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Guida alla lettura di Howard Phillips Lovecraft (II)

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Guida alla lettura di Howard Phillips Lovecraft (II)

Dove reperire i testi di Lovecraft?
Una parte significativa dell’opera di Lovecraft è stata pubblicata anche nel nostro paese, ed in certi casi è ormai facilmente accessibile a tutti. Vediamo qualcosa di più a proposito, premettendo peraltro che per Lovecraft come per qualsiasi altro autore vale ovviamente la medesima considerazione: non appena ve ne sia la possibilità, l’appassionato dovrebbe procurarsi le edizioni in lingua originale, tramite le quali si entra veramente a contatto con l’opera dello scrittore così come è stata concepita e scritta, senza l’intermediazione di alcuna traduzione. E’ bene però notare anche che lo stile narrativo di Lovecraft, denso di descrizioni nelle quali l’autore non lesina l’uso di vocaboli ricercati e desueti e si compiace apertamente di costruzioni sintattiche complesse ed oscure (nonché comprendente a volte, si veda in particolare la lunga narrazione di Zadok Allen in The Shadow Over Innsmouth, intere sezioni di dialogo in dialetto), non permette di essere apprezzato in lingua originale se di questa non si possiede una conoscenza ben più che scolastica. Dovendo ricorrere troppo spesso al vocabolario infatti si rischia di perdere del tutto il flusso delle dinamiche interne di quanto si sta leggendo, mentre affidandosi solo al proprio buon senso per ricostruire il significato dei termini sconosciuti non si può ovviamente apprezzare fino in fondo la ricchezza della prosa lovecraftiana e la sua ponderata maestosità: la soluzione ideale si trova senza dubbio a metà strada, ma non sempre sarà facile individuarla.
Per quanto riguarda la narrativa, l’edizione italiana di riferimento è quella Oscar Mondadori de "Tutti i racconti", ordinati cronologicamente in quattro volumi. Dalla sua ha il fatto di essere basata sulle versioni più recenti e filologicamente corrette del materiale, rivedute e preparate dal grande studioso lovecraftiano S.T.Joshi per l’edizione americana pubblicata della Arkham House. Va però lamentata la mancanza di almeno una edizione in copertina rigida, il che obbliga anche l’appassionato più esigente ed il cultore delle belle rilegature di una volta ad accontentarsi di volumi economici e senza pretese.
Una parte ingente del corpus lovecraftiano è costituito dalle collaborazioni: in massima parte, racconti da lui scritti praticamente da cima a fondo, partendo da un semplice suggerimento o da uno scheletro di trama offerto dal committente. Collaborazioni di questo tenore si risolvono nel migliore dei casi in una rielaborazione in tono inevitabilmente dimesso delle idee che Lovecraft andava sviluppando nella propria narrativa, e nel peggiore in racconti pasticciati sui quali nemmeno la mano dell’illustre revisore ha potuto alcunché. Lo si tenga ben presente al momento della lettura.
Proseguendo, sempre per Mondadori sono usciti "Lettere dall’Altrove", una succinta selezione dello sterminato epistolario; e "Diario di un Incubo", sotto il cui titolo volutamente ad effetto si nasconde il Commonplace Book, ovvero il quaderno di appunti sul quale lo scrittore riportava diligentemente le idee e le intuizioni che si riservava di riprendere e sviluppare in seguito. Per quanto riguarda quest’ultimo, la traduzione italiana è corredata da un esaustivo corredo di note e pertanto svolge bene il suo compito; in merito alle lettere invece è caldamente consigliato ricorrere all’originale edizione americana delle Selected Letters, pubblicate in cinque volumi dalla Arkham House, che presenta una selezione più ampia e sicuramente più eterogenea di materiale (si ricordi comunque che i primi due volumi sono da tempo esauriti e rintracciabili perciò solo sul mercato dell’usato). Per l’epistolario vale lo stesso discorso affrontato poco sopra: qualora le proprie conoscenze lo permettano sarebbe preferibile affrontare gli originali, a maggior ragione in questo caso giacché la traduzione italiana ha interessato solo una frazione della mole di materiale disponibile invece in lingua inglese.
Nelle vesti di teorico letterario Lovecraft è a tutt’oggi assai meno noto di quanto lo sia in quelle di autore di narrativa: nonostante questo il fondamentale Supernatural Horror in Literature è stato tradotto in Italia da SugarCo e pubblicato a se’ stante, mentre un secondo volume della stessa casa editrice ("’In Difesa di Dagon’ ed Altri Saggi sul Fantastico") ha provveduto a raccogliere diversi altri interventi lovecraftiani in materia (tra cui quello famoso, che dà il titolo alla stessa raccolta, in cui difende dalle critiche il proprio racconto Dagon). E’ inoltre relativamente fresca di stampa l’analoga raccolta "Teoria dell’Orrore", pubblicata da Castelvecchi e curata da Gianfranco de Turris. Parecchio materiale di questo tipo si può rintracciare poi in Miscellaneous Writings, la collezione compilata da S.T.Joshi per la Arkham House, che raccoglie scritti di vario argomento (dalla letteratura ai viaggi, dalla filosofia alla politica) pressoché imprescindibili per farsi un’idea del Lovecraft-uomo oltre che del Lovecraft-scrittore.
