre.
H 21,33. Monzuno. Nell’ingresso della casa di Luca.
Luca si ritrova davanti alla madre nell’ingresso. Con voce acuta: "E allora? Ti sembra l’ora questa?!" La donna sta dentro un vestito a fiori. È un po’ più bassa di Luca.
"Sono stato a un’assemblea." Luca tiene basso lo sguardo. Sembra si fissi il fiato, che ancora si sfa in vapore.
"Un’assemblea di che?" La donna lo fissa.
"Te l’ho già spiegato o mi sbaglio." Luca le passa di lato. Ora è alle sue spalle, sta per entrare in cucina. "Io non mi ricordo niente…" La donna si volta verso il figlio.
Luca si arresta. Respira forte. Si gira per rispondere alla madre.
"Quella degli ecologisti…Il latte con gli ormoni…La soia col gene del pesce…Te lo ricordi?"
"Pensa a studiare, che la faccio io la spesa. Che a quanto ho letto io, questo cibo costa anche meno." La donna sospira, scuote il capo. Lo supera: entra in cucina.
"Sono solo cazzate!"
La donna, di scatto: "Attento a come parli, neh…"
La donna apre il frigorifero. Tira fuori una busta di plastica trasparente. "Dai, vieni a mangiare, che ti riscaldo il tuo piatto. Vuoi un po’ di tigelle?…Ce la metto la crescenza?…Eh, ma cosa vuoi ingrassare, neh, che sei un chiodo…Sì, sì, mi sto zitta, mi sto zitta. Quando è pronto ti chiamo." Accende il gas. Mette su una padella larga. Prende la crescenza dal frigo. La guarda un istante. Lascia tutto e, uscita dalla cucina, percorso un breve tratto di corridoio, entra nel soggiorno. Luca sta lì, sul divano. Fissa il televisore.
"La vuoi allora la crescenza? O no?"
Luca non ci presta caso. "Sì, va bene." Non vede neanche la madre uscire dal soggiorno, tanto è preso dal film in videocassetta: I Vampiri con gli occhiali da sole.
Nel film c’è lei che lo ama, e anche lui ama lei, nonostante lei sia un vampiro. Lei si chiama Charlotte e prima che succedesse il fattaccio -un vampiro l’avrebbe penetrata nel collo- adorava andare al mare, abbronzarsi e praticare un’attività sessuale che lei stessa definisce intensa. Tutto questo senza prendere le dovute precauzioni: creme anti-abbronzanti, settebelli, goldoni o preservativi. "Non ci ho mai capito troppo tra tutti quegli aggeggi", ammette lei stessa durante il primo tempo, subito dopo aver rivelato la sua vera identità a lui.
Lui la guarda, la bacia, le lecca i canini, si taglia un dito, le fa succhiare il suo sangue. Inizia a godere. Ora la tiene per la testa. La costringe a una performance orale all’altezza del cazzo. Ora lei sbava di sperma. La sua bocca ne è gronda. Lui la butta per terra. Charlotte si contorce, prende a urlare. Si sente bruciare dentro. "Cosa mi hai fatto…Cosa mi hai fatto.", grida lei con voce grossa, atona.
Lui: "Davvero non mi hai riconosciuto? Io sono il predicatore…Il mio sperma è acqua santificata dal cazzo per tutti voi vampiri. Tu stai morendo, troia."
Charlotte: "Io ti ho amato." Trae un profondo respiro. Muore, il volto irrorato di lacrime, bianco. Dissolvenza. Ora si rivede la sequenza iniziale del film.
Esterno. Giorno. Il sole al tramonto. Su una lunga strada asfaltata in mezzo al deserto dell’Arizona, dalle parti di Zabriskij Point. Lei col suo uomo, stanno su un’Harley Davidson ferma al centro della strada.
Uomo: "Ti porterò in un posto dove c’è sempre il sole."
Charlotte: "Ti amo…Sei un folle…Potrò portare sempre i miei occhiali da sole?"
Uomo: "Non dovrai più toglierteli."
Partono sull’Harley Davidson. Vanno verso il sole che tramonta. In cielo si libra un biplano.
Primo piano del volto di lei, che sorride. Sul primo piano appaiono i titoli di coda.
Luca spegne il videoregistratore.
"È pronto…Vieni?"
"Arrivo."
Luca si alza svogliatamente da sopra il divano, per recarsi in cucina. Si siede alla tavola già apparecchiata. Prende qualche tigella dal canestro di vimini e inizia a mangiare. "Che c’è dopo?"
"Verdure. Ti piace il tarassaco, no?"
"Mi fa schifo."
"Ma non sei ecologista?" La donna sogghigna. Luca apre il palmo della mano destra. La pelle gli si tende. "Mica che sono ecologista e mi devo mangiare questa merda…no?!"
