Il ricordo è un gesto importante, memorizzare non è soltanto salvare i momenti dal tempo. Ricordare è necessario, indissociabile dal vivere, primo e ancestrale processo creativo.
Nel loro movimento, nel modo di usare la città e cercarne i luoghi, fra questa popolazione della strada c’è un senso di incompletezza che loro stessi percepiscono, senza riuscire del tutto a comprendere. Possiedono strumenti che consentono di percorrere la realtà e il quotidiano; sanno interferire con il paesaggio della metropoli, da cui non vogliono lasciarsi inghiottire né sopprimere. Ma sono privi di memoria.
Appartengono al mondo in cui muovono i loro passi, teatro delle sfide di ogni giorno; questi luoghi contengono vie di fuga continuamente ridefinite in un dedalo di strade che sembrano tutte uguali; tracciano sentieri che mettono a fuoco una nuova geografia della stessa città. Eppure l’assenza di memoria li rende deboli, schiacciati dall’insormontabile difficoltà riuscire a mantenere la propria rotta.
Loro non possono ricordare perché il "prima" è iniziato soltanto da uno, due, tre anni al massimo. Nessuno si è mai preoccupato di raccontare e forse non si sono resi conto che poteva essere il caso di chiedere. Il risultato è questo, quello di oggi, adesso; vivono conseguenze che non conoscono.
Parliamo di movimento, strade, luoghi. Allora – una volta – non c’erano, almeno non questi luoghi. Ma nemmeno altri, piuttosto c’erano meno posti; questa realtà metropolitana è storia recentissima. Niente rampa e niente street; ancora prima – dieci, quindici anni al massimo – nemmeno inline. I primi skate arrivavano dall’America attraverso i filmati, poi sono arrivate anche le tavole.
Mi ricordo benissimo che ci facevamo bastare i marciapiedi, i cortili interni delle case; a Torino poi c’era il Valentino. Quando ancora giravano più o meno liberamente le auto erano gli anni ottanta, niente di geologico insomma; al Valentino c’erano i ragazzi che correvano veloci coi primi rollerblade e mettevano gli ostacoli per terra mentre i tubi bloccavano soltanto il passaggio o servivano per tenersi scendendo le scale.
Ci sono state, proprio negli ultimi dieci anni – parlando soltanto di luoghi della città – vere e proprie mutazioni. I primi ragazzi che andavano con la tavoletta dello skateboard li vedevamo sul tg regionale, ripresi ad esibirsi sul marmo ormai storico del teatro Regio di Torino. Poi le polemiche, chi si opponeva e chi era favorevole.
La città cambia continuamente e anche se si seguono attentamente le sue rotte non sempre si riesce a trovare un filo logico e non sempre le scelte possono essere completamente condivise. Oggi davanti al Regio non c’è più niente, tutto chiuso da un cancello monumentale. Una meravigliosa opera d’arte separa il "dentro" dal fuori, un cancello lunghissimo fra il marciapiede di selciato discontinuo e impercorribile e il marmo lucido e affascinante. E’ curioso pensare come l’arte, per definizione sinonimo di libertà, espressione e avanguardia, creatività ed idea innovativa, sia stata usata per generare barriere. Piccole, insignificanti gabbie dorate racchiudono il ricordo di vecchie canzoni. Puoi soltanto più vedere attraverso le sbarre, dal "fuori" verso un dentro che un tempo apparteneva alla strada e al suo teatro dell’immaginazione.
La città persiste nel tempo attraverso le proprie strutture celebrative, che ne determinano la forza d’animo, la presenza, la capacità di imporsi. Ma non bisogna dimenticare che la città è anche soul, un contenitore di anime.
flashback