Uno degli eventi principali dell’edizione 2001 del Torino film festival è stata la retrospettiva del cinema di Jean Marie Straub e Danièle Huillet: cineasti italiani di adozione1, perché le immagini di più di metà dei loro film mostrano l’Italia, sono una sorta di dichiarazione d’amore per il paesaggio del nostro paese; in Italia vivono e lavorano, infatti, da molti anni, da quando Straub vi arrivò in bicicletta dalla Francia negli anni 50.
Attorno ai loro film si è creato un alone quasi sacrale, che respinge più che attrarre il pubblico, degno di un culto riservato a pochi adepti, che sembrano guadagnarsi il privilegio di apprezzarli e goderli solo a prezzo di una lunga e ardua iniziazione. Questo ha giustificato anche la disattenzione e il disinteresse italiano nei confronti del loro cinema.
I loro film sono debitori della tradizione del cinema hollywoodiano classico e, infatti, alla richiesta del Torino film festival di abbinare ad ogni loro opera un film di un altro autore, sorta di raddoppio/rispecchiamento nello sguardo altrui, le loro scelte sono andate in questa direzione: John Ford, Fritz Lang, Howard Hawks, Charlie Chaplin, con alcuni titoli sorprendenti: Gli uomini preferiscono le bionde, Monsieur Verdoux e persino Una notte all’opera con i fratelli Marx.
Tutta la loro filmografia è un continuo confronto con altre forme e altre opere d’arte. La musica, innanzitutto: Cronaca di Anna Magdalena Bach (1968), con cui portano "per la prima volta" (secondo le loro parole) la musica sullo schermo, o Mosè e Aronne (1974) da Schoenberg. Il teatro classico: Antigone (1991) da Sofocle, Othon (1969) da Corneille, La morte di Empedocle (1987) da Holderlin. La letteratura del Novecento: Fortini/Cani da I cani del Sinai di Fortini, Lezioni di storia (1972) da Brecht, Dalla nube alla resistenza (1979) da Pavese, Rapporti di classe (1983) da America di Kafka, Sicilia (1999) dalle Conversazioni di Vittorini, Operai contadini (2001) ancora da Vittorini.
Il loro approccio prevede un rispetto assoluto dei testi, estraendo da essi e dalla loro letteralità quel che hanno di visivo e di sonoro, facendoli recitare, quasi sempre da non professionisti e sempre da "non attori", secondo scansioni particolari, accuratamente studiate e preparate, in modo da trasformare la declamazione in una sorta di musica della prosa: recitazione come partitura musicale.
La parola non suona mai sola, è sempre collocata e inquadrata in un teatro della realtà, in un luogo fisico di cui non sono mai casuali (e sono anzi il risultato di lunghe e ricerche e sopralluoghi), non solo l’identità geografica ma la conformazione paesaggistica, la luce del momento della ripresa, i colori della terra e del cielo: inquadrature come architetture che dipendono da una morale. Un tentativo di soprendere la vita, la voce e il rumore.
E spesso questi sono luoghi italiani: Roma città eterna di rovine, Firenze, la Toscana, l’Abruzzo, la Sicilia…
Sono questi elementi fisici, e in definitiva cinematografici, che fanno la particolare "godibilità" del cinema di Straub/Huillet, cinema di parole e di musiche, di vento e di nuvole, di rocce e di prati, di contadini ed operai e intellettuali.
I loro film sono anche strumenti per capire il mondo contemporaneo: la lotta tra l’amore e il desiderio del potere, il conflitto in Palestina, la corruzione del potere, i meccanismi economici del sistema capitalistico, l’odio per i diversi, ecc.
Se vi capitasse l’occasione di assistere ad uno degli incontri pubblici con Straub/Huillet, nell’ambito di una delle presentazione con cui accompagnano amorevolmente i loro film in giro per l’Italia, non lasciatevi sfuggire la serata: sono imperdibili per spirito dissacrante, polemico, caustico, intelligente ed umanissimo.
1
La musica siete voi, amici!
Paolo Baldi
Fotografati sullo sfondo.