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Dall’Asia con perplessità

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Dall’Asia con perplessità

Nelle due sezioni più importanti, il concorso principale chiamato semplicemente "Venezia 58" ed il nuovo premio istituito quest’anno indicato sui programmi come "Cinema del presente", non potevano mancare film asiatici, a naturale rappresentanza di un cinema nonostante tutto ancora poco conosciuto al grande pubblico malgrado l’incetta di premi in ogni festival del mondo. I due film di cui sto per parlarvi, abbiate un attimo di pazienza, sono però due delusioni anche per chi, come me, è rimasto affascinato da un "nuovo" cinema e fatica a trovarne le mele marce (che parola grossa!).
A concorrere per il "Leone dell’anno", assegnato poi al francese Cantet di "L’emploi du temps" in uscita in questi giorni, c’era anche "
Seafood1" di Zhu Wen. La nazionalità di questo film è cinese, politicamente parlando, anche se si insiste nel citare Honk Kong. Che l’ondata asiatica non potesse essere tutta di buona qualità era da immaginare e "Seafood" lo dimostra. Gli elementi del cinema orientale ci sono tutti; la tragicità, i paesaggi freddi ed estemporanei, il travaglio generazionale di chi, suo malgrado, è costretto a subire un processo di modernizzazione in un lasso di tempo molto più breve di quanto è stato concesso a noi occidentali e così via. La storia è però interessante. Una ragazza, prostituta, si reca in un luogo tristemente noto per essere l’ultima tappa di adolescenti che decidono di suicidarsi, vuoi perché lì c’è un grande albergo impersonale dove nessuno ti disturba, vuoi perché l’ambiente, climatico e sociale, è veramente desolante e così non c’è il rischio di cambiare idea. Anche lei affitta una camera con quest’intenzione ma sulla sua strada si trova un giovane poliziotto, ormai abituato a casi di questo genere, deciso più che mai a farle cambiare idea, dopo averla scopata con la forza ("tanto devi morire, cosa ti importa?", è la sua giustificazione). Alla fine lei desisterà dalla sua idea suicida dopo avere ucciso accidentalmente il suo angelo custode e ritornerà tra le prostitute. Nonostante gli spunti per un film dolente e toccante ci fossero tutti, il risultato è poco coinvolgente e spesso cade nel cliché della fragile che alla fine beffa il duro. Il fenomeno delle ragazzine provocanti ed emarginate, usate solo per stuzzicare la fantasia di padri di famiglia repressi, deve essere molto sentito in Cina perché anche l’altro film, "Hollywood, Honk Kong" di Fruit Chan, ne fa un accenno pur trattando una storia diversa ed in modo molto differente.
In questo caso è il grottesco a fare da filo conduttore ad un’originale sceneggiatura che racconta di una famiglia di grassoni che gestisce una macelleria. Sempre sudati e sporchi di sangue il padre, il figlio maggiore ed il piccoletto convivono a stretto contatto tra loro e con i vicini in un quartiere abusivo formato da sole baracche, evidentemente tollerate dall’amministrazione cittadina perché il cartello che ne obbliga lo sgombero per fare posto a nuove costruzioni sembra piuttosto datato. Le nuove costruzioni sono gli enormi palazzi che incombono tutt’intorno, enormi formicai dai quali la baraccopoli sembra uno sporco formicaio anch’essa. Però è proprio lì che si svolge la storia. Una ragazzina ammiccante getta lo scompiglio in questa pittoresca famiglia facendosi amica del figlio più piccolo e solleticando le voglie del padre e dell’altro figlio. Parallelamente un ragazzo gestisce un piccolo catalogo di ragazze da affittare usando Internet, l’unica finestra di questi emarginati. Tra farsa e amarezza trovano posto divertenti siparietti come quello della scrofa che scappa o della mano tagliata e poi riattaccata alla persona sbagliata. La fine è tragica, come può essere tragico il ricatto che la ragazzina fa alle persone incastrandole con la sua falsa età e le prove dei rapporti sessuali, oppure è divertente come il ragazzo al quale il braccio di un’altra persona riattaccato con troppa fretta lo fa sembrare un demente. Anche in questo caso, però il risultato non convince. La farsa e le risate non hanno sempre il ritmo ed il livello giusto, "Keep cool" era tutta un’altra cosa ad esempio, mentre la tragedia e il dramma non riescono a colpire.
In sostanza ,a mio parere, si tratta di due selezioni poco felici per un evento come la Mostra di Venezia, forse giustificate dal voler portare a tutti i costi qualcosa che raccontasse la Cina che cambia, o meglio chi traina la Cina che cambia. Dopo vari film, poco riusciti come "Chinese Box", sull’abbandono di Honk Kong da parte degli inglesi allo scadere dell’incredibile affitto secolare, il desiderio di vedere i cinesi ad Honk Kong e non quelli che tirano il risciò è stato probabilmente anticipato alla reale qualità dei film.


Michele Benatti

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Sullo sfondo.

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