KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Cinesi, Giapponesi, Coreani…

8 min read

Cinesi, Giapponesi, Coreani… in comune solo occhi a mandorla, capelli neri e bastoncini!

Quando si parla di Asia si tende ancora molto spesso a confondere Cinesi, Giapponesi, Coreani,…. assumiamo così molto rapidamente che questi popoli debbano condividere le stesse radici,avvalersi della stessa cultura, basandoci su tratti fisici, quali capelli scuri e occhi a mandorla, e sonorità a noi poco famigliari.

La superficialità di questo tipo di asserzione sembra tanto più ovvia quando si pensa alla diversità di questi popoli: nelle loro radici, nella loro educazione, nella loro cultura, nelle loro abitudini, nella loro religione, e persino nella loro scrittura…
Prendiamo qualche esempio.

Il rapporto al gruppo: tra necessità e comodità

Ognuno di questi paesi ha una storia propria che ha portato il suo popolo a vivere esperienze uniche e dunque ad assumere sistemi attitudinali e comportamentali ad ognuno diversi.
Prendiamo il più grande di questi tre paesi la Cina. Quando pensiamo alla Cina vengono spontaneamente associate le nozioni di calma, armonia, pratiche discendenti da quelle che noi comunemente chiamiamo filosofie orientali (tanto alla moda al giorno di oggi) quali l’agopuntura o il tai ji quan, un’impressione di ubbidienza e di uniformità di un popolo numeroso ma unito.
Chi è già stato in Cina può facilmente dissociare le nozioni di calma e di serenità dallo stile di vita attuale dei giovani di Shanghai o di Pechino. Ma andiamo oltre… La Cina di oggi è sì marcata da una forte tradizione confuciana: l’importanza data all’unità famigliare, al rispetto delle proprie origini, al proprio clan o il valore dato al successo nello studio fin da piccoli; ma fare riferimento unicamente ad un passato così remoto vuol dire anche fare astrazione da momenti fondamentali della storia più recente di questo paese. Una visione forse meno romantica, meno filosoficamente sempre accettabile quella dell’impronta del comunismo sulla civiltà cinese di oggi, ma un impatto di peso che ci aiuta a capire certe particolarità ed atteggiamenti di questo popolo.
L’unità del popolo cinese, l’abitudine a non essere mai soli, l’assenza concettuale della nozione di privacy sono tutti elementi che sono stati accentuati dalla Rivoluzione Culturale oltre alla realtà demografica critica di questo paese.
Al Cinese piace stare in compagnia, condividere impressioni con altri suoi coetanei e lo si vede spesso in gruppo confondendolo così con un turista giapponese.
In realtà, anche nel suo paese, pochi sono i momenti della sua vita nei quali si trova completamente solo. Per un giovane cinese viaggiare da solo, per conto proprio non è simbolo di indipendenza o di libertà come può esserlo per un suo omonimo Giapponese a caccia di nuove esperienze. E’ una situazione nella quale non si sente pienamente a suo agio, preferirà allora sia viaggiare con amici, sia ritrovare sul posto amici/parenti lontani e la convivialità a cui è abituato.

La cultura giapponese come quella coreana sono più basate sull’individualità e l’autonomia.
Certo si vedono tanti gruppi di Giapponesi (e di Coreani) dalle nostre parti, un modo di viaggiare preferito dai ceti sociali medi e dai più anziani. Ma il rapporto al gruppo è diverso.
Il Giapponese viaggia in gruppo perché è la soluzione più comoda per lui, una soluzione che gli consentirà di vedere il maggior numero di posti in un tempo ristretto, una soluzione molto più difficile e più cara nel viaggio individuale. Non ci scordiamo che spesso i viaggi dei nostri amici giapponesi sono incentives organizzati dalla ditta (dell’uomo) per premiarlo del suo lavoro.