Ancora mancante risultava fino a poche settimane fa un’edizione completa, aggiornata e filologicamente attendibile del corpus poetico lovecraftiano: ora si è reso disponibile il volume The Ancient Track, appena uscito sul mercato americano. In Italia un compendio accettabile è rintracciabile nel volume "Il Vento delle Stelle" (Agpha Press), che raccoglie parte della produzione più ‘irregolare’ dello scrittore; in lingua inglese invece è la Necronomicon Press ad offrire in questo frangente il catalogo più ampio, per quanto inevitabilmente disperso e frammentato in molte pubblicazioni distinte (al punto di rendere consigliabile agli eventuali interessati di consultare direttamente il loro catalogo per farsi un’idea più precisa in merito). Poco meno che indispensabile è però l’acquisto del ciclo dei Fungi From Yuggoth (sempre su Necronomicon Press), i trentasei sonetti nei quali la poetica lovecraftiana è forse più significativamente sintetizzata e rifulge di luce propria grazie anche ad un’espressività poetica mai così efficace.
Un’ultima, doverosa ed inevitabilmente riduttiva nota va all’immensa produzione accumulatasi nel decenni sulla figura del maestro di Providence, nonché alla narrativa dichiaratamente ispirata ai suoi temi più noti. Riguardo alla prima categoria, mi limiterò ad indicare i nomi di S.T.Joshi (la figura di riferimento nell’ambito degli studi lovecraftiani, nonché l’autore della più recente e completa biografia disponibile: H.P.Lovecraft: a Life, edita dalla Necronomicon Press), Steven J.Mariconda, Dirk W.Mosig (il cui approccio all’opera di Lovecraft è quantomeno originale, derivante dalla familiarità di Mosig con la musica classica, il buddhismo e la cultura orientale, e dai tentativi che egli compie di tracciare paralleli fra questi tre ambiti e la produzione dello scrittore) e Peter Cannon (forse il più schietto ed irriverente): i loro saggi, e quelli di altri studiosi di cui qui per ragioni di concisione sono colpevolmente costretto a tralasciare i nomi, sono stati pubblicati a più riprese dalla Necronomicon Press.
In merito alla narrativa cosiddetta ‘lovecraftiana’, il consiglio invece è quello di procedere con grande cautela. Il mero richiamarsi all’immaginario dell’autore americano o di prelevare di peso dalle sue pagine nomi esotici quali Necronomicon o Yog-Sothoth non garantisce infatti di per se’ sugli esiti complessivi della narrativa in questione, e non è quindi affatto difficile imbattersi in lavori assai miseri e banali i quali sbandierano il proprio rapporto con l’opera di Lovecraft nel disperato tentativo di essere sottratti all’oblio che meriterebbero senza alcuna esitazione. Personale impressione di chi scrive è che battere Lovecraft sul suo stesso terreno e con le sue armi predilette non sia nemmeno lontanamente possibile, e che pertanto tutte le opere troppo smaccatamente derivative non possano rappresentare altro che una sostanziale delusione per chi abbia già familiarità con gli originali. L’unica parziale deroga a questa considerazione potrebbe al massimo venire da alcune delle cosiddette ‘collaborazioni postume’, ovvero un romanzo breve ed una raccolta di racconti che August Derleth portò a compimento partendo dalla base rappresentata da alcuni appunti lasciati incompiuti da Lovecraft al momento della morte. Per quanto gran parte delle idee e dello svolgimento di questi lavori sia da ascrivere esclusivamente a Derleth, e quindi risenta tanto della sua distorta visione del pantheon lovecraftiano già citata in precedenza quanto dell’obiettivamente più modesta qualità letteraria di Derleth, per poco che sia tra di essi si nasconde qualcosa da salvare: è il caso ad esempio dello struggente The Lamp of Alhazred, nel quale la mano lovecraftiana sembra sentirsi maggiormente. A titolo di curiosità si riporta comunque il fatto che le ‘collaborazioni postume’ non hanno trovato posto ne’ nell’edizione Arkham House ne’ in quella Mondadori della narrativa di Lovecraft, segno del fatto che vengano unanimemente considerate opera del solo Derleth: in Italia sono state pubblicate da Fanucci.
Un’ultima parola va ai numerosi testi che nel corso degli anni si sono proposti di rappresentare l’edizione fedele del temibile Necronomicon, il libro di magia più volte citato da Lovecraft nei suoi racconti. Ebbene, lo stesso Lovecraft non nascose mai un piccolo particolare che molti hanno poi preferito ignorare: e cioè che il Necronomicon non è mai esistito, trattandosi semplicemente di una delle tante idee partorite dalla fervida immaginazione dell’autore. Si diffidi pertanto di tutti i supposti "libri segreti di H.P.Lovecraft" così come dei fantomatici "testi di Rl’yeh" e via fantasticando…

