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Storie metropolitane

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Storie metropolitane

Dicembre 2001
Perché questa storia è la nostra storia. I ricordi cambiano come cambiano le persone, le facce e la voce della gente. Camminare nel parco ci rende uguali a chi distribuisce il becchime o il pane secco ai piccioni, alla gente che urla dietro i bambini e tutti gli altri. Eppure questo parco sembra uno zoo, dove la generazione degli underground, degli under 18 e di tutti quelli che la pensano così e quelli che non la pensano come loro si prepara al letargo.
Forse sono solo rivoluzioni stagionali?
La velocità è differente; quanto cambieranno dopo questa stagione quelli che si muovono è diversa da quelli che stanno ad osservare e pian piano rallentano la corsa. Ma non si tratta di una rivoluzione stagionale.
Quelli che vivono al sole, sul ciglio delle giornate che il tempo concede nelle estati e nelle primavere, col freddo si allontanano e sembrano disperdersi. Come ogni migrazione, la prossima primavera non vedrà tornare tutti quelli che sono partiti, ne arriveranno di nuovi che ancora non si conoscono.
E’ all’interno di questi mutamenti veloci e imprevedibili che si possono scorgere le rotte metropolitane; sono onde che incrinano l’asfalto e lasciano che "gente" unita dagli stessi sogni o desideri si possa trovare, incontrare, perdere.
Dalla parte della gente – di qualsiasi gente si tratti – ci sono possibilità che cambiano ed interpretazioni più o meno leggendarie che spiegano – e in qualche modo giustificano – il cambiamento di stili, presenze e luoghi in risposta al mutare della metropoli capace di ricostruirsi come fosse cosa viva.
Eppure città è paradossalmente indifferente a ciò che contiene, lasciandosi vivere sia da quelli che la attraversano e la percorrono sia da quelli che la cambiano giorno per giorno con i loro cantieri, le inaugurazioni e le metropolitane. E la città continua ad essere indifferente.
Ci troviamo come al solito impreparati ad un lungo inverno con muri di fronte, luoghi chiusi e pieni di presenze omogenee; le razze che fino a ieri si muovevano incrociando persone differenti con cui dividevano gli stessi spazi, per i prossimi mesi si troveranno in luoghi più adatti ma la città è un’altra cosa, un po’ come essere più liberi.
Ora è altro tempo per tutte le storie, le canzoni degli amanti e le musiche ossessive dei palchi. Il tempo che ci attende sarà utile per ricordare, cercare il ripetersi della storia nelle primavere di ieri e degli anni passati, ma sarà anche muoversi dentro altri luoghi come piccoli universi indipendenti.

Gente
C’è movimento da circa un mese e dentro si trovano Mix, Alexis, Alessandro e Douglas. Ogni tanto compare suo cugino ma penso sia perché penso sa esattamente cosa fare. C’è anche Renato, più o meno presente ma sempre fuori scena; forse è un altro che ha intenzione di farsi coinvolgere.
Abbiamo mosso i primi passi su luoghi e posti diversi dalla rampa negli ultimi mesi ma il punto di riferimento continua ad essere quello; un luogo difficile da sradicare da dentro le emozioni di skate, quella che gli altri chiamano "adrenalina".
Per certi versi la rampa del Ruffini è anche simbolo di protezione, un posto dove non c’è il rischio di essere "identificati" o fraintesi da parte degli altri.

