(Detto popolare africano)
Nella notte tra il 18 e il 19 settembre scorso1, la Costa d’Avorio, fino a poco tempo fa conosciuta come la "Svizzera d’Africa", ha vissuto il suo sesto colpo di stato (o tentativo di golpe) negli ultimi due anni e mezzo, un vero record anche per questa regione del mondo.
Cercheremo insieme di analizzare la situazione e di delineare delle possibili spiegazioni, percorrendo più i sentieri delle discipline legate alla politica e alle relazioni internazionali rispetto a quelli del diritto, ma penso che i nostri fedeli lettori non me vorranno.
La Costa d’Avorio è un Paese dell’Africa occidentale che si affaccia sul Golfo di Guinea; poco più grande dell’Italia (322.463 Kmq), conta soli 16 milioni di abitanti, rappresentanti ben 67 differenti gruppi etnici, con altrettante lingue; secondo alcune stime, peraltro poco attendibili, il 40% della popolazione è di religione animista, il 40% musulmana e il 20% cristiana; confina con Ghana, Burkina Faso, Mali, Guinea e Liberia; è il primo produttore mondiale di cacao con una quota che si aggira intorno al 40%, e occupa una posizione importante anche nella produzione del caffè. Colonia francese fino al 1960, per più di vent’anni ha rappresentato la perla dell’Africa francofona venendo portata a modello di sviluppo per le altre ex-colonie, poi…
Ora, i morti negli scontri dei giorni scorsi non si contano: cifre ufficiali parlano di alcune centinaia (300, 500, 1.000?), ma dalla regione del centro-nord, tra le città di Bouaké e Korhogo, dichiarata zona di guerra e ancora controllata dai ribelli2, le notizie filtrano a fatica. E a fatica noi possiamo farci un’idea di quello che è successo e sta tuttora succedendo in un angolo del pianeta sconosciuto ai più e a cui i giornali italiani hanno concesso spazio soltanto perché il Presidente della Repubblica ivoriano, Laurent Gbagbo, si trovava a Roma in visita ufficiale al momento dell’inizio delle ostilità.
Ma cosa è successo veramente questa volta? Si è trattato di un’azione di forza portata avanti da mercenari stranieri, di un regolamento di conti tra esponenti dell’attuale e del passato regime, di un confronto etnico di stile rwandese o di una nuova guerra delle banane come in Somalia?
Gli organi di informazione, dopo un silenzio di quasi 48 ore, hanno iniziato a puntare il dito in maniera esplicita contro i vicini del Burkina Faso che, secondo fonti dell’intelligence ivoriana, avrebbero ordito il putsch: non si comprende quali dovrebbero essere le ragioni di un atto del genere dal momento che i cittadini burkinabé che vivono e lavorano in Costa d’Avorio sono diversi milioni e rappresentano una importante risorsa economica per il Paese, mentre da parte sua, il Burkina Faso ha già difficoltà a gestire i suoi problemi interni senza doversene cercare altrove.
Bisogna ricordare, d’altronde, che tra i primi caduti si trovano l’ex-Presidente Robert Gueï, autore del colpo di stato del 24 dicembre 1999, così come il fedelissimo ministro degli interni Boga Doudou, mentre il leader del partito d’opposizione, Alassane Ouattara, è fortunosamente sfuggito alla morte: aspetto questo che farebbe escludere l’ipotesi di un regolamento di conti tra concorrenti politici vecchi e nuovi, visto che sono cadute teste di tutte le vecchie fazioni in campo.
Vi sono poi da considerare le differenti componenti etniche all’interno del Paese, come queste sono rappresentate nei luoghi del potere politico, amministrativo e militare e come vengono utilizzate e manipolate per il raggiungimento di precisi e personali obiettivi da parte di forze politiche o personaggi dubbi.
Da ultimo, se nella regione dei Laghi, tra Congo, Rwanda e Burundi, il sangue sporca diamanti e uranio che mercanti europei si premurano in seguito di ripulire, e dalla Somalia le banane continuano ad arrivare sulle nostre tavole nonostante la guerra economica tra società italiane e statunitensi e tra i signori della guerra (reale) che queste armano e sovvenzionano, dalla situazione della Costa d’Avorio potremmo avere delle conseguenze sul prezzo del cacao e, dunque, del cioccolato. Effetti di poco conto? Secondo alcuni analisti, già ora si avranno rincari dell’ordine del 20%, e la situazione non sembra migliorare. I ribelli, inoltre, si sono asserragliati nella zona più ricca di piantagioni di cacao e la controllano direttamente: l’unico loro problema è quello di non avere uno sbocco al mare (di non potere dunque spedire il prezioso seme in Europa), anche se pare sia nelle loro intenzioni puntare nuovamente verso sud per tentare di conquistare il porto di San Pedro e assicurarsi una inesauribile fonte di finanziamento.
In tutto ciò, la maggior parte dei bianchi presenti nel paese degli elefanti (europei e nord-americani, in particolare) hanno fatto le valigie in fretta e furia e hanno abbandonato gli ivoriani al loro destino3, con alcune significative eccezioni: le truppe francesi, che in Costa d’Avorio hanno delle basi e vantano un diritto di presenza, frutto di un accordo di mutuo sostegno d’eredità coloniale, rinforzato per garantire l’incolumità dei propri connazionali e quelle statunitensi, che non possono non esserci quando si parla di "guerra al terrorismo internazionale" (locuzione che è subito stata utilizzata dagli esponenti del governo per definire le azioni militari intraprese contro i ribelli-terroristi)!
