OVVERO: MA QUANTO IDIOTA È RADAMÈS?
Aida al Comunale di Modena, 27 marzo 2001.
Dopo il dramma più pulp di Verdi, cioè Macbeth (in media un morto ammazzato ogni quarto d’ora), al Comunale di Modena è la volta di Aida. Aida è una splendida (in teoria: in realtà le interpreti sono quasi sempre delle balenottere) schiava etiope che ai tempi dei faraoni è dilaniata dal dilemma: patria o amore? «Entrambi!!», pensa giustamente. Ma c’è da combattere contro Amneris, padrona di Aida e figlia del faraone, anche lei cotta per il prestante condottiero egiziano, Radames (altro ruolo solitamente impersonato da pesi massimi). E il Ridge della situazione cosa fa? Incapace, come tutti i Forrester, di scegliere fra la flaccida cellulite di Amneris e il doppio mento cadente di Aida, va a combattere contro gli Etiopi e, manco a dirlo, li batte, trascinando con sé fra i vinti il padre di Aida che, guarda caso, è anche il re d’Etiopia. Egli stesso, accorgendosi dei sentimenti della figlia-Taylor contro quelli di Amneris-Brooke, la costringe a farsi dire dall’allocco-Radamès da dove gli egizi sferreranno l’ultimo attacco e lo convince a fuggire con lui in Etiopia, dove godranno della frescura delle "foreste imbalsamate" (ovviamente quelle di qualche millennio fa). Ma, scoperto dal faraone, il beota è condannato a morte; Aida, mica stupida, riesce a fuggire. Mentre si sta per essere sepolto vivo, Radamès scopre che accanto a lui c’è anche Aida, la quale, nella fuga, ha battuto la testa e ha deciso di passare a miglior vita insieme al suo amato barilotto (evidentemente aveva picchiato forte).
È opinione comune che Aida sia una delle opere più intense del "Cigno di Busseto" (leggi: Verdi), e in realtà, oltre a pagine francamente un po’ noiose, ci sono diverse situazioni che coinvolgono emotivamente. Soprattutto i duetti riescono a dar luce a tutto il lavoro sulla psicologia dei personaggi attuato prima dal librettista, Antonio Ghislanzoni, poi da Verdi. È il caso della prima scena del secondo atto: Amneris, per scoprire se Aida, poverina, è innamorata di Radamès, le dà notizia della sua morte in battaglia per poi provocarne la gioia incontenibile al momento della verità. Oppure durante il terzo atto: Amonasro, rievocando la patria lontana ("… rivedrai le foreste imbalsamate [aridaje!],/le fresche valli, i nostri templi d’or…"), riesce a convincere la figlia Aida a farsi dire il segreto da Radamès, non prima di averla minacciata di maledizione da parte della "larva" (leggi: "il fantasma") della madre defunta: ed è in questi momenti che con maggiore facilità si possono distinguere i cantanti-attori "navigati" dai "novellini". Benché la compagnia di canto fosse formata tutta o quasi da nomi sconosciuti (e, dalle fisionomie, da interpreti giovani), il livello generale è stato sicuramente più che accettabile.
Radamès, interpretato da Scott Piper, mi è parso però incerto negli acuti a voce spiegata (i pianissimi acuti li faceva in falsetto: ma così sono capaci tutti!), e pigro nelle parti d’insieme, durante le quali non si percepiva la sua voce. All’inizio dell’esecuzione, l’orribile "esse" sibilante: praticamente una delle sue "esse" era come tre normali. Queste sono le prime frasi di uno dei ruoli più ambiti dai tenori di tutto il mondo e di tutte le epoche:
Se quel guerrier io fossi,
Se quel sogno si avverasse!
cantate da Radamès-Ridge-Piper diventavano:
Ssse quel guerrier io fòssssi,
Sse quel sssogno sssi avverasssssse
Come attore ha dimostrato di saperci fare; ma sfido chiunque a non saperci fare con un’Aida di tal genere!!
Incredibilmente lontana, infatti, dal prototipo del soprano-cisterna, la schiava etiope era interpretata da Adina Aaron, affascinante e sensuale donna di colore a cui auguro la fortuna di Barbara Hendricks dei Lieder e di Jessye Norman della Carmen. Ha dato un’ottima impressione: sicura di sé, interpretava sempre in modo consono la sua parte di principessa ridotta a schiava e di fiera rivale in amore, dal piglio deciso e dai sicuri mezzi vocali. Nella scena del raggiro ai danni di Radamès i registi dovrebbero tenere maggiormente conto, a mio parere, della carica erotica di Aida che potrebbe egregiamente rappresentare una giustificazione per il tradimento di Radamès verso la sua stessa patria.
La compagnia di canto era stata preparata da Carlo Bergonzi, un vero faro per tutti gli amanti del genere; la regia e le scene affidati a Franco Zeffirelli, di cui ricordiamo la faraonica "Carmen" all’Arena di Verona, i costumi ad un’altra ben conosciuta figura del teatro musicale, Anna Anni (ma non si potevano evitare quelle guardie tutte dipinte di verde? Sembravano i figli mal riusciti dell’incredibile Hulk!!).
Un discorso a parte merita l’orchestra e il coro della Fondazione Arturo Toscanini, ottimamente guidati da Massimiliano Stefanelli. Memorabile il preludio, con i violini che, in arpeggio, simulavano le onde del Nilo. Peccato che nell’assolo all’inizio del terzo atto l’oboe abbia steccato clamorosamente rovinando quella emozionante aura di disperazione trasmessa da Aida, convinta di non poter più rivedere le sue "foreste imbalsamate". L’episodio della toeletta di Amneris, ambientato negli appartamenti reali, aveva bisogno di qualche voce in più nel coro femminile: qui, a tratti, si potevano individuare i singoli timbri.
In Aida c’è anche un balletto che al Comunale, a dir la verità, era molto limitato (le movenze erano limitate a braccia e mani), ma forse ciò era dovuto al fatto che lo stesso allestimento a Busseto non prevedeva danze per l’esiguità degli spazi. La prima ballerina, che in gergo viene pomposamente definita étoile, nella rappresentazione della domenica altri non era che Carla Fracci, classe 1936 ed ancora energie da vendere.
Lo spettacolo, complessivamente, era godibilissimo, come mi è stato confermato anche da alcuni spettatori che non avevano mai assistito ad alcuna opera lirica: le scenografie, i balletti, la bravura degli interpreti solitamente fanno sempre colpo sui "novizi" dell’opera e il fatto che alla maggior parte delle persone l’opera non piace è dovuto al semplice fatto che non ne hanno mai vista una.
È da sfatare, infine, la diceria che nei piccoli teatri le produzioni siano sempre di scarso livello: non è quasi mai il caso del Comunale di Modena, facente parte del sistema teatrale dell’Emilia Romagna, una sorta di cooperativa nella quale si dividono le risorse e le spese, queste ultime vero nodo attorno al quale si giocherà il futuro degli enti lirici e dei teatri di tradizione. Assistiamo, quindi, a produzioni che poco o nulla hanno a che invidiare ai maggiori teatri italiani insieme, purtroppo, a performances a dir poco penose, ad esempio l’esibizione del gruppo di musica antica berlinese Akademie für Alte Musik qualche mese fa, alcuni componenti del quale, evidentemente, avevano molto gradito qualche bicchiere di lambrusco prima dell’esecuzione.
P. S.: "imbalsamate" riferito alle foreste etiopi, significa "che emanano balsami", cioè resine.
Beautiful nell’antico Egitto,