Per cui quando vedete Cinesi e Giapponesi in gruppo per la vostra città ditevi che dietro quel gruppo, quel modo di spostarsi sempre accompagnati non c’è la stessa spiegazione. E’ un’abitudine, una necessità che nasce da origine diverse, c’è chi ha sempre bisognoi di condividere, di sentirsi in compagnia e chi invece approfitta del gruppo per comodità.


Tre donne: tratti fisici per noi simili, ma dietro l’espressione di tre figure sociali completamente diverse


Tre paesi, tre culture, tre situazioni completamente diverse.

Cominciamo con la Cina, la situazione femminile ha conosciuto grandi cambiamenti con l’avvento della Rivoluzione Culturale. La dottrina comunista presuppone una totale uguaglianza in tutto anche tra i sessi: parità nel lavoro, parità nei ruoli, parità nelle responsabilità.
E’ nell’ambito del lavoro che la parità tra uomo e donna in Cina è più interessante. E’ una parità che si esprime sia in termini di tempo che in termini di reddito e di possibilità ad accedere a livelli di responsabilità. Il matrimonio e l’arrivo del figlio (unico, a causa delle politiche demografiche da anni in vigore) non le porta grandi cambiamenti nel suo stile di vita. La sua educazione viene lasciata ai nonni, i genitori si dedicano al loro lavoro e ad aumentare il reddito della famiglia per soddisfare tutte le loro volontà e i capricci del proprio « Piccolo Imperatore ».
La donna cinese è dunque finanziariamente responsabile a parità dell’uomo della propria famiglia. Ha poco tempo libero e trova rifugio nello shopping per soddisfare istantaneamente le proprie voglie, offrirsi quello che a suo tempo sua madre si sognava di poter avere ed approfittare della propria indipendenza economica.



In Giappone la donna ha, come in Cina, accesso alla stessa formazione accademica dell’uomo, ma benché la società giapponese attuale non è più quella degli anni ’80, l’educazione dei figli e la gestione del focolare resta, per la grande maggioranza, responsabilità unicamente femminile. Le giovani donne provano a continuare a lavorare anche dopo il parto ma il sistema organizzativo rende molto difficile la custodia dei bambini in infrastrutture predisposte. Il sistema abitualmente adottato ancora oggi è la separazione completa dei ruoli e dei mondi: il mondo dell’azienda per l’uomo; la casa, i figli e il tempo libero per la donna.
Benché il sistema giapponese degli anni 2000 sembra essere molto meno alienante di quello dei famosi anni ’80, resta sempre il problema della responsabilità dell’educazione dei figli. La giovane giapponese tende cosi a fare (pochi) figli il più tardi possibile e ad organizzarsi per portar avanti un lavoro che le consenta una certa flessibilità nell’organizzazione delle sue giornate.
Il ruolo dei nonni nell’educazione dei propri figli non è essenziale come lo è in Cina, la madre resta fondamentalmente in carica di questo ruolo. Il tempo libero assume per lei motivo di svago e di divertimento a cui accede al momento in cui i figli varcano la soglia. Si dedica allora ad un gran numero di attività, quali sport, visite, e….viaggi organizzati con le sue amiche dalle nostri parti.
La donna giapponese di oggi è dunque divisa tra le sue responsabilità famigliari, la voglia di divertirsi (cosa che non è mai riuscita a fare sua madre) ed un certo coinvolgimento lavorativo.

In Corea la situazione è ancora diversa dai due esempi precedenti. Sembra ancora oggi difficile parlare di parità tra uomo e donna, ognuno con ruoli molto distinti e ben definiti nella società.
Uomo e donna vivono in mondi contingenti dall’università, al primo impiego fino al momento del matrimonio. Poi arriva il primo figlio, e con esso una svolta completa nello stile di vita della donna. Smette di lavorare e si dedica completamente all’educazione dei bambini trovando rifugio solo in piaceri immediati « tipicamente femminili » quali shopping e la cura della propria immagine.
Si capisce allora perché la donna coreana di oggi cerca di ritardare il più possibile il momento del parto che la porterà ad assumere una svolta decisiva nella propria funzione sociale.

