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Piccole annotazioni tra amici

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Piccole annotazioni tra amici

Sono rari i casi in cui una storia riesce meglio sul grande schermo piuttosto che in teatro. A volte è colpa di un regista mediocre che cade vittima dei grandi nomi del cast, a volte la sceneggiatura subisce un’interpretazione squilibrata verso i dettagli insignificanti o verso le scene più "spettacolari", spesso è la nostra immaginazione a superare la trasposizione fatta da un’altra persona che, a nostro parere, non ha colto quello che ci ha colpito o l’ha fatto in maniera deludente.
Per "Piccoli omicidi tra amici" non è stato così. Se "Shallow grave" ("Una tomba poco profonda") del 1994 era un bellissimo piccolo film, lo è ancor di più da quando ho assistito ad una rappresentazione teatrale dello stesso testo da parte di una compagna italiana, una compagna che gravita nell’orbita del famoso Teatro della Tosse di Genova. Danny Boyle e John Hodge sono la stessa coppia che due anni più tardi diventerà famosissima per la direzione e la sceneggiatura di "Trainspotting1", l’ultraipermegacelebrato film culto degli anni ’90. La storia è apparentemente molto semplice e può sembrare banale come tre ragazzi che convivono in un appartamento si trovino improvvisamente per le mani una valigia piena di soldi abbandonata dal nuovo inquilino, morto la notte stessa che ha cominciato ad occupare l’appartamento. All’inizio del film conosciamo Julie, timida gattina nevroticamente divisa tra la donna in carriera e la semplice ragazza di provincia, David, uno sfaccendato alternativo che stimola Julie e annichilisce Alex il ragioniere, inquadrato e apparentemente fuori posto in quell’appartamento. La scelta è obbligata, il triangolo si deve allargare per esigenze economiche e la scelta cade su un misterioso personaggio di nome Hugo, quello che sembra più adatto a starsene al di fuori del microcosmo dei tre. Hugo arriva, saluta con discrezione e si apparta nella sua stanza con due grosse valigie. Trascorre così una notte sotto il fuoco di fila delle ipotesi, delle supposizioni e delle divagazioni che i tre fanno su di lui. Tutto inutile. Il mattino seguente Hugo giace morto per una overdose e le due valigie sono ancor lì, intatte. Il cadavere sconvolge il piccolo Eden dell’appartamento dove Alex può sfuggire ad una vita d’ufficio che lo opprime, David può regnare indisturbato e Julie può essere un’altra Julie. Ancor più del cadavere sconvolge una valigia piena di soldi. Che fare? (e non sono il primo a dirlo). I soldi fanno gola; e Hugo? Facile. E’ necessario sbarazzarsi del cadavere, chi mai verrà a cercare un tossicomane senza documenti che tiene chiuso in queste valigie tutta la sua vita? Gli equilibri si alterano. Chi seziona il cadavere? Chi lo porterà nel bosco per seppelirlo? Chi reggerà questa situazione. Non serve molta immaginazione (e qui l’apparente banalità del testo) per capire che David è gradasso a parole, Julie cerca di tenersene al di fuori mentre Alex si trasforma in un freddo ma allucinato situation-manager. Tra alterne vicende, due criminali tentano di ritornare in possesso di quello che poi si è rivelato essere il frutto di un crimine, l’ispettore di polizia fiuta pericolosamente lo sgangherato piano dei tre e così via, si arriva al drammatico finale dove Hugo e i suoi soldi sono un pretesto per una resa dei conti che sarebbe avvenuta comunque, senza spargimento di sangue, però.
Allora? Tanto quanto il film ti accompagna nella tragedia sempre più profonda, tanto la rappresentazione a cui ho assistito al rinato teatro "Herberia3" di Rubiera ti lascia di sasso2, con un ritmo inutilmente sincopato, con una recitazione così accademica e priva di personalità quasi irritante. In questo caso il teatro non riesce a sfruttare il grande vantaggio che ancora lo differenzia dal cinema e cioè la vera partecipazione istantanea e personale degli attori e della storia che stanno raccontando. Viceversa la versione cinematografica di "Tre piccoli omicidi" colma la freddezza ed il distacco naturale delle immagini di celluloide con sapienti tagli di luce, con lenti ma penetranti primi piani, con un accompagnamento musicale mai banale e inutile.
Un esempio certo non basta, ma si può affermare che la rappresentazione teatrale di un soggetto già sfruttato dal cinema non deve basarsi in nessun modo su quanto è stato fatto per il grande schermo, la messa in scena deve essere assolutamente indipendente da quei fattori che invece sono necessari alla realizzazione di un film quali sono le inquadrature o il montaggio. In teatro lo spettatore è sempre lì, a pochi metri dal palco ed ha una ed una sola visione dello spettacolo. Una occasione perduta ed un monito per il futuro (per noi spettatori, intendiamoci…).

Benatti Michele

1
Tratto da un libro di Irvine Welsh

2
Hugo si trasforma in Ugo! Senza parole.

3
Il teatro Herberia è stato chiuso per anni dopo essere stato un cinema parrocchiale ed un cinema porno, nel più classico dei decorsi storici delle sale attuali. Ora è un graziosissimo piccolo teatro. Rubiera è sulla Via Emilia tra Reggio Emilia e Modena.

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