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Baise moi

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Baise moi

Baise moi (Scopami1) è uno di quei film che arrivano in Italia con il vento dello scandalo e delle polemiche suscitate altrove (la Francia in questo caso) e che da noi passano tra l’indifferenza quasi generale degli spettatori (20.000 dopo un mese di programmazione in tutta Italia sono davvero pochi). Non ha funzionato il richiamo di una sessualità e di una violenza molto esplicite e questo sembra paradossale in una società in cui tutti i mass media, per non parlare dei pubblicitari, utilizzano i riferimenti sessuali per catturare il pubblico, attratto irresistibilmente da tutto ciò che odora di sesso-merce. Ma forse non lo è tanto se pensiamo che Baise moi non ha niente di patinato, è molto crudo e disturbante nella rappresentazione, spara in faccia organi sessuali, pistole e sangue e non contiene alcun moralismo.
Questo film, diretto da Virginie Despentes (autrice anche del romanzo omonimo da cui è tratto) e Coralie Trinh Thi, è’ diventato perciò un piccolo cult davvero sotterraneo (quindi, come non parlarne in queste pagine), un sogno (ad occhi chiusi e/o aperti) liberatorio (in particolare per il pubblico femminile) ed iperrealista, pornografico e romantico, che ha come protagonisti due corpi femminili di ferro, duri e feroci (con chi, secondo loro, merita una punizione), nipotine delle supervixens che negli anni 60/70 uccidevano i maschi con la loro sessualità debordante, a colpi di tette e pussycat esplosive, nei film-fumetto di Russ Meyer (Faster, Pussycat! Kill! Kill!).
Periferie degradate, disoccupazione, droga, prostituzione,
violenza sessuale: d’accordo, c’è tutto questo nel mondo da cui provengono le due ragazze, Nadine e Manu, ma non è ciò che le fa esplodere, quanto piuttosto quel di più di perbenismo piccolo-borghese, insensibilità, moralismo che proviene dalle persone a loro più vicine (fratelli o compagne di casa). Dopo di ché non rimane che scappare, senza lasciarsi dietro alcun rimpianto. Per caso, ma inevitabilmente, le loro vite si incrociano e ciascuna riconosce subito nell’altra, come in uno specchio, una parte di sé.
Dopo un inizio disturbante, a poco a poco ci capita, come spettatori, di sentire vicine le due ragazze, quasi tifiamo per loro, per una possibilità (che ci illudiamo possa esistere), non dico di una vita, ma di qualche momento all’insegna della comprensione, della curiosità e del desiderio.
Gli uomini che incontrano vengono spesso usati come oggetti sessuali e poi gettati via, ma non sempre, c’è anche una qualche forma di rispetto e di ringraziamento per chi sa rapportarsi a loro senza il desiderio di sfruttarne il corpo, di abusarne o di compatirle. Niente moralismi o sociologismi d’accatto, nessuna ricerca di giustificazioni da parte delle due protagoniste. Il destino è segnato ma loro vanno avanti sino alla fine, tra citazioni ironiche da Thelma e Louise (ma senza il salto finale nel vuoto), musica energica (Varou Jan) e una voglia di mucchio selvaggio al femminile che esplode, non a caso, in un club privé.


Paolo Baldi

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