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Nickelback – Silver Side Up

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Nickelback – Silver Side Up

Il vizio che un giorno forse mi porterà alla rovina è quello di acquistare dischi sulla sola base di un singolo che abbia catturato la mia attenzione. Una parte non indifferente della mia discografia è stata assemblata con questo principio, il quale a volte permette di scoprire gruppi semisconosciuti ma assolutamente validi mentre in altri espone al rischio di imbattersi in band il cui unico merito è stato quello di indovinare un solo pezzo e farsi poi trainare da un opportuno lancio mediatico. Il medesimo principio, per inciso, mi ha indotto a portarmi a casa anche questo Silver Side Up in virtù del grandioso appeal del singolo How You Remind Me: una tesa ballata che ti si fissa in mente e non se ne va più via…
How You Remind Me è la traccia numero due di un album che ne allinea dieci: alle altre nove spetta perciò nella pratica il compito di convincere l’acquirente di aver fatto la scelta giusta. Si può dire che raggiungano lo scopo?
I Nickelback sono un gruppo, perdonatemi il termine, abbastanza ordinario; un classico quartetto che suona rock senza particolari guizzi o intuizioni sfavillanti. Probabilmente è stata proprio la semplicità della loro proposta a catapultarli in vetta alle classifiche americane. Una robusta sezione ritmica, giri di chitarra opportunamente hard ed una voce roca al punto giusto: un mix che difficilmente manca grossolanamente il bersaglio, e che anzi ha buona possibilità di centrarlo in pieno qualora sia supportato da una scrittura efficace e da almeno un pezzo capace di spiccare sugli altri. Tutte annotazioni che, guarda caso!, ai Nickelback si addicono alla perfezione…
Non che i quattro siano degli sprovveduti, tutt’altro. In più di un brano mostrano di possedere radici musicalmente solide: l’hard rock americano moderno, nell’accezione resa popolare oggi come oggi dagli Staind, si accompagna a lontane influenze blues (in modo piuttosto evidente ed altrettanto piacevole nella conclusiva Good Times Gone) che ne elevano in un certo senso il tono.
Nemmeno i Nickelback sfuggono però a quello che, a mio avviso, si deve considerare uno dei grossi limiti dell’hard rock contemporaneo dal grunge in poi: l’insistenza su climi cupi ed oscuri. Può sembrare una critica priva di fondamento: non è d’altra parte nemmeno lecito aspettarsi che gruppi hard si lancino su insidiosi motivetti scacciapensieri o su testi squisitamente solari, e se questo facessero allora sarei il primo a chiedermene il motivo. E’ innegabile però, per chi abbia un po’ di familiarità con il genere, notare quanta strada corra fra i Nickelback o gli Staind ed i vecchi, gloriosi Led Zeppelin. Questi ultimi, pur rimanendo sempre un gruppo sostanzialmente hard rock per tutto il corso della propria carriera, non mancavano mai di fornire dimostrazione di quanto lontano ci si potesse spingere nel suonare musica apparentemente monocromatica: non a caso rifiutavano con sdegno la definizione di gruppo hard rock, riconoscendo negli stilemi tipici del genere una gabbia troppo stretta per la propria indomabile creatività. E’ vero che lo scorso secolo ha prodotto solo un Jimmy Page, solo un Robert Plant, solo un John Paul Jones e solo un John Bonham: forse non è lecito ne’ corretto prendere loro ad esempio (troppo grandi per essere anche solo avvicinati), ma è anche deprimente constatare come mai un raggio di luce illumini, neppure per sbaglio, le lugubri atmosfere di quei gruppi che idealmente dovrebbero essere loro eredi.
Con questo non voglio stroncare i Nickelback. In giro c’è senza dubbio di peggio, e comunque vedere che la sfida per la vetta delle hit parade vede in lizza anche loro rappresenta una sorta di consolazione di fronte all’altrove desolante panorama della musica da classifica. Questo non faccia però dimenticare che la storia contemporanea di questo genere non viene scritta da queste parti. I Nickelback di Silver Side Up sono un gruppo onesto baciato da un successo forse esagerato, ma nulla di più. Lasciamo che si godano questo momento di grazia ma teniamo ben presente che, perché possa dirsi meritato, dovranno fare passi da gigante in futuro…


Fabrizio Claudio Marcon

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