Segue una pausa, nessuno aggiunge niente. Poi la donna, quasi tra sé: "Ti sentisse tuo padre parlare così a tavola…"
Luca alza gli occhi, li punta sulla faccia di sua madre.
La donna piega la testa sul petto.
"Io esco." Luca fa per alzarsi.
"Tu non esci…
"Vado a Bologna con Vanni e Loris." Luca è già in piedi.
La madre adesso lo fissa.
Luca esce dalla cucina, va nell’ingresso, prende il giaccone. Sente la madre piangere. "…Maledetto te e tuo padre!…buonanima." Luca si tira dietro la porta. Fuori è scesa la nebbia. Luca si avvia lungo il sentiero col fiato dentro i polmoni. Oltrepassato il cancello è di nuovo sulla strada. Intorno il buio si è reso impalpabile. Adesso respira. Tiene stretti i pugni. Devo fare presto. La strada in discesa, il vento leggero dietro le spalle lo fanno camminare rapido con gli occhi bene intenti a un terreno che sembra di cellofan. Si sente l’umidità scorrergli sotto l’epidermide. Vaffanculo, la troia. Arrivato in paese è madido di sudore sotto il giaccone. Va verso lo spiazzo centrale. Quando è ormai prossimo, intravede due figure grigie su quello sfondo chiaro che è il bar di Riccardo. Si muove più in fretta, ci va incontro. Gli pare di distinguerne le voci. Sempre meglio, passo dopo passo.
"Ma almeno oggi l’hai visto?" Il fiato gli ridisegna il volto.
"No." Loris si tiene le mani in tasca, i pugni serrati.
"E non sai se viene?"
"Era in forse."
"E allora, Loris…che facciamo? È già un po’ che lo aspettiamo." Vanni si scuote le gambe, se le guarda con un certo interesse. Poi resta immobile, si fissa le ginocchia.
"Boh, non so. È che si fa tardi."
"E andiamo allora."
"Aspettiamo fino a meno un quarto. Mancano cinque minuti."
Vanni piegandosi sulle gambe: "Stiamo qui fuori altri cinque minuti e l’uccello mi diventa un ghiacciolo. Dovrò farmene tre prima di iniziare a sentire qualcosa." Si poggia il capo sulle ginocchia.
Loris sogghigna. Guarda Vanni di sghembo. "Te ne puoi fare anche venti, che tanto non ci godi lo stesso, frocio come sei."
Vanni si lascia andare a terra. Fissa davanti, come se intravedesse qualcosa oltre la nebbia. "Io per trombare ci trombo. È che una non mi soddisfa. Se non fosse per i soldi tre almeno me le tromberei. È che costano un totale…però preferisco una bella trombata al sabato sera piuttosto che impasticcarmi come un coglione. Che quelli sì che sono dei froci, che neanche gli si tiene dritto."
"Ma stai zitto, mica sai niente. Oh Vanni, che mentre tu facevi seghini ai cani di Riccardo, io in discoteca ci lavoravo e pasticche o no ci scopavo lo stesso. Con un totale di fiche. E gratis."
Vanni si alza e prende a scuotersi i pantaloni con le mani. "Merda di freddo…E affanculo a quello stronzo di Luca."
Col capo indica una sagoma che prende lentamente forma. "Alla buon’ora!"
"Mi sono detto, se mi aspettano ci vado. Altrimenti…"
"Altrimenti seghe. Dai che andiamo. La macchina sta qua nello spiazzo."
Loris si avvia, con gli altri che lo seguono. Salgono sull’auto, una Renault cinque color grigio metallizzato, tre porte. Aperte le porte li assale un aroma pungente di plastiche ed hashish. Dietro si sistema Luca e davanti Vanni, con Loris al posto di guida. Dietro è freddo. Loris accende il quadro dell’auto. Luca si stringe nel giaccone. Se lo sente troppo largo addosso. "Non parte il catorcio?" Loris fa una smorfia e mette in moto la macchina. Fatta manovra, sono sulla strada. "Andiamo dal fondovalle, va bene?…" Loris inserisce la mascherina dell’autoradio, si accende una sigaretta. "A me va bene. Accendi il riscaldamento."
"È rotto…Non si vede una sega."
"Vedi di andare con calma, che giù in valle non c’è tutta questa nebbia." Restano in silenzio. Sono ormai fuori dell’abitato, stretti tra le curve e la nebbia, quando Vanni si volta indietro verso Luca.
"Cos’hai fatto oggi…"
Luca si agita dentro al giaccone. "Ma niente…Dopo la scuola dici?…Sono andato all’assemblea."
"Degli ecologisti?"
