La rassegna sembrava mostrare un po’ il fiato corto, in questo 2002, sia per il taglio dei finanziamenti pubblici, che ne ha messo alla prova le capacità organizzative, sia per la difficoltà, ben presente oramai da vari anni, di individuare ed esplorare le nuove frontiere del cinema, in un panorama in cui tutti i festival sono alla ricerca del nuovo e quindi gli spazi di manovra per un festival come quello di Pesaro, che ha un Dna così preciso, sono sempre più ridotti.
Instancabilmente, tuttavia, Pesaro si muove nella ricerca di proposte sempre originali: quest’anno al centro dell’attenzione generale (ma non mia, perché ahimè non ho visto niente) c’era il cinema spagnolo più recente, legato a generi diversi (commedia sentimentale, film fantastico, thriller, cinema impegnato), al di là dei grandi nomi (Almodovar, Amenabar), con una incredibile abbondanza di opere prime: un cinema definito senza grandi padri che potessero fare scuola (Bunuel è un autore troppo personale, in questo senso), fatto da autori nati dopo la fine del franchismo, un cinema vivo e più libero (del nostro, per esempio?), che non ha una tradizione da superare e quindi più capace di mediare tra la tradizione e l’apertura al mercato internazionale.
Muovendosi tra le varie proposte, particolarmente interessante è stata la presentazione di buona parte dell’opera di un autore Usa, Jay Rosenblatt, esponente di quella modalità di far cinema oggi che si chiama found footage, letteralmente metraggio trovato: un cinema fatto di pezzi di pellicola già girata e ricavata da cine giornali, video amatoriali, documentari, ecc., rimontata e manipolata tecnicamente, anche con un nuovo sonoro, per costruire un senso diverso delle immagini e della narrazione.
I lavori di Rosenblatt spaziano dalle ricostruzione storiche delle vite private dei grandi dittatori del 900, al ribaltamento degli stereotipi razziali e religiosi o di genere, nell’educazione dei bambini ad esempio, quasi sempre a partire dalla propria esperienza personale, con un gusto particolare per le immagini classiche degli anni 30 e 40. Fino ad arrivare ad un recente lavoro sul crollo delle torri gemelle, basato naturalmente su tutte le immagini più nascoste che in quei momenti sono stato girate.
Sono diversi gli autori, in giro per il mondo, che utilizzano questa tecnica, ne abbiamo alcuni anche in Italia, la coppia Gianikian e Ricci Lucchi, che lavorano sulle immagini "esotiche", dall’Africa ai Balcani, per cercare di leggere nei fotogrammi che utilizzano i pregiudizi coloniali dei loro autori e ri-attribuire loro un nuovo senso. Erano alla scorsa Biennale arte di Venezia e passano periodicamente a Fuori orario.
A proposito di Italia, a Pesaro abbiamo visto alcuni lavori di un "giovane" (classe 1960) autore, Roberto Nanni, cineasta documentarista che racconta con passione storie di vite, per esempio quella di Derek Jarman (in Conversazione con Derek Jarman, video pluripremiato del 1993), con uno stile visivo che cerca di restituire il paesaggio umano inquieto dell’autore inglese, dettagli e frammenti del suo corpo, già malato. Mentre, con un linguaggio più tradizionale, leggero e pieno di humor, ha raccontato, su proposta anche di Nanni Moretti, la vita dell’anarchico sardo Antonio Ruju, a partire dal suo diario personale, che fa parte dell’archivio nazionale di Pieve Santo Stefano, nell’ambito di una serie televisiva che è passata anche a Raitre, sempre di notte naturalmente. Un autore da tenere d’occhio.
Molto più conosciuta è invece Roberta Torre, di cui è stato presentato in anteprima l’ultimo film, Angela, in uscita a settembre. Dimenticate i suoi precedenti titoli dal tono grottesco, Tano da morire e Sud side story: lo stile di Angela è completamento diverso, pur partendo sempre dall’osservazione della realtà. E’ una storia di passioni violente – Angela è moglie di un boss del traffico della droga, unica figura femminile in un universo tutto maschile, amante del lusso e dei privilegi che le offre la sua condizione, che si innamora di un giovane gregario del marito e per lui lascia tutto – un melò noir, che diventa una specie di tragedia greca, tratta da una storia vera, stravolta probabilmente nell’immaginazione della reale protagonista fatta propria dalla Torre. Quasi un film alla maniera di Abel Ferrara, duro e freddo ma intenso. Un bel film.
Appunti da Pesaro
Anche quest’anno kult underground è tornato a Pesaro, per un breve soggiorno alla mostra internazionale del nuovo cinema, giunta alla 38° edizione.
Paolo Baldi