Quando accostarsi agli scritti di Lovecraft?
Ora che sono state fornite le coordinate pratiche per avvicinarsi a Lovecraft, rimangono due parole da spendere in merito alla ‘utilizzazione’ del materiale che ci si fosse eventualmente procurato.
La narrativa lovecraftiana non è catalogabile nel genere usa-e-getta, ne’ fra la generica produzione destinata semplicemente a suscitare qualche brivido passeggero ed istantaneamente dimenticabile: ed essa stessa non fa nulla per incoraggiare un simile impiego, lontana com’è dalla nostra idea di facile fruibilità. Avvicinarsi ad opere solo apparentemente semplici quali The Call of Cthulhu, per non parlare di quelle più lunghe ed articolate quali i capolavori dell’ultimo periodo, come ci si avvicinerebbe ad un bestseller moderno di Stephen King, Clive Barker o Dean Koontz è profondamente sbagliato. Non ci inganni il fatto che proprio King, ad esempio, abbia a più riprese dichiarato il debito artistico e ‘spirituale’ contratto con il maestro di Providence: tutti i romanzi di King sono infatti profondamente diversi in quanto ad impostazione e sviluppo, e risultano per innumerevoli motivi assai più accessibili al lettore medio nonostante la mole di alcuni di essi possa inizialmente far pensare l’opposto.
Lovecraft non solo ebbe il suo apice creativo circa settant’anni fa, e pur risultando con il senno di poi un pioniere dell’horror moderno già allora risultava per altri aspetti ‘fuori moda’, legato com’era a modelli (stilistici però, mai tematici) risalenti al secolo precedente se non addirittura al suo amato Settecento: questo per spiegare come il suo stile abbia ben poco a che spartire con la produzione più invitante dei giorni nostri, anche quando gli argomenti le siano più o meno paragonabili. Lovecraft richiede impegno, e non è un caso se una parte significativa della sua notorietà odierna derivi in realtà dalle numerose trasposizioni della sua opera in forma di film, fumetti, videogiochi o RPG: trasposizioni che, a volte fedeli ma altre volte assolutamente mistificanti, hanno permesso la diffusione del corpus originale presso un pubblico assai ampio. Tutto questo sarebbe da ritenersi sostanzialmente positivo laddove stimolasse in seguito a prendere contatto con il materiale originario: se invece la conoscenza di Lovecraft comincia e finisce a livello del fumetto o del gioco di ruolo, l’interessato non potrà vantare alcuna reale familiarità con il sognatore di Providence.
Senza esagerare nel proporre ambientazioni fortemente caratterizzate (leggi "stanza illuminata a lume di candela in una notte buia e tempestosa…" e via discorrendo), rimane assolutamente valido il consiglio di volgersi a Lovecraft quando ci si senta pronti ad immergervisi completamente, senza fastidiose interruzioni esterne ne’ assilli di altro genere. La ricchezza della sua prosa è ben evidenziata d’altro canto anche dal fatto che il mezzo cinematografico, pur forte ormai di effetti speciali di grandissimo impatto, non sia mai riuscito a renderle ragione e proporne una versione veramente e completamente convincente. Giocate come sono su sfumature, su concetti adombrati e mai dispiegati fino in fondo, su una sorta di irrequietezza e tensione di fondo, le storie lovecraftiane nascono su carta e su carta danno ancora oggi il meglio di se’. Il lettore è chiamato a supplire con la propria fantasia alle descrizioni che Lovecraft lascia volutamente sospese, ben conscio del fatto che nessuna parola può sostituirsi alla forza delle emozioni e dell’immaginazione: è lo stesso lettore allora a dare forma nella propria mente al grandioso Cthulhu che riemerge dalla Rl’yeh sepolta sotto le acque, oppure agli shoggoth che la spedizione scientifica di At The Mountains of Madness ritrova sotto i ghiacci eterni dell’Antartide. Orrori ai quali Lovecraft rifiuta di abbinare descrizioni dettagliate e per loro stessa natura limitanti, lanciando quindi a briglie sciolte la nostra immaginazione e ponendo il lettore in rapporto diretto con il testo: e forse è proprio questo il motivo della fortuna, purtroppo per lui quasi esclusivamente postuma, del grande Howard Phillips Lovecraft.

Fabrizio Claudio Marcon

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