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Guardando dal buco della serratura…

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Guardando dal buco della serratura…

Il
manifesto1 del 19° Torino film festival, un uomo che sbircia dentro il buco della serratura di una porta, fa immaginare un mondo di proposte (cinematografiche) allettanti, da afferrare sempre un po’ di corsa, giovanottisticamente, per inseguire la prossima proiezione, dalla mattina a notte fonda, in quello che è il festival italiano più giovane e informale, agile ma pluristratificato, che mescola pratiche alte e basse, film commerciali e film d’autore (sul cinema di Jean Marie Straub e Daniele Huillet mi soffermo in un altro articolo), classici e cinematografie sconosciute: insomma, un grande cineclub, con molte anteprime.
In apertura di festival, ma anche subito nelle sale, Hedwig and the angry inch (il pollice incazzato, nel titolo originale, diventato da noi il più soft la diva con qualcosa in più), di John Cameron Mitchell un altro ritorno alle musiche e alle atmosfere degli anni 70 (dopo Velvet Goldmine e Quasi famosi).
Hedwig è tratto da un musical "off-Broadway" di successo, di cui sono autori lo stesso John Cameron Mitchell, anche interprete del protagonista, e Stephen Trask, l’autore delle musiche, e alla base vi è il mito del doppio, del Simposio di Platone: l’uomo e la donna uniti all’origine e poi divisi dagli Dei e destinati a vagare per il mondo alla ricerca l’uno dell’altro, senza incontrarsi mai. Il film racconta di Hansel (che poi diventerà Hedwig), un infelice giovane omosessuale con una gran passione per la musica (americana negli anni 60 e poi glam-rock-punk nei 70 e 80), cresciuto nella Berlino divisa, che cambia sesso per amore di un soldato americano, si ritrova con una identità ambigua e non definita, e vaga per la provincia americana alla ricerca dell’altra metà di sé.
La narrazione è affidata alle canzoni, come nella tradizione dei grandi musical, alla Cabaret o All that jazz, accompagnate dalle animazioni naif di Emily Huble, e dall’iconografia camp e ridondante, ispirata a Farah Fawcett e, allo stesso tempo, a Marlene Dietrich. I richiami al Rocky Horror Picture Show sono espliciti ma Hedwig, al di là dell’elemento della finzione e del divertimento, racconta una storia crudamente vera, dai contorni politici netti e realisticamente rappresentati.
Il nostro Natale, l’ultimo film di Abel Ferrara (in uscita a dicembre, per destabilizzare il nostro Natale, appunto…), ci porta invece a N.Y.C. nel 1993, con la storia di una famiglia ricca apparentemente "normale": bellissima e biondo platino la moglie portoricana, affettuoso il marito di origini dominicane, una deliziosa bambina piccola. L’immagine di perfezione viene meno quando si scopre che alla base della loro vita lussuosa c’è un traffico ad alto livello di droga: la loro è una doppia moralità che consente di essere magnanimi con la gente della loro comunità e al contempo spacciatori di morte.
Film preciso, lineare, lucido, sull’amoralità dei nostri tempi, forse troppo perfetto. Personalmente, preferisco altri suoi film, come Fratelli e King of New York (scritti da Nicholas St. John, geniale ispiratore di Ferrara) e Il cattivo tenente: più sanguigni, dilaniati dai sensi di colpa e dall’eterno conflitto tra bene e male (d’altra parte, da un regista che si chiama Abele, cosa potremmo aspettarci?).
Ancora anteprime di film in uscita: ABC Africa di Abbas Kiarostami è un docufilm fatto su commissione di una agenzia Onu, una serie di appunti su video per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle vite dei bambini africani orfani a causa delle guerre civili e dell’Aids, ma con tutte le caratteristiche migliori del cinema del grande regista. Lo stile e l’approccio sono quelli rosselliniani: raccontare quasi a distanza, per lasciare libera la realtà, senza tesi precostituite, guidati dalla curiosità di scoprire e documentare il mondo intorno a sé.
Kiarostami testimonia della vita che continua, anche in situazioni di grande difficoltà (un po’ come dopo il terremoto in Iran, che faceva da sfondo ad altre opere del regista): l’Africa che ne emerge è solare, e le danze e le musiche tradizionali che egli riprende servono a non fare del pietismo e a non cedere alla pornografia del dolore; sono un modo di dire la volontà di vivere e di divertirsi dei bambini di tutto il mondo.
Kiarostami ha sempre filmato i bambini e sa come fare, anche se questa volta non è in grado di parlare con loro e si limita a chinarsi alla loro altezza e mostrare quel che si vede nel display della videocamera.
A Torino abbiamo visto anche un piccolo film italiano (in anteprima, ma chissà se uscirà mai nelle sale), Giravolte di Carola Spadoni, che racconta tre storie ambientate in luoghi diversi di Roma: una baracca sotto un ponte, un bar notturno e il mercato di usato di Porta Portese; sono luoghi precari, come esistono in tutte le grandi città, transitori (quella baracca per esempio oggi non esiste più), dove vivono personaggi e storie fuori dalla vita borghese fatta di cellulare, automobile e programma per il weekend.
Il film si compone di tre parti, le tre parti di un viaggio intorno al personaggio principale, Victor Cavallo, piccolo-grande protagonista laterale di tanto cinema italiano, da Tragedia di un uomo ridicolo a Il grande cocomero (alla sua ultima interpretazione, prima della morte prematura), attraverso quelle che la filmaker romana chiama le "derive" o le "sponde" della metropoli: di una Roma popolare, o alternativa, o autentica – non borghese quindi, non integrata né edulcorata – più immaginata che viva, più costruita che reale:
Victor Cavallo, "muso" ispiratore del film, improbabile candidato a sindaco di Roma, che invita a essere realisti, cioè a chiedere l’impossibile, a dissolvere il tempo con uno sguardo "laterale", ci mancherà molto.

Paolo Baldi

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E’ quello che fa da sfondo a quest’articolo.

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