Inevitabile vendetta
Parte I
Il passo di Luca era era lento, ma non stanco. Era quello che si potrebbe definire un passo paziente, deciso e sicuro, diretto verso il cantiere di quell’edificio fuori città che da dieci anni avrebbe dovuto dare alla luce un ospedale superattrezzato, mentre l’unica cosa veramente finita da otto anni a questa parte era la struttura portante in cemento armato.
I lavori erano anche stati fatti bene, visto che nonostante l’area fosse esposta ad ogni tipo di avversione metereologica lo stabile aveva retto più che dignitosamente. Soltanto alcune pareti erano crollate con la nevicata dell’anno scorso e ovviamente così erano rimaste, sgretolando macerie sul grezzo pavimento di cemento, fino ad ora.
Fu proprio da una di quelle crepe sul muro che Luca entrò.
L’interno del piano terra avrebbe messo addosso a chiunque un’inquietudine strana… l’irregolarità delle crepe alle pareti creava un gioco di luci ed ombre che ininterrottamente spezzava, ricomponeva, distorceva ed occultava parzialmente tutta l’architettura interna. A volte la mente ricuciva, dai pochi lembi di ambiente raccolti, configurazioni architettoniche che poi svanivano e mutavano al semplice avvicinarsi o al semplice cambio di prospettiva.
Da un certo punto di vista era anche interessante giocare a quel modo: era come giocare ad un puzzle virtuale… vagando di qua e di là e raccogliendo di volta in volta un pezzetto diverso era possibile farsi un’idea dell’ambiente come sarebbe stato illuminato completamente, e cioè di una noia mortale.
Fu allora che Luca sentì quel respiro, e si immobilizzò.
Un fiume di pensieri gli inondò il capo in un istante, la mente sondando oltre il buio, cercando una spiegazione, cercando un indizio che aiutasse a capire dove come e cosa era stato. Il suo corpo rallentò bruscamente ogni attività per concentrarsi e prepararsi a lottare, mentre lentamente cominciò a muoversi nel cieco vuoto, le braccia protese, levandosi da una potenziale situazione di svantaggio per riprendere il controllo della situazione.
Passarono i secondi, poi i minuti, ma non si udì più alcun suono tranne il vento che, raggiunte le crepe tra i muri, delirando si sfaldava in migliaia di piccoli sussurri che sibilando sfrecciavano lungo le forme architettoniche per poi uscirne, incolumi, dal lato opposto.
Luca continuò a muoversi a tentoni fino a quando i suoi occhi non impararono a cogliere ed amplificare la scarsa luce dell’ambiente, e solo a quel punto la tensione si allentò, bruscamente, abbandonando il corpo di Luca attraverso un intenso e profondo respiro che gli fece riacquistare la lucidità perduta.
Per qualche secondo gli era sembrato che tutto quanto fosse andato in fumo. Se veramente il bastardo si fosse presentato in anticipo all’appuntamento, sarebbe diventato ancora più difficile rintracciarlo un’altra volta.
Forse a quel punto sarebbe stato ormai troppo difficile anche per Luca.
***
Il secondo piano dello stabile era perfetto per la macchina: c’era sufficiente spazio per l’attrezzatura, l’illuminazione era adeguata e la monotonia grigio-cemento spezzata solo dai pilastri portanti traspirava una certa sacralità… mancava solo un altare, l’altrare che Luca avrebbe aggiunto proprio per l’occasione.
Nove tasti in successione, giusto quelli necessari per chiamare il numero del corriere.
"Sì, esatto, al posto stabilito".
"Lasciate pure il materiale nel piazzale, non importa se non figura la firma del destinatario sulla bolla di accompagnamento, sistemeremo questi dettagli domani. Tra meno di mezz’ora, mi raccomando. Per ogni minuto di ritardo posticiperò la data del pagamento di un mese, sono stato chiaro?"
Meno di mezz’ora, giusto il tempo per fumarsi l’ultimo sigaro della serie.
***
Luca amava i sigari.