Luca con la testa dentro al bavero fa cenno di sì.
"E Roberta l’hai incontrata?"
"Non è venuta stavolta." Vanni allunga il collo, poi strabuzza gli occhi, rivolto a Loris. "Chissà chi si stava scopando" Luca si stringe le labbra in un sorriso. Ora osserva Loris, che guarda dritto oltre, senza prestare attenzione a Vanni. Questi attende un istante, dopodiché si volta verso Luca: "Dai che te la scopi, sempre se ti basta il cazzo." Il sorriso di Luca si sfa in una smorfia. "Chiedilo a tua madre." Vanni, aggressivo: "Ma non è la tua a battere cassa?"
Loris accelera. "Se non state zitti vi lascio in stazione a far bocchini ai barboni. State zitti, dio ladro." Accende l’autoradio. La Renault si riempie di suoni. Questi si organizzano intorno a un motivo musicale, tra il ronzio monotono della cassa destra e il ticchettare delle dita di Vanni. Loris prende a muovere le labbra. Pare che parli tra sé. Poi, ad alta voce: "Ci facciamo un cilum?" Vanni si inarca sulla schiena. Apre il cruscotto, prende il cilum e lo posa tra le gambe. cerca in tasca qualcosa. Prende una confezione di tabacco, la apre e ne tira fuori una bustina di plastica trasparente con dentro dell’hascisc. Ne svuota il contenuto sul palmo sinistro. Loris gli passa un accendino e Vanni ci scioglie l’hascisc, sbriciolandolo fino a farlo diventare polvere. Ora prende del tabacco e vi aggiunge la polvere nera. Inserisce il tutto nel cilum, comprimendo poco. "Chi spacca? Vuoi spaccare tu, Luca?" Luca lo accende. Inspira con tutti i polmoni, che gli bruciano. Ha un leggero calo di pressione. Fa altri due tiri e lo passa a Loris. Si poggia con la schiena sul finestrino. Chiude gli occhi. Gli gira la testa. Li riapre. Guarda fuori la nebbia che dirada, incastrata tra le curve già percorse. "Buono questo fumo. Dov’è che l’hai comprato?"
"Non te lo dico mica. Comunque è un amico. Mi ha trattato benissimo. Con ventimila me ne ha dato un totale. No, davvero, è stato un amico. Torno da lui comunque. E poi è proprio buono."
"Davvero."
Luca prova di nuovo a chiudere gli occhi. Li tiene stretti. Comincia a contare. Borbotta tra sé e sé. Ripensa al giorno prima, a lui e Roberta sotto un Portico dei Servi quasi vuoto, se non prestiamo attenzione di lontano, nella direzione opposta alla loro, a una donna in pelliccia grigia con uno yorkhshire color Siena e terra bruciata a guinzaglio. Sotto le ampie volte i rumori delle auto si amplificano, ritmati nei loro passi.
"Ti volevo chiedere se…" Luca si rivolge a Roberta.
"Cosa?"
E, di rimando, con un filo di voce: "Cosa fai stasera?" Passa un motorino. Il frastuono della marmitta copre tutti i suoni.
Lei si ferma. Ora si volta. I capelli le si incollano sul petto. "Cos’hai detto, scusa?" Grida per farsi sentire. Guarda Luca.
"No, niente, dicevo dei semi."
Roberta lo fissa ancora. Reclina lo sguardo e guarda a terra, sbrigativa. "Se ci entrasse nella testa delle persone quanto sono pericolosi i cibi trattati geneticamente."
"Già, si starebbe meglio. Tutti molto meglio."
Riprendono a camminare.
"E pensare che una volta si faceva in casa anche il pane."
"Già…ti piace il pane ferrarese?", Luca le sorride.
"Oh sì, è buonissimo…Sembra che sia un biscotto, con quel suo sentore di girasoli."
"Beh, pensa che sta scomparendo. Non lo fa più nessuno."
"Ma dai, se l’ha comprato l’altro ieri mia madre." Roberta si gira intorno con la testa.
"Nel senso che usano il latte in polvere. Quello della Nestlè." L’intonazione di Luca si flette su Nestlè. Roberta si ferma e gli strabuzza gli occhi in faccia. "Non riesco a crederci. Il latte con gli ormoni bovini?!" Lei gli si fa vicino. "Già, latte di mucca."
Bacia Luca sulle labbra, gliele tiene strette tra i denti, con lui che cerca di restare diritto. D’un tratto lo Yorkshire, ormai non più distante, si avventa contro di loro. La donna somiglia a sua madre, fa fatica a reggere il guinzaglio. "Lo dovete scusare, è così carino…"
Christian Del Monte
Steady-Cam (I)
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(continua)