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Le avventura di Banedon – XI

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LE AVVENTURE DI BANEDON XI
Il mago dagli occhi rossi

Ratz: – Ah, guarda nel mio zaino… ci devono essere alcuni mazzetti d’erba di colore viola.
Wolf: – Uhm… questi?
Ratz: – Sì, ecco, passamene uno… grazie.
Wolf: – Come va?
Ratz: – Non posso dirti ancora niente. Francamente, è la prima volta che mi succede.
Wolf: – Ah.
Ratz: – E che t’aspetti? Non è che mi capiti tutti i giorni di dover resuscitare qualcuno.
Pausa.
Ratz: – Ecco, qua, spremo questo mazzetto d’erba sulle ferite principali…
Pausa.
Ratz: – Comunque, abbiamo qualche possibilità. Il ragazzo qui è stato molto fortunato che abbiamo trovato quella fiaschetta d’acqua benedetta. Io non ne avevo con me, e senza non ci sarebbe stato niente da fare.
Wolf: – Che culo, eh?
Ratz: – Già. E se non avessimo finito rapidamente il mastino, adesso i pezzettini di Banedon starebbero rotolando nel suo stomaco.
Wolf: – Certo che è stato abbastanza idiota a lanciarsi da solo contro un mastino.
Lunga pausa.
Wolf: – Perchè mi guardi così?
Ratz: – Non hai ancora capito niente, vero?
Wolf: – Capito cosa?
Pausa.
Wolf: – Ah?
Ratz: – Quel rubino. Quella pietra è… ma aspetta, lasciami finire sennò il ragazzo qui non torna più. Fatti un attimo da parte, potrebbe esserci un po’ di bagliore.
Il chierico versò qualche goccia di acqua benedetta sul volto esanime di Banedon, recitando intanto alcune preghiere con cautela e voce ferma, mentre con l’altra mano stringeva una coroncina religiosa del suo ordine. E poi attese, appoggiando la mano sulla fronte del corpo steso a terra, sentendo che qualcosa in quell’intrico di parole e sangue si stava smuovendo. Passò così un minuto, mentre Ratz fissava concentrato il volto pallido e immobile del giovane mago, prima che accadesse. Un bagliore come di un lampo attraversò il cielo, scottando quasi le mani del chierico, e scuotendo il corpo del cadavere. Il chierico chiuse istintivamente gli occhi e ringraziò mentalmente la propria divinità. Quando li riaprì, vide la bocca di Banedon socchiusa, e il suo corpo che si agitava quasi impercettibilmente.
– Ce l’abbiamo fatta, Wolf, vieni qui, aiutami!
– Sì? E’ vivo?
– Be’, "vivo" è una parola grossa, diciamo che non è più morto, ma dobbiamo aiutarlo: coprilo con il mantello, e guarda se riesci a preparare un fuocherello. Dai, muoviti, non vorrai avere sulla coscienza questo ragazzino, vero?
– Tieni il mantello.
Wolf si allontanò leggermente, cominciando a raccogliere pietruzze per creare un piccolo fuoco.
– Dai, Banedon, dai che ci sei – incitò il chierico.
Il mago respirava affannosamente, con gli occhi chiusi, con i segni evidenti di un’alta febbre e di un fisico sull’orlo del crollo.
– Hai fatto il fuoco?
– Ci sono quasi. Lo sto accendendo.
– Bene, poi vieni qui e tienimi d’occhio il ragazzo. Vado a recuperare qualche cosa che possa aiutarmi a fare un infuso. Dovrei trovare qualche fiore…
– Fiore? Se vuoi ho io da mangiare.
– Ma hai visto in che condizioni è? Se gli dai qualcosa di solido, mi rimuore dissanguato. No, non gli possiamo dare altro che infusi… ci vorrebbe qualche brodaglia. Se domani sta appena appena meglio, lo portiamo fino alla prima locanda e vedrai che si riprenderà bene.
Banedon, nel frattempo, era scosso da incubi incredibili e feroci, e non riusciva ad aprire gli occhi per il terrore di ciò che aveva appena visto. E le voci gli arrivavano distanti, lontane.

Il giorno dopo iniziò a stare meglio. Non tremava più, e nel complesso l’unico problema era la debilitazione del fisico dovuta al dissanguamento. Passava dal sonno al dormiveglia, e sembrava dormire anche quando lo nutrivano. Quando arrivarono alla locanda di Ma-Non non aveva ancora aperto gli occhi, e non li aprì neppure quando, con enorme sollievo di Ratz, pronunciò qualche debole parola cosciente. Gli diedero da bere sangue di pollo, per accelerare la sua ripresa: nel frattempo, le ferite si erano ormai seccate anche se rimanevano tutt’altro che pulite.
Ratz cercò nella sacca di Banedon i soldi necessari a prolungare la sua permanenza alla locanda. Disse ai proprietari che, nel caso la guarigione non fosse stata completata entro il periodo che il pagamento anticipato concedeva, avrebbero dovuto rivolgersi alla più vicina combriccola di maghi.
– Tra loro si aiutano sempre -, concluse bonario.
E con il rubino ben impacchettato sotto una coperta infilato nel proprio zaino, si riavviò verso nord. Verso casa. Verso la gloria e i soldi. Con uno strano pensiero di soddisfazione per il fatto di aver comunque salvato Banedon, anche se… anche se probabilmente lo aveva portato lui nel mezzo del pericolo. Va bene. Aveva recuperato l’errore, e questo lo lasciava davvero felice. Aveva recuperato con successo un vita umana, era una sensazione divina. Sentì che avrebbe dovuto dedicarcisi maggiormente. Sentì che in futuro avrebbe dovuto tralasciare un pochetto gli aspetti economici della sua professione, e vedere di pensare un po’ anche agli altri.
– Tutto sommato, Banedon, ti devo ringraziare molte volte – sussurrò tra sè.
– Cosa hai detto? – chiese Wolf.
– Niente, niente, lascia stare. Lascia stare.

Poi, un giorno, Banedon aprì gli occhi. Aveva temuto di esser diventato cieco, e fu una soddisfazione quando una mattina, poco dopo essersi svegliato, scoprì di poter di nuovo aprire le palpebre. Non fece caso alla vista distorta, presumibile che fosse una reazione dovuta alle ferite e al lungo inutilizzo. Non fece caso a una leggera patina rossa che gli copriva le immagini cambiando leggermente i colori. Finchè non chiese uno specchio, e, guardandosi, vide che i suoi occhi funzionavano, ma non erano più gli stessi occhi. Dal mezzo di quel volto ancora martoriato da graffi e sangue secco, dal mezzo di quel volto che portava i segni della sua temporanea follia, due pozzi di sangue lo fissavano inorriditi. L’iride era di un colore rosso intenso, e spiccava nitidissima all’interno dell’occhio. Ma ciò che lo faceva davvero rabbrividire era che la pupilla, piccola e quasi indistinguibile, era coperta a sua volta da un alone rosso scuro come sangue venereo. Non era sporco, non era un velo di malattia destinato a passare, capì subito guardando a fondo: quel colore era il frutto di una maledizione, e sarebbe rimasto così per sempre. Fra lui e il mondo ci sarebbe sempre stata quella leggera, orribile patina di sangue.

Alessandro Zanardi (FINE Libro I)

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