Il sapore intenso del tabacco l’aveva sempre affascinato, fin da bambino. Uno dei momenti più belli dell’infanzia era la visita allo zio Bruno, falegname a tempo perso. Difficile dimenticare quell’omone immenso, irraggiungibile per l’eta che aveva Luca allora, con quei capelli sempre arruffati e il fumo del sigaro che lo circondava come il velo di una sposa, senza abbandonarlo mai, seguendo e danzando sul profilo in controluce delle sue braccia forti intente a tagliare, a levigare, a piegare e a modellare il legno più resistente come fosse argilla bagnata.
A quel tempo Luca promise a se stesso che un giorno sarebbe diventato così, come lo zio Bruno. Fu una promessa che però non mantenne, perché crescendo scoprì di avere qualità innate nel rapportarsi con gli altri e intraprese una carriera di tutt’altra natura, avviando un’attività commerciale e distinguendosi fin da subito come uno degli elementi di maggior spicco dell’imprenditoria ceramica locale.
Luca accese il sigaro e lo fumò in tutta tranquillità, osservando il disco del sole tingersi di rosso e scivolare in fondo allo squarcio irregolare di una crepa sulla parete ovest. Lentamente, un tiro dopo l’altro, il suo respiro rallentò per adattarsi al ritmo pacato del sigaro, per gustare fino in fondo l’aroma acre di quel tabacco d’importazione. I ricordi cominciarono a miscelarsi alle percezioni sensoriali, crescendo di importanza a poco a poco, ad ogni espirazione, fino a conquistare il predominio sui pensieri di Luca.
Quanto era bella.
I suoi occhi blu l’avevano colpito fin dal primo istante, insieme alla linea curva e snella del suo viso maturo, molto maturo per la sua età, ma indescrivibilmente attraente. Era stata quasi una folgorazione, quello che qualcuno avrebbe definito colpo di fulmine se non fosse che Luca non credeva a queste idiozie. La bellezza di Lisa era innegabile, e non era tanto un fattore estetico quanto un’aura di benessere che si portava appresso, come un velo invisibile che ella poggiava sull’anima di chiunque le rivolgesse la parola, lasciando un segno indelebile per giorni a seguire, fino a lasciare il posto ad un desiderio quasi morboso di rivederla.
Quanti spasimanti, poi… tanti che Luca mai avrebbe pensato di farcela. C’erano uomini di ogni carattere e per ogni gusto femminile, e questa era una valida ragione per giustificare l’invidia che tutte le coetanee e non di Lisa provavano per lei. Bastava che salutasse un amico con un gesto un po’ troppo marcato sotto agli occhi della sua compagna per creargli problemi coniugali duri a sedare.
Tuttavia, nonostante le difficoltà, alla fine l’aveva vinta lui e questa era l’unica cosa importante. La loro storia d’amore fu una delle più invidiabili per coinvolgimento e compatibilità d’animo, ed era così bello vederli amarsi che persino gli ex-aspiranti alla mano di Lisa non riuscirono a serbare rancore alcuno… era veramente impossibile, una volta insieme, pensarli separati.
Tutto semplicemente perfetto, fino a quando non finì.
Il sigaro scivolò improvvisamente dalle labbra di Luca verso il cemento sottostante, lanciato via dal vigoroso fremito che percorse tutto il suo corpo costringendolo a rompere la regolarità del respiro per innescare un ansimante boccheggiamento. Le sue palpebre si accapponarono in una smorfia di dolore, costringendo l’occhio a sgorgare quella lacrima che tagliò il suo viso con un lucido bagliore.
Poi più nulla.
Luca si riprese un attimo, riaprì a fatica gli occhi arrossati, riacquistò l’equilibrio perduto e si asciugò il viso con il lembo della manica destra e con i movimenti goffi e imprecisi di un bambino che si ripulisce le labbra sulla tovaglia sporca. Tremava ancora tutto, e la sua fronte grondava di sudore freddo, ma il peggio era passato.
