E un bel giorno il computer cominciò a spedire mail ad indirizzi sbagliati.
"Nemmeno troppo complicato" commentò Matteo, esperto subito convocato.
Ma per due giorni le lettere finirono ad indirizzi sbagliati. E finché Andrea ricevette gli auguri per Giorgio – o Stefano un file per Marco – non ci sarebbero stati problemi, ma il virus aveva recapitato a Laura la più inopportuna delle lettere.
Laura la stampò, e dopo il lavoro venne a leggerla a casa mia:
Cara Stefania,
ieri notte è stato molto bello. Devo ammettere che non avrei immaginato che potesse andare in quel modo. Forse ci avevo pensato. Forse no. Un momento ci stavamo guardando e il momento dopo eravamo l’uno attaccato all’altro. Strano, no? Questa mattina mi sono chiesto cosa pensavi di me. Se mi pensavi. Ho realizzato, dopo tutto, che alla fine io ti stavo pensando. Insomma, è stato davvero grande, non trovi? Ti avrei baciata per ore. Magari anche tu. E adesso? Ho voglia di stare con te, questa sera, domani. Ho voglia di baciarti ancora, di fare l’amore con te. Provo a telefonarti più tardi. Ci sarai? Questa sera devo uscire con Laura. Troverò una scusa. Non ho più voglia di stare con lei.
A prestissimo.
l.
La lettera sembrava molto più lunga, mentre Laura leggeva.
Molto più falsa di quando l’avevo scritta al mattino. Non mi rappresentava più. L’avevo scritta nell’euforia di un momento che consideravo esaltante. L’euforia si stava spegnendo tra le labbra di Laura.
"Dopo due anni che stiamo insieme immaginavo una fine migliore" disse.
"Tutti i tuoi discorsi, le tue belle parole" continuò.
"Dovrei impazzire per quello che hai fatto, o star male per quello che ho fatto con una persona come te?" si interrogò.
"Mi hai perso, e la mia assenza sarà una vendetta sufficiente" concluse, abbandonando il foglio tra le mie mani.
Possibile? Un virus.
Quella sera non andai da Stefania.
Non accesi più il computer, troppo pericoloso.
Spensi il cellulare.
Possibile? mi domandavo.
Presi la bicicletta e cominciai a girare per la città. Attraversai il parco e mi ritrovai sotto casa di Laura. La luce di camera sua era spenta. Non mi fermai. Non sentivo di averne voglia. Pensai di prendere un gelato, ma faceva troppo freddo. Vagai per mezz’ora tra macchine silenziose sotto un cielo affrescato di stelle. Ogni tanto mi fermavo, pensando di accendermi una sigaretta.
Alle undici capitai sotto casa di Simona. Ogni tanto uscivo con lei. A volte parlavamo, a volte andavamo al cinema. O tutte e due.
Provai a suonare.
"Disturbo?"
Non disturbavo. Era sola. Studiava con musica in sottofondo.
Le feci leggere la lettera. Avrebbe capito? Sosteneva sempre che era normale provare attrazione per altre persone. Faceva parte del gioco.
Rise, poi mi domandò cosa fosse successo.
"E’ stato un virus."
"Meglio di tanti altri" ribatté.
Rimasi a bere una birra, e mentre le raccontavo i particolari mi resi conto che anche lei era bellissima. Inorridii. Ero malato. Decisi di comunicarglielo.
"Sono malato!"
"Sei malato?"
"Sono tanto malato."
Continuò a ridere.
"Ti sarai preso un virus" stabilì.
Lasciai Simona ai suoi studi e ripresi il giro in bicicletta. Passai nuovamente dal parco e da casa di Laura. La luce della sua stanza era ancora spenta.
Era uscita? Con un altro? Subito?
Tutto questo per uno stupido virus. Il giorno prima non avrei mai immaginato di trovarmi in quella situazione. Sarebbe stata una sera come tutte le altre, quella. La sarei andata a prendere. Poi avremmo visto un film al cinema o in videocassetta, forse avremmo fatto l’amore. E invece non sapevo nemmeno dove stava, Laura, in questo momento. Tra le braccia di un altro? Non so. Non importava, non era con me adesso, questo importava.
Per un attimo pensai anche a Stefania, a cosa avrebbe pensato di me. Alla stupida lettera che le avevo scritto. A come mi sarei dovuto comportare con lei. Se avremmo rifatto l’amore. Pensavo a quel maledetto virus. In realtà ero io che pensavo troppo. Pensavo agli altri e a quello che potevano pensare di me. Ero matto. O maledettamente normale.
Rimasi fermo per una decina di minuti. Mi venne freddo. Dovevo fare qualcosa. Pensai di tornare da Simona, ma mi avrebbe preso per pazzo. Avevo bisogno di stare con qualcuno, di stare in silenzio con una persona vicina. Avrei voluto ripassare da Laura, ma sarebbe stato inutile.
"Mi hai perso, e la mia assenza sarà una vendetta sufficiente" aveva detto.
Le tre e quarantacinque. Era tardi. Era davvero un mare di tempo che non andavo a letto a quell’ora. Perché non riuscivo più a fare le quattro con Laura? Ci eravamo stancati? Mi ero seduto? Mi ero dimenticato di lei?
Tornai a casa. Mentre il computer si accendeva guardai le foto di Laura appese qua e là per la stanza. Laura al mare in bikini, Laura alla cena del suo compleanno, Laura con le dita in bocca mentre fa una boccaccia, Laura che mi guarda sexy in una foto scattata dopo aver fatto l’amore.
Mi mancherai Laura? Tormenterai il mio futuro? O sono solo i pensieri del primo giorno senza di te dopo tanto tempo, senza essere sicuri di sentir suonare il cellulare pensando di poter leggere il tuo nome? Meglio, senza essere sicuri di sentir suonare il cellulare sperando di poter leggere il tuo nome.
Scrivania.
Word.
Avrà un virus anche word? Probabilmente sì. Una parola infetta mandata a morire, un attimo ci sei e un attimo non ci sei più. Pazienza. Per il momento io ci sono ancora. E penso a te. E visto che il tuo cellulare è spento, come la luce della tua stanza nell’appartamento sopra il parco, e che ho bisogno di dirtelo in qualche modo, alla fine mi sono messo a scriverlo questo racconto.
L’ho chiamato Virus.
Tu l’hai chiamata Vendetta.
Chi Vincerà?
Virus
Raffaele Gambigliani Zoccoli