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La storia è viva…

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La storia è viva…
e dalle pagine di "Hansi" ancora s’odono gli echi delle risate di coloro che sterminarono gli ebrei!

Non è sicuramente tra gli autori più letti e conosciuti, ma su chi ha avuto modo di incrociare nel suo percorso alcune pagine scritte da lui ha certo lasciato il segno e non è stato dimenticato. Si chiama Igor Argamante ed è a lui che si deve un libro dal titolo Morte da cani. Piccola storia stalinista (Il Mulino), che analizzava il sistema stanilista, anzi, per la precisione lo metteva a ferro e fuoco attraverso un’approfondita ricerca negli archivi del Kgb.
Ora l’operazione di ricostruzione storica continua e il suo nuovo libro, Hansi, parla dello sterminio degli ebrei, ricostruisce i giorni del lager e della Shoah attraverso la storia di un ragazzo ebreo della Boemia profugo a Wilno, l’attuale Vilnius.
Il modo in cui Argamante racconta Unione sovietica e stalinismo non è quello dell’indulgenza, perché secondo lui "gli obiettivi e la struttura del pensiero stanilista e nazista erano analoghi e le deportazioni in Urss, i gulag, lo sterminio dei possibili oppositori politici non erano ‘eccessi’ ma sostanza del sistema stanilista".
Così lui non risparmia ai lettori, studenti o non studenti che siano, le brutture della storia e dunque non fa parte del gruppo di sostenitori della lista di testi da mettere all’indice.
Il protagonista di Hansi, il personaggio di cui il libro ricostruisce la storia, si chiama Alexej Alexandrovic Argomakov. Fu arrestato il 26 settembre 1939 dalla polizia politica di Stalin, la Nkvd, e morì nel 1941. E in realtà Argamante altro non è che la traduzione italiana proprio del cognome Argamakov, lo stesso di Alexej, padre di Igor.
Le ricerche effettuate dall’autore sono state dunque mosse da un profondo affetto, perché i ricordi dentro i quali scavava erano quelli di suo padre. Ed è riuscito nel suo intento: ha documentato e denunciato pubblicamente, attraverso un romanzo che sa di vera opera d’arte, un formalismo giuridico adorato dagli inquirenti stabilisti che ha portato ad un provvedimento amministrativo, e non a una sentenza, di condanna. Il tutto ovviamente senza prova alcuna e pure senza colpa alcuna, se non quella di essere un nobile, un ufficiale prima dell’esercito zarista poi dell’Arma rossa.
E proseguendo nelle sue indagini questo settant’enne dall’aspetto giovanile è arrivato ad avere tra le mani l’intero dossier Argamakow archiviato e così il suo racconto, partito da una storia personale, si fa Storia con la S maiuscola, racconto di vita cui molti hanno preso parte, storia viva, vera e propria riedificazione di una fase storica. Accanto ai ricordi c’è la documentazione, tratta dagli archivi delle stesse SS, e il periodo cui le pagine ridanno voce e vita è quello che va dal 1939 al 1944, all’interno della contesa terra situata tra Polonia e Russia, e il terribile sterminio degli ebrei respira di nuovo e ancora la scena è la medesima di sempre: tutti sapevano cosa accadeva, ma nessuno parlava. Ora qualcuno per fortuna ne scrive e la scena in cui le acque del Bug inghiottono degli innocenti, colpevoli perché nati ebrei, è più che mai agghiacciante, indimenticabile dimostrazione della crudeltà cui l’uomo è capace:
"… un sottufficiale della Nkvd confinaria (‘berretti verdi’), ridendo a crepapelle,, aveva confidato ai suoi padroni di casa una storia divertentissima. Era in servizio di pattugliamento lungo le rive del fiume Bug, che divideva in due la Polonia. Inaspettatamente, sull’altra riva, videro, videro spuntare delle SS che scortavano un centinaio di prigionieri incatenati tra loro. In parte erano senza dubbio civili ebrei. Gli altri, a giudicare dalle uniformi sbrindellate, erano prigionieri di guerra polacchi, forse anch’essi ebrei. Arrivati sul greto del fiume, i tedeschi li spinsero sul ghiaccio che ancora copriva il fiume, anche se vicino alle rive c’era già l’acqua.
Era aprile, eravamo sicuri che il ghiaccio non avrebbe sopportato il peso di tutta quella gente e si sarebbe rotto. Invece niente. Attraversarono il Bug correndo come matti, scivolando e cadendo a grappoli. Quando misero i piedi sulla nostra sponda sparammo, prima in aria – per far capire che facevamo sul serio – nella loro direzione, colpendo la sabbia ai loro piedi. Spaventati, si trascinarono indietro, e poiché anche i tedeschi sparavano, rimasero incerti in mezzo al fiume, sempre più terrorizzati, con il ghiaccio che scricchiolava sotto il loro piedi. Per fortuna, richiamato dagli spari, arrivò un nostro ufficiale che capì al volo la situazione. I camerati tedeschi non volevano infrangere gli accordi e spingere della gente sul territorio sovietico. Volevano semplicemente farli annegare nel Bug, ma non ci sapevano fare col ghiaccio. Nulla di più facile. Ordinò di buttare un paio di bombe a mano: si formarono delle crepe, il ghiaccio cedette e in un battibaleno il fiume li inghiottì tutti. Gli spari e le esplosioni avevano fatto alzare in volo dalle due rive del Bug centinaia e centinaia di cornacchie, che si misero a svolazzare sopra la gente che sprofondava nell’acqua, crocidando come indiavolate.
‘Che spettacolo, che risate!’, e imitò malamente il gracchiare delle cornacchie.
Il padrone di casa, un ebreo, ridiventato improvvisamente sobrio, gli chiese con voce sommessa se erano tutti ebrei. ‘Che ne so… i civili erano certamente ebrei; per gli altri, ora lo sapranno i pesci’. E giù la risata". (Igor Argamante)

Francesca Orlando

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