Ormai era abituato a queste crisi, e aveva imparato a rinchiudere i ricordi dove non potevano più ledere… anche se a volte si abbandonava troppo e ritornava tutto come prima. In fondo era come mentire a sé stessi: Luca sapeva che non sarebbe mai riuscito a perdonare né a dimenticare, ma ricordare e ripensare non lo avrebbero aiutato in nessun modo.
***
Non appena Luca poggiò il piede sopra al mezzo sigaro ancora acceso e abbandonato sul pavimento, si sentì in lontananza un rumore di motori in avvicinamento.
"Ah già, i corrieri." L’orario indicato dall’orologio da polso di Luca confermò l’ipotesi, tanto che pochi secondi dopo il rumore cessò e lasciò il posto ai tonfi secchi provocati dal materiale scaricato sul piazzale retrostante.
Luca sbirciò da una crepa e vide i due incaricati guardarsi un po’ intorno, borbottare tra loro, risalire sul furgonato e abbandonare la zona. Subito dopo, cominciò a incamminarsi verso il piazzale per prelevare i componenti.
C’era tutto, tutto secondo le istruzioni. Il PC, i cavi di collegamento, l’attrezzatura, i chiodi. Non mancava nulla. Non senza fatica Luca trasportò tutto quanto su al secondo piano e cominciò a montare l’apparecchiatura.
Ci volle un’ora e mezza per collegare tutto quanto e installare il software di comando, e dieci minuti solamente per trovare una presa di corrente funzionante, forse l’unica del cantiere non ancora isolata dal comune.
Un’ora e mezza: tra meno di un’ora lui sarebbe arrivato.
***
Nel tempo rimanente, Luca fece qualche prova sul software conclusa con esito positivo, pulì distrattamente i macchinari e i congegni di pilotaggio, masticò quattro gomme americane e lucidò la sua calibro 12.
Gran bell’arma questa. Quanto si era divertito in passato a sfidare gli amici al poligono, aveva anche vinto spesso nonostante non si fosse mai rivelato un fuoriclasse. Ci fu una volta in cui per fare colpo su Daniela, la prorompente studentessa di giurisprudenza che frequentava la polisportiva, si era allenato per due settimane di seguito sparando a tutto ciò che poteva essere colpito, facendo pesi solo sul braccio destro per acquistare una maggiore stabilità ed una maggiore precisione di puntamento, mangiando cassette di carote in insalata per aguzzare la vista e tutto per scoprire che Daniela è omosessuale dopo una stimolante cena in un locale intimo e due ore di irresistibile ballo ravvicinato, alla vista di uno splendente vestito da sera rosso con tanto di spacco laterale e autoreggenti in pizzo bianco.
Quando lei glielo disse, Luca pensò per un attimo di farle cambiare idea strappandole l’abito da sera a morsi, poi si ravvide, si sbarazzò dell’inopportuna fantasia con un goffo gesto della mano e annuì, con malcelato dispiacere.
Nonostante tutto però, la sua calibro 12 rimaneva un gran bel ricordo, e lucidata con tale maestrìa poi faceva anche la sua figura… peccato che i tempi in cui era solo un gioco siano finiti proprio ora.
***
Quando il bastardo arrivò, sembrò non sospettare minimamente di essere caduto in trappola.
Arrivò con un’utilitaria fuori produzione talmente impolverata da mimetizzarsi con la ghiaia del cortile, entrò nell’edificio, pronunciò quelle tre parole stabilite telefonicamente e si irrigidì solo quando riconobbe il rumore dell’otturatore di una calibro 12 che scorre in posizione di carica.
Solo il tempo di pensare ad una via di fuga, poi uno sparo proveniente dall’ombra.
Luca avanzò verso il corpo, ripose la pistola dentro alla fondina ascellare sotto la giacca, svestì il bastardo. Poi lo portò di peso al secondo piano e cominciò a prepararlo per la macchina.
(continua)
Fabrizio Cerfogli
FabrizioCE@usa.net