La città non possiede un’unica geografia. Ci sono molte e molte mappe diverse che si sovrappongono continuamente; come una diva di una Hollywood passatista e decadente Torino cambia continuamente vestito col cambiare del tempo, delle stagioni, delle occasioni e dei luoghi.
C’è in mente da un po’ di tempo un "attacco alla città"; ne abbiamo già parlato, abbiamo speso tempo e parole ed è ora di agire. La città dal canto suo, nonostante la molle indolenza e il suo nascondersi dietro una languida burocrazia sembra dare risposte contenenti quasi credibili certezze. E’ ora, ed è ora adesso.
Non si è creato un gruppo, nel senso di associazione o idea comune che diventa organizzata. Continua a non esserci organizzazione ma si sentono, si vedono cose che creano tensioni e definiscono come reali le possibilità articolate attraverso le idee manifestate e le proposte. Ci sono dei si che hanno un significato, almeno lo hanno per noi e c’è un altro significato più complesso che sta dentro alle persone; il senso di caratteri e culture assolutamente diverse che vogliono – quasi con assoluta determinazione – essere presenti insieme.
Emergono aspetti interessanti, ed inizio a conoscere un po’ questa gente. Si nota all’inizio una diversità che poi col tempo si spiana e ciascuno viene chiamato a rappresentare il proprio nome, con il buono e il brutto del suo carattere, come persona e basta. Nient’altro che persone con le proprie storie.
In questo gioco di partecipazione e di camminare, cercare e scoprire o riscoprire i luoghi, tutti si muovono con la medesima energia. Sembra che da un momento all’altro tutto si sfasci; non c’è leader e chi c’è è lì perché ne ha voglia, a modo suo, con le sue domande e le sue risposte. Ognuno le trova da sé le risposte, non sempre quelle giuste o quelle che gli altri vorrebbero dargli.
Un fatto innegabile è che questo atteggiamento è presente non solo con quelli che vivono la città ma anche quelli che la gestiscono e l’amministrano, ne organizzano la forma e le funzioni.
Ciascuno attraverso queste storie che si vivono ma anche si raccontano e raccontano, ciascuno riesce a far trasparire le proprie esigenze, il suo personale bisogno di certificarsi come attore nella realizzazione della città e del suo futuro.

Stare
Bisogna fare delle cose insieme per conoscere le persone. Inevitabilmente si comincia a conoscerne i meccanismi, il vissuto, il passato e chi gli sta intorno. Stiamo mettendo a fuoco i nostri profili. Gli interessi. C’è qualche sconnessione. Alexis forse è più legato all’aspetto dello sport e al bisogno di essere presente di dire io c’ero. Gli altri invece hanno più chiaro il senso completo del muoversi per la città, precorrerla, percorrerne le strade. Lui da questo invece è più lontano.
La possibilità di fare in modo "adeguato", sfruttando interessi diversi in cui possono coincidere gli obiettivi significa portare alla luce situazioni, darne una lettura ed un’interpretazione producendo la possibilità di risposte e di reazioni.

