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Minority Report

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Minority Report

Anno 2054 (perché una recensione di un film di fantascienza inizia sempre così?).
La polizia ha elaborato un nuovo programma (era dai tempi di "RoboCop" che non s’investivano così tante energie nella lotta contro il crimine) in grado di prevedere gli omicidi con diverso anticipo (il tempo di previsione è vincolato dal tipo di crimine). La popolazione è sollevata, le morti violente si sono ridotte praticamente a zero. Tre veggenti (idea originale utilizzata solo in qualche centinaio di film), i Precog, persone sottoposte dalla nascita ad esperimenti genetici ed imprigionati come feti in una piscina, sognano le tragedie future. Un computer elabora i loro incubi (uh, questa cosa mi riporta alla mente Wenders), ed un abile poliziotto, il detective John Anderton, ricostruisce dai frammenti d’immagini, il luogo e l’ora del delitto. Questo consente alla squadra di forze speciali da lui capitanata, di arrestare il colpevole prima che il fatto avvenga. I futuri assassini vengono imprigionati dentro una capsula in uno stato d’incoscienza, un limbo di morte apparente (come in "Matrix", anche se non ho capito bene se saranno condannati per sempre a quello stato perenne, o sconteranno una pena a termine).
Il poliziotto è il migliore nel suo ruolo, ma questo non gli ha impedito di evitare il rapimento del figlio, scomparso misteriosamente un giorno di qualche anno prima e mai più ritrovato. Per questo, l’uomo, consumato dai sensi di colpa, si è rifugiato nella droga, e si consuma quotidianamente nella visione di filmati virtuali che gli riportano alla mente il ricordo del figlio e della moglie dalla quale si è separato dopo la tragedia (se non ricordo male anche il protagonista di "Strange Days" aveva simili problemi). Ma la vita del poliziotto cambia radicalmente quando i Precog individuano un nuovo futuro delitto di cui è il protagonista negativo, l’assassino di un uomo a lui sconosciuto fino a quel momento. Inizia così la fuga e la ricerca della verità sulla sua presunta colpevolezza, braccato da uno zelante funzionario del Presidente, incaricato di verificare la validità del nuovo metodo anti-omicidi. John Anderton, che si ritiene vittima di un complotto, passerà attraverso il rapimento di un Precog (la femmina, la "veggente" più potente del trio, composto da altri due gemelli), attraverso un nuovo paio d’occhi (nel futuro la nostra identità sarà racchiusa nelle nostre pupille) acquistati al mercato nero ("Nirvana"-"Blade Runner"), e l’aiuto di un "amico" hacker che vive dando piaceri virtuali alle persone (sempre "Strange Days"), muovendosi sullo sfondo di una città del futuro abbastanza simile a tutte le città del futuro cinematografiche (es. "Il Quinto Elemento" di Luc Besson).
Il finale, ricco di prevedibili sorprese non lo svelo, anche se è facilmente intuibile che sia un lieto fine.
Ora, io non sono molto esperto di film fantascientifici e francamente è un genere che non mi esalta, e personalmente credo che, dopo "Blade Runner", difficilmente si riuscirà a girare una storia di tale livello. Però le citazioni erano più o meno evidenti, così come quel senso di deja-vu (niente a che vedere con il deja-vu di Matrix), che pervade tutta la pellicola.
E lasciamo perdere ormai le penose scene d’inseguimento e di lotte uno contro dieci che tutti i film di genere portano come cliché, e a cui neanche un regista come Spielberg si è saputo sottrarre. Un film personalmente che ho trovato mediocre, e che fa il paio con il precedente "A.I. Intelligenza Artificiale", visionato a Venezia ed uscito proprio l’anno scorso in questo periodo, probabilmente (sicuramente) anche peggiore. Inutile giustificare il fatto che questo lavoro è tratto da un racconto di Philip K.Dick, e che ci sia un allarmante messaggio sulle condanne preventive, sul diritto alla privacy ed al libero arbitrio e comportamento di ognuno di noi. Le storie si creano o si scelgono, sta anche lì la ricerca di un soggetto originale per un’opera cinematografica. E francamente è terminata l’epoca dove gli effetti speciali giustificavano un’intera pellicola, ormai troppo abituati a non stupirci più di nulla.
Però anche film recenti di questo genere, hanno dimostrato che si può andare al di là dei semplici effetti speciali. "Matrix" forniva una storia fantascientifica d’azione, ma inquietante ed originalissima che poneva lo spettatore ad un altro livello di percezione della vicenda. Lo stesso "Man in Black", anche se di genere comico, contiene alcuni spunti di originalità su una realtà alternativa che può rivelarsi affascinante pur nella finzione. Qui, a mio parere, il film è scontato, non c’è niente di nuovo, ed anche se non si toccano i livelli d’irritabilità del già citato "A.I.", rimane una pellicola deludente.
Però, perché si vanno a vedere pellicole come "Minority Report", quando s’intuisce già che il film non sarà esaltante?
Perché tutti ne parlano, perché qualche idiota lo ha paragonato a "Blade Runner", perché Mollica (la cui capacità critica si è azzerata, visito che parla bene di tutti) intervista Spielberg e Cruise e dipinge la cosa come un evento, perché coincidenza e fortuna, la tesi del film richiama proprio l’odierna politica internazionale statunitense, con la cultura dell’intervento preventivo, perché da Spielberg ci si aspetta sempre qualcosa di buono (sono più o meno le stesse sensazioni che sto avvertendo per il "Pinocchio" di Benigni, che non ho ancora visionato, ma che mi lascia molto perplesso).
Ma non prendetemi troppo sul serio, magari a voi piacerà.

Andrea Leonardi

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