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Ancora dall’immediato passato

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Ancora dall’immediato passato

Certo, dire che un film del 1946 è immediato passato è un po’ pretenzioso, dato che il cinema ha poco più di cent’anni. Ma ancora una volta è proprio nel passato (o nell’antico, se preferite) che troviamo le risposte ai quesiti moderni. "Paisà" rappresenta per la sua costruzione, per la storia del suo regista, per il periodo storico in cui è stato girato, per alcune soluzioni tecniche e di sceneggiatura, un esempio ancor validissimo per il regista o lo spettatore di oggi.
Non c’è bisogno di dire che si tratta di un film sulla guerra o meglio su quei mesi di passaggio tra l’occupazione nazista e la liberazione definitiva iniziata con lo sbarco degli americani. Non è possibile imbrigliare "Paisà" nell’etichetta di cinema resistenziale, proprio perché vi si riferisce esplicitamente solo in due episodi, non è possibile definirlo un film di guerra perché, nel significato ormai affermato, non c’è traccia di manovre militari o battaglie epiche. Roberto Rossellini, il regista di "Paisà" sceglie un formato poco esplorato come quello del film a episodi, qui concatenati da veri spezzoni di cinegiornali dell’epoca. A differenza di "Roma città aperta", che ebbe da noi un successo ed una affermazione di critica solo dopo il riflusso degli applausi ottenuti soprattutto in Francia, "Paisà" è un film veramente nazionale, ognuno dei sei episodi che lo compongono mantiene intatte le caratteristiche dei personaggi che lo animano rendendo di fatto uno spaccato ancor più reale dell’isterico autunno del ’44 e della infine felice primavera del ’45. Se "Roma città aperta" ci rappresentava pur parlando in romano, "Paisà" parla in siciliano, in romano, in fiorentino e soprattutto parla lungamente e senza sottotitoli in americano mettendoci nelle stesse condizioni dei nostri genitori e dei nostri nonni, felici di quelle poche parole che ci si poteva scambiare.
"Paisà" fu girato con pochi capitali (anche americani) e Rossellini1 non era ancora riconosciuto come un vero artista, soffocato dall’impetuosa invasione di film americani e dalla diffidenza con la quale era stato accolto fin ora il suo occhio crudo e sincero (poi ribattezzato neorealista). Ogni vicenda del film altro non è che la preparazione e l’attesa di un evento che, puntualmente, si verificherà tragicamente, brevemente ed improvvisamente nel finale. Il film è pessimista e la scelta degli attori non professionisti così come la poca cura, voluta, nella scelta delle inquadrature e delle pose rende ancor più vivida e tesa l’atmosfera. L’insieme di queste scelte comporta a volte una dilatazione della scena che, senza accorgercene, la rende più vera e tangibile. I silenzi o gli sguardi attoniti dei protagonisti "involontari" del film trasmette un senso di non-finzione che non tutti apprezzarono.
La presunta incomunicabilità della primitiva ragazza siciliana col soldato americano si svela bruscamente nel finale di morte orchestrato dai nazisti. La differenza apparentemente abissale tra il soldato nero che (forse) vuole tornare a casa ed il ragazzino paisà napoletano è azzerata quando il militare vede con i propri occhi la miseria e l’emarginazione che regna in quella grotta in cui vivono centinaia di disperati. Le speranze di una ragazza romana si trasformano in disillusione quando lo stesso americano al quale aveva dato da bere tirandolo giù dal carrarmato in un giorno di festa, ne rifiuta la compagna dopo qualche mese quando lei è costretta a fare la prostituta e non lo riconosce. A Firenze la città è divisa in due dall’Arno e lo stesso fiume divide gli alleati e i partigiani dai nazisti. Attraverso gli Uffizi un uomo penetra nella metà ancora occupata per cercare la sua famiglia insieme con un’americana in cerca del mitico Lupo, un capo partigiano che saprà poi morto, senza altre spiegazioni. In quest’episodio è veramente emozionante il passaggio nella galleria spoglia del museo tra le opere d’arte impacchettate e ammucchiate. In un convento romagnolo l’arrivo di tre militari religiosi americani "sconvolge" la quiete e l’isolamento dei frati quando scoprono che uno di essi è ebreo ed un altro è protestante. Il loro digiuno quale fioretto per la redenzione dei due (!!) impressiona molto il cappellano militare cattolico. Infine l’unico vero episodio resistenziale si svolge nel Polesine per raccontare l’avanzata inutile di alcuni partigiani insieme con alcuni americani, facilmente giustiziati dai tedeschi.
In "Paisà" così come per tutti gli altri film neorealisti, l’apparente finzione della scena supera addirittura la drammaticità della cronaca perché scruta nelle espressioni dei protagonisti dopo la messa in mostra dell’atto. La sceneggiatura, anche se il termine sceneggiatura è un po’ improprio, è stata scritta in collaborazione con alcuni amici di Rossellini tra i quali Federico Fellini (che è anche aiuto regista) e Vasco Pratolini2. Si tratta più che altro di esperienze dirette di queste persone più che di una sceneggiatura scritta appositamente. La morte del figlio nello stesso anno dell’uscita di "Paisà" porterà Rossellini a Berlino dove concepirà "Germania anno zero" che chiude la cosiddetta trilogia dell’antifascismo.

Benatti Michele

1
Rossellini sposò poi Ingrid Bergman ed insieme crearono Isabella Rossellini (che artista…).

2
Ha scritto tra l’altro il bellissimo Cronache di poveri amanti ambientato nella Firenze viva e speranzosa dell’immediato dopoguerra.

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