I giorni si alternano fra le attività e il movimento sulla strada; la gestione dei contatti, parlare, spiegare di cosa si tratta, "vendere" questo lavoro in cambio di collaborazioni e ogni forma di supporto.
La cosa difficile è che ognuno cerca in qualche modo di trarne vantaggio per i propri obiettivi e nello stesso tempo ciascuno capisce questa avventura a modo suo, in base alle sue logiche aspettative. A me sembrava ovvia la storia, il filo conduttore e l’analisi; l’inchiesta, girare per la città e viverla in presa diretta. Invece non era ovvio per gli altri, non era assolutamente ovvio tanto che ho dovuto costruire un progetto strutturato per poter spiegare di cosa si tratta.
Potrebbe trattarsi di un problema secondario perché l’importante è riuscire a trovare lo spazio per farle, le cose. Invece far capire esattamente come funziona questa inchiesta e questo reportage è fondamentale per evitare che tutto venga frainteso. Ognuno tende, finché non sono riuscito ad essere sufficientemente chiaro, a non capire veramente cosa sto facendo e perché. Finché non si completa questa parte quelli con cui entro in contatto tendono a prendere in mano il lavoro ma anche il materiale che gli sottopongo, in un’ottica quasi monoculturale.
Quello che è certo è che si arriverà a qualche tipo di risultato perché si tratta di qualcosa di inaspettato, un colpo di mano rispetto a tutto quello che la gente immagina. Sembra retorico parlare di modelli precostruiti ma si tratta proprio di questo, dentro la cultura comune; modelli interni all’uso stesso della realtà, della sua visione ed interpretazione.
Certe attività o certi percorsi vengono catalogati in modo automatico per soddisfare determinati modi di fare – canonici. –
Faccio il giornalista, penso a questa idea e comincio a lavorarci su. Entro in contatto con persone che mi fanno capire che è percorribile ma che il progetto va visto dall’interno. Soltanto dall’interno infatti si possono raccogliere le sfumature di una realtà condivisa dalle persone che si muovono nella città. Non c’è un up-down, c’è sempre un underground. La città è sempre esterna e realtà e persone si muovono per forza nel suo sottosuolo di strutture, monumenti, palazzi, parchi e sotterranei.
Si può prendere in mano il tessuto storico della metropoli, il suo passato – quello vero che troviamo fuori dai giornali e dai comunicati ufficiali – ed attraverso questo capire come riposizionarlo nella realtà contemporanea; le trame di questo reticolo invisibile ma presente ed in grado di condizionare con forza col tempo si modificano e le stesse strutture che ad una prima superficiale valutazione ci paiono immutabili si presentano con inaspettata frequenza attraverso nuove visualizzazioni.
Si tratta di un’involontaria ma imprescindibile sinergia fra i pro e i contro, fra quelli che si muovono nella direzione "giusta" e quelli che vanno nella direzione "sbagliata". I fenomeni accadono e si succedono integrandosi fra loro, disintegrando ogni contemporaneo che evolve continuamente attraverso rotture, momenti di scontro e di riavvicinamento.
Quello che non è del tutto vero è lo stretto ricorrere e ripetersi della storia perché proprio la storia, i percorsi della memoria, ripercorrendo i propri passi ed oscillando fra eventi che apparentemente si ripresentano frequentemente in realtà genera trasformazioni irreversibili. Il presente è fatto sempre di momenti assolutamente irripetibili.
Questi tempi freddi, i mesi che ci stanno di fronte saranno dedicati all’interno e al ricordo; recuperare la memoria non è soltanto documentare e organizzare ricordi ma è scavare nella realtà e nel passato delle persone e delle cose.
Prendendo in mano la quantità di materiale già raccolto mi sembra di toccare qualcosa di vivo che contiene innumerevoli possibilità di utilizzo come riferimento e spiegazione di questo presente.

Punto di rottura
La storia a partire dal secolo scorso arriva fin verso gli anni novanta, l’inizio della seconda metà. Fino a quel momento – ed oggi possiamo dire a pieno titolo verso la fine del secolo scorso – ci si trovava all’interno di una mutazione, il momento del suo epilogo.
Dopo l’ultima mutazione, quella degli anni novanta appunto, tutto quanto è diventato improvvisamente parte di un passato remoto, momenti appartenuti ad un’altra epoca ed in parte dimenticati. Ci troviamo di fronte a due elementi completamente differenti; documentazione e materiale di un’epoca precedente e materiale appartenente all’attualità, al contemporaneo.
Così è come se l’inchiesta di questi mesi, di oggi, rappresentasse un meccanismo di documentazione storica veloce; la storia contemporanea si snoda attraverso l’arco di pochi mesi. In questo breve periodo di tempo concentriamo una serie di racconti, idee, punti di vista, riferimenti anche geograficamente differenti in un panorama estremamente vasto di differenze.
Nei punti diversi della città, al centro come nella sua periferia, troviamo come in un’istantanea la concentrazione di momenti contenenti al loro interno le conseguenze di un’altra storia che ha richiesto decenni per essere messa in atto.
Questa istantanea probabilmente non ha nessuna possibilità di tracciare veramente un futuro reale ma rapportata col passato a cui comunque appartiene consente di individuare una linea di demarcazione. Esiste un passato, un salto preciso, una recisione e poi esiste un adesso.
Ciò che sto cercando di fare è solo spostarmi, cercare dall’altra parte della spaccatura i presupposti di quelle conseguenze che stiamo vivendo. Oggi.


Enrico Miglino

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