Tutto questo per dire, che dietro quei capelli neri e quegli occhi a mandorla si nascondono donne intrinsecamente diverse nel loro modo di pensare, nello stile di vita e nel modo relazionarsi agli altri.


La scrittura: dei modi diversi di codificare il mondo

La scrittura è il modo in cui una civiltà si relaziona al mondo, esprime il proprio universo.
Tutti quei segni che si incontrano nei dizionari cinesi, coreani o giapponesi o sulle scritte delle nostre magliette all’ultimo grido non sono tutti ideogrammi ed esprimono codificazioni di diversa natura.

Il cinese è basato su un insieme di ideogrammi che hanno conosciuto un’evoluzione nel corso degli anni fino a subire una vera e propria semplificazione al momento della rivoluzione culturale. E’ forse utile ricordare che la sola lingua, che il milliardo e due di cinesi hanno in comune, è quella scritta, la pronuncia di uno stesso ideogramma varia da zona a zona del paese, rendendo cosi impossibile un dialogo tra un Cantonese e un Pechinese che si esprimono nel proprio dialetto.

La lingua Giapponese si costruisce su vari « alfabeti »: tra cui uno di origine antica che usa gli stessi caratteri di quelli cinesi cambiandone la pronuncia e talvolta anche il significato, e uno usato tra l’altro per la trascrizione fonetica di parole a consonanza anglofona comunemente usate in giapponese.
Il Giapponese è dunque composto sia da ideogrammi che da segni di valore fonetico e non simbolico, delle realtà diverse che tal volta richiamano lontane radici cinesi e tal altra esprimono modernità e influenze occidentali.

Il Coreano è basato su una serie di segni molto diversi sia da quelli cinesi che da quelli giapponesi, molto più geometrici e meno simbolici. Non sono ideogrammi, cioè il carattere non esplicita un’idea, un’azione, sono caratteri simili alle nostre lettere o alle nostre parole.
Non si esprime un concetto in sé ma si costruisce un pensiero rendendo cosi possibile una più facile contestualizzazione.

Tre lingue e tre sistemi di leggere il mondo, di costruire il proprio universo completamente diversi, come si può allora supporre una certa omogeneità nei comportamenti, nel modo in cui ci si relaziona agli altri, alle cose, nel modo in cui si esprimono i propri valori, le proprie credenze? C’è chi pensa per idea, per concetto, per azione, c’è chi invece costruisce frasi per creare un significato.


…Allora ancora tutti uguali questi « Asiatici »… ?

L’obiettivo di questo articolo e di questi tre esempi è semplicemente quello di portarvi un momentino a riflettere prima di usare espressioni molto generali nonché abbastanza banali del tipo « Gli Asiatici si riconoscono perché viaggiano sempre in gruppo », « Giapponesi, Cinesi,….ad ogni modo sono tutti uguali », « Gli asiatici,…ad ogni modo hanno la loro cultura, le loro abitudini… sono diversi da noi »…….
…E cosa diremmo noi se ci apparentassero in termini di cultura, di comportamenti e di abitudini ai Norvegesi o ai Finlandesi giusto perché viviamo tutti sullo stesso continente….

Ci sono tanti altri esempi che dimostrano questa particolarità e la forte singolarità di ognuno dei popoli asiatici e che potremmo affrontare nei prossimi articoli…..

….E poi riferendoci al titolo di questo articolo non si può neanche dire che gli occhi a mandorla, i capelli neri e i bastoncini possano essere veri elementi di similitudine tra questi tre popoli, basti pensare ai cinesi della regione del Xinjiang con gli occhi azzurri e i capelli biondi e ricci, o alle forme dei bastoncini usati in questi tre paesi tutte diverse l’una dalle altre.


Isabelle Martinelli
lixiabei2@yahoo.com
Black Sheep Lab

Commenta

Nel caso ti siano sfuggiti