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The monthly chess review – #2

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The monthly chess review – #2

Nel numero scorso abbiamo affrontato gli aspetti che contraddistinguono il gioco degli scacchi ai giorni nostri, l’integrazione fra i software di gioco ed i giocatori umani.
Non scoraggiamoci troppo se parlando di analisi ci troviamo di fronte a programmi che in un solo secondo sono in grado di simulare molte decine di migliaia di mosse… La mente umana è in grado di fare questo tipo di ragionamenti in modo altrettanto efficiente senza alcuno sforzo apparente. Anche se molto difficilmente siamo in grado di percepirlo il nostro cervello gioca a scacchi manipolando una quantità di informazioni del tutto analoga a quelle che è in grado di elaborare un computer dell’ultima generazione, è solo questione di allenamento.
Il fatto è che non ce ne rendiamo del tutto conto, ma quando un giocatore di scacchi (anche mediocre con poche decine di partite alle spalle) osserva una scacchiera preparandosi alla propria mossa od attendendo la mossa dell’avversario in realtà opera comunque previsioni mentre la percezione del gioco viene mediata dalle sue conoscenze, od esperienza così che quella configurazione assume un particolare significato. Possiamo dire che la stessa posizione, osservata con l’esperienza dallo stesso giocatore, supponiamo un anno dopo, probabilmente risulterà irriconoscibile. Nel corso delle varie partite infatti questi avrà acquisito una modalità di osservazione ed analisi sempre più completa e complessa.
Qualcosa di simile, ovvero un primitivo paragone all’esperienza lo troviamo nei programmi di scacchi più recenti indicato come algoritmo hash. Quando il programma si confronta con l’avversario, analizza (quasi) tutte le mosse possibili e cerca di adattare queste possibilità alla situazione di gioco individuando quella che può essere la migliore mossa possibile. Ciò che di fatto non accade – trattandosi di un algoritmo comunque matematico – è che il computer possa dedurre aspetti relativi al comportamento umano dell’avversario ed utilizzare questo genere di parametri per decidere quale mossa prevedere. L’algoritmo hash consente al programma di memorizzare le mosse già incontrate in partite precedenti (solitamente viene fornito con un database precostruito in grado di evolvere giocando). Ciò comporta un vantaggio di tempo nel calcolo delle mosse, da cui ne risulta un’apparente capacità di apprendimento.
Il livello di gioco di un programma è principalmente determinato dal tempo che il computer dedica all’analisi di ciascuna mossa. Più veloce sarà il computer più mosse potrà analizzare a parità di tempo. Se dopo l’installazione del programma in un solo secondo venivano analizzate ad esempio 60.000 mosse per trovare la migliore, dopo 300 partite il database del computer avrà memorizzato molte mosse già "viste" per cui quando una determinata configurazione si ripresenta molte elaborazioni potranno essere evitate in quanto sarà sufficiente utilizzare l’esperienza acquisita.

Enrico Miglino

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