Anulare… anzi… aorta… apale… apartheid… apartitico… apatia. Ecco, l’ho trovata!
Apatia: 1. incapacità prolungata o abituale di partecipazione o di interesse, dal punto di vista affettivo o anche intellettuale. 2. La suprema virtù dello stoico il quale, vivendo secondo ragione sa che tutto è come deve essere, perché tutto ha una sua ragione e non si lascia quindi limitare dalle cose.
La prima volta che mi hanno definito come apatico, la cosa non mi ha fatto particolarmente dispiacere dato che gli altri erano stati definiti come la stronza e il rompiballe. E poi non sapevo con precisione cosa significasse e il dizionario era per me solo uno strumento per nascondere le declinazioni e la coniugazione dei verbi durante i compiti in classe di latino.
Avevo 15 anni e la mia formazione intellettuale era solo agli inizi: aveva da poco preso avvio quell’evoluzione (od involuzione: è solo questione di punti di vista) che mi avrebbe portato ad arroccarmi su certe posizioni, abbandonando tutte le certezze che in famiglia avevano provveduto a fornirmi, ma imparando anche a non disprezzare a priori quello che gli altri pensavano, dicevano o facevano.
Durante lunghe giornate di meditazione e di ragionamenti, di documentazione e di studio ho analizzato pro e contro di ogni mia idea. Mi sono posto prima in una prospettiva e poi nell’altra, ho analizzato tutte le obiezioni che potevano essere mosse a una posizione o alla sua opposta, ho cercato esempi, nella storia o nel presente, che potessero confermare le mie idee, nuove o vecchie.
Non ho la verità in tasca, perché nessuno ce l’ha. E forse ho meno certezze di tante altre persone più colte e più dotte. Le conclusioni a cui sono arrivato sono frutto di un percorso logico e di un tentativo di mantenere una coerenza globale nei ragionamenti.
Tutto il mio pensiero è opinabile se si cambiano le basi di partenza, se non si può più affermare che l’uomo è un animale o che la terra è un ellissoide di rotazione.
Spesso mi sono scontrato con quello che avrei preferito credere e, spesso, voluto credere. Purtroppo non sono riuscito a giungere a conclusioni che mi rendono felice, a conclusioni che reputo moralmente corrette, moralmente corrette almeno per il tipo di cultura e di educazione che ho avuto. Mi sono sforzato però di accettarle e, anche se non voglio metterle in pratica nella mia vita, non me la sento di condannare chi adotta determinati pensieri o comportamenti perché li reputo razionalmente corretti.
E già. È proprio qui la falla dei miei pensieri: la razionalità porta in una direzione, i sentimenti in tutt’altra. La razionalità porta a ciò che è giusto fare, i sentimenti a ciò che è moralmente giusto fare.
Sono arrivato alla conclusione che è questa la causa dei miei mali, dei miei dolori e dei miei dispiaceri. Oscillare in una specie di limbo tra ciò che è razionale e ciò che è morale. Aspirare alla razionalità, ma non voler rinunciare alla moralità.
L’unica soluzione è nell’apatia, intesa come incapacità di prendere una decisione.
Marco Aurelio era l’imperatore filosofo, l’imperatore stoico che disprezzava i cristiani perché questi vedevano nel martirio chiassoso un privilegio e un dono a Dio e di Dio. Marco Aurelio voleva morire in silenzio per mostrare la capacità di accettare con indifferenza sia i dolori che le gioie. Voleva essere un esempio, ma esempio erano coloro che morivano cantando le lodi al loro Signore. Marco Aurelio non ha avuto il coraggio di prendere una decisione pro o contro la persecuzione dei Cristiani: ha solo preteso che fosse rispettata la legge. Non li condannava a priori solo per il loro modo di comportarsi; non pensava come loro, ma li accettava.
Vivere nell’apatia è comodo, molto comodo. Ognuno vive ‘nel suo brodo’, rispettando gli altri e pretendendo solo che ciò sia fatto anche nei suoi confronti. Si evita così di porsi domande e dover prendere decisioni.
Non ci si pone problemi morali, non ci si sente toccati dalle sofferenze altrui, non c’è bisogno di farsi un esame di coscienza. Ma ci sono anche tanti svantaggi: le sofferenze vengono affrontate come le gioie e così non si assapora la felicità; si rincorre con entusiasmo una meta, un obiettivo e, una volta raggiuntolo, ci si sgonfia come un palloncino al sole. Raramente si gustano i propri successi, le proprie conquiste perché è andata come doveva andare, perché dietro l’angolo c’è un’altra montagna da scalare che non ti lascia il tempo di prendere fiato, perché non sai cosa vuol dire essere felici.
E così quando si incontrano persone perennemente entusiaste le guardi con diffidenza, con commiserazione come se loro fossero gli extraterrestri. Non capisci da dove derivi questa passione che mettono in tutto quello che fanno: dalla punta della matita alla scalata dell’Everest. Non capisci che cosa li spinga a cercare continuamente il contatto con altre e innumerevoli persone, dove tragga forza di sostentamento il loro perenne buonismo per tutti.
E allora ti poni delle domande: sono loro gli ipocriti, quelli che vivono dietro una corazza di finzione o sei tu che hai creato un muro invalicabile intorno a te che ti impedisce di provare anche i sentimenti più semplici ma non banali? Sei tu che vivi la vita come non va vissuta o sono loro che si illudono e danno importanza a tutto perché tutto è nei loro sogni?
Hanno ragione loro a esternare inequivocabilmente e continuamente le loro sensazioni anche con persone che non conoscono o sei tu ad essere nella ragione nascondendo anche a te stesso i tuoi moti dell’animo?
E allora inizi a odiare queste persone non tanto per la loro capacità, quanto per le tue incapacità; ti rendi conto che non riuscirai mai ad avere quello che hanno loro e se razionalmente sei contento di ciò, allo stesso modo ne rimani sconsolato, ti rendi conto che tutta la tua vita, tutte le tue scelte sono state improntate solo per vivere un aspetto della tua esistenza, solo per prepararti al meglio ai momenti di dolore e di dispiacere.
Ti accorgi che i momenti di gioia e di felicità non sono mai stati vissuti al solo scopo di evitare di soffrire quando questi sarebbero venuti meno e non sai se hai fatto bene oppure male.
Ma le tue scelte ormai sono state fatte e non si può tornare indietro e l’unica cosa che puoi fare è continuare a odiare gli altri per non odiare te stesso.
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