E allora, veniamo alla natura di questi ribelli, insorti, assalitori, terroristi, che comunque dal 19 settembre riescono a controllare una vasta regione del paese dando problemi alle forze governative nonostante il loro numero sia ancora "imprecisato".
Si sono autonominati "Movimento patriottico della Costa d’Avorio" e, attraverso un sedicente tenente Elinder, portavoce dello stesso, hanno dichiarato che per loro "è un obbligo … rovesciare il regime di Gbagbo"; un altro leader dell’armata, Tuo Fozie (questo sarebbe il suo vero nome), ha in seguito specificato le richieste dei rivoltosi: rilascio dei soldati e dei paramilitari detenuti; reintegrazione nelle forze armate dei militari in esilio e loro compensazione, smantellamento del contingente di gendarmeria in corso di arruolamento "poiché basato su una selezione etnica delle persone". I ribelli hanno anche annunciato le loro prossime mosse: "Introdurremo un breve periodo di transizione per assicurare che tutti abbiano gli stessi diritti", ha aggiunto Elinder, specificando che saranno poi indette nuove elezioni. Ma chi sono e cosa vogliono veramente costoro? Proviamo a fare un esercizio di strategia geo-politica e consideriamo una serie di fattori, ora gettati qui alla rinfusa: l’Africa occidentale e la Costa d’Avorio sono sempre state, per motivi prima storici poi economici, legate all’Europa e, in particolare, alla Francia; la Costa d’Avorio, in particolare, è stata la vetrina della francofonia in Africa e nel mondo; gli USA non sono mai riusciti a imporsi in questa regione del mondo.
Gli USA stanno vivendo una fase critica del proprio sviluppo: tra recessione economica e attacchi terroristici al cuore della City, la fiducia nel futuro ha raggiunto i minimi storici; tra le soluzioni percorribili, guerra senza quartiere a tutti i terrorismi e lotta agli stati-canaglia4, e magari in parallelo ricerca di nuovi mercati di sbocco per le proprie imprese (prima fra tutte, l’industria bellica pesante e il suo indotto).
Storicamente, inoltre, è provata la responsabilità, a titolo diretto o indiretto, delle amministrazioni USA in vari cambiamenti di governo, anche violenti, avvenuti in regioni del mondo che rivestivano un interesse strategico, dal punto di vista economico, militare, politico, per lo zio Sam5, con coinvolgimento di propri consiglieri e impegno di notevoli risorse finanziarie6.
Altri elementi interessanti: alcuni mesi or sono, dei misteriosi ladri riescono a sottrarre due miliardi di franchi CFA (pari a 3 milioni di euro circa) dal caveau della banca centrale ivoriana; sembra che i ribelli abbiano fatto uso di armi di fabbricazione straniera molto sofisticate e moderne, non in dotazione alle locali forze armate; pare che, alla guida dei rivoltosi, ci fossero dei bianchi.
Se cerchiamo di ripulire un po’ i dati in nostro possesso, condendoli con un pizzico di senso storico e una spennellata di fanta-politica, e cerchiamo di dare loro un certo qual ordine, il quadro che ci si presenterebbe potrebbe allora essere questo:
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Spero che gli appassionati della rubrica di diritto non si siano annoiati e i cultori delle spy-stories non siano rimasti delusi, ma questo è il frutto della mia esperienza riletta alla luce del background culturale che costituisce il mio bagaglio: le questioni legate ai problemi prettamente giusinternazionalistici relative allo statuto dei mercenari o dei ribelli durante i colpi di stato, al diritto di intervento per ragioni umanitarie opposto alla non-ingerenza negli affari interni di uno stato sovrano, le percentuali di territorio che devono essere controllate dalle forze armate regolari e non per aversi l’una o l’altra fattispecie nel sistema delle Convenzioni di Ginevra, le lasciamo ad una prossima trattazione.
(Detto dell’esperienza – D. C.)
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Colpo di stato in Costa d’Avorio: prospettive e responsabilità
"Mai sbadigliare in faccia ad un leone […]"
Davide Caocci
"[…] potrebbe stuzzicargli l’appetito"
Come l’anno scorso eravamo a New York pochi giorni prima dell’attentato alle Torri Gemelle, quest’anno ci trovavamo proprio sul campo durante il tentativo di colpo di stato, essendo arrivati ad Abidjan il 15 di settembre (N.d.A.)
Cercheremo di capire chi si nasconda dietro questo termine.
Tranne i missionari cattolici di vari istituti che intendono continuare a operare sul campo.
Tra gli altri, l’amministrazione USA definisce stati-canaglia l’Iraq, la Libia, la Corea del Nord, il Sudan, per l’appoggio reale o presunto che essi forniscono a organizzazioni terroristiche internazionali. Mentre il fatto che gli stessi USA non intendano riconoscere la giurisdizione del neonato Tribunale penale internazionale non comporterebbe per loro alcuna stigmatizzazione!
In Cile con la destituzione di Allende per Pinochet nel 1973, solo per fare un esempio; ma potremmo parlare anche di Haiti, del Sudan, del Vietnam.
Più o meno limpidamente sottratte al bilancio federale.
Vale a dire circa il 16% della produzione mondiale.