come giudicare i talebani a Guantanamo?
allora pagherai vita per vita:
occhio per occhio, dente per dente»
(Dal libro dell’Esodo 21, 23-24a)
Ad oggi1 sono 144 i talebani fatti prigionieri dalle truppe statunitensi operanti in Afganistan e trasferiti nella base di Guantanamo a Cuba, e il problema sulla loro sorte appare oramai agli occhi di tutti, giusinternazionalisti e non.
Le condizioni in cui sono tenuti sollevano dubbi sul rispetto delle più elementari norme carcerarie, e quindi paventano possibili violazioni dei diritti umani: "gabbie" della dimensione di mt 1,80×2,40 all’aperto, esposte dunque alle intemperie, con il tetto in metallo e il pavimento di cemento; a disposizione dei prigionieri, totalmente rasati per ragioni "igieniche", uno stuoino, due asciugamani e una copia del Corano, tuta arancione fluorescente; durante gli spostamenti, maschera oscura davanti agli occhi, mani e piedi incatenati e maschera filtrante sulla bocca (ufficialmente per prevenire la diffusione di eventuali malattie2).
Ma il vero problema che da questa situazione deriva è quello che porta a chiedere in base a quale sistema legale queste persone verranno giudicate, e quindi quale sarà il corpus iuris che reggerà il procedimento cui saranno sottoposte, le imputazioni delle quali dovranno rispondere, le eventuali pene che dovranno scontare in caso di condanna.
Sono prigionieri di guerra o criminali comuni? La risposta a questa apparentemente semplice domanda è già di per sé produttiva di una serie di conseguenze tali da sollevare proteste e interpellanze ai quattro angoli del pianeta. Ma andiamo con ordine.
I talebani catturati sono caduti nelle mani delle forze armate degli Stati Uniti durante operazioni militari rientranti in attività belliche avviate quali ritorsione agli attentati dell’11 settembre a New York e Washington3 e definite dallo stesso presidente Bush "la prima guerra del XXI secolo": apparentemente ci si trova nell’ambito di un conflitto armato tra due stati sovrani (Afganistan e Stati Uniti d’America), quindi internazionale, e di conseguenza, persone partecipanti alle ostilità in quanto membri delle forze armate regolari, delle milizie o dei corpi volontari sottoposte a un capo responsabile e che portano apertamente le armi sono definibili secondo quanto dispone il diritto internazionale umanitario combattenti legittimi e soggetti alla disciplina contenuta nelle Convenzioni di Ginevra del 1949 e nei Protocolli addizionali del 19774.
In particolare, la III Convenzione di Ginevra5 è totalmente dedicata alla disciplina dei prigionieri di guerra in conflitti armati internazionali e prevede che i combattenti catturati e le altre persone private della loro libertà devono essere trattate con umanità; esse devono essere protette contro tutti gli atti di violenza, in particolare contro la tortura. Se vengono avviati dei procedimenti giudiziari nei loro confronti, essi devono beneficiare delle garanzie fondamentali di una procedura regolare6.
Ma la cosa non è così facile dal momento che gli stessi Stati Uniti rifiutano di riconoscere loro lo status di prigioniero di guerra (prisoner of war), definendoli terroristi, definizione che il diritto internazionale non conosce e che si rifà, quindi, agli ordinamenti nazionali e alle specifiche normative penalistiche7 e, dunque, a quelle norme di diritto penale processuale che regolano i procedimenti a carico dei delinquenti comuni. Tuttavia, le circostanze in cui sono stati catturati e il trattamento che stanno ricevendo farebbero propendere per una sottoposizione a un regime penale militare di guerra.
Se il termine terrorismo non possiede una definizione univoca, molti studiosi gli riconoscono alcune caratteristiche comuni: l’uso della violenza a fini politici o sociali, lo scopo intimidatorio, il fatto che le sue vittime sono soprattutto civili. Ma il terrorismo è qualcosa in più della semplice violenza, che coinvolge due parti, un aggressore e una vittima: vi è spesso una terza parte (la società civile, le autorità di governo, una determinata classe sociale), che si intende intimidire o condizionare mostrandole cosa accade alla vittima8.
I talebani trasferiti a Guantanamo sono allora terroristi comuni o combattenti di una potenza nemica e, dunque, prigionieri di guerra?
Secondo la III Convenzione di Ginevra del 19499, i prigionieri di guerra imputati di qualsiasi reato (che deve essere espressamente previsto da una norma di legge previgente alla loro cattura10, nulla poena sine lege) godono dei seguenti diritti:
Chi ha seguito, anche solo attraverso i media la successione degli eventi degli ultimi giorni, può ben dire che nessuno di questi diritti è stato rispettato, tant’è che sono stati definiti "terroristi" senza essere sottoposti ad alcun processo, nemmeno sommario, dal momento della loro cattura, e il trattamento cui sono sottoposti nella base di Guantanamo viola ogni prescrizione della III Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra.
All’obiezione che questi siano diritti riconosciuti ai prigionieri di guerra dal diritto di Ginevra e, quindi, non applicabili alla fattispecie in esame bisogna però ricordare che il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del
Cosa succederà dunque? Come e da chi verranno giudicati questi "pericolosissimi terroristi", come li ha definiti in più occasioni il segretario alla giustizia americano Rumsfeld?
I procedimenti contro queste persone13 potrebbero celebrarsi dinanzi a differenti istanze giurisdizionali:
Comunque sia, quale che sarà la sorte di talebani ora detenuti nella base americana a Cuba, la comunità internazionale deve e dovrà interrogarsi sul ruolo del diritto internazionale nella regolamentazione dei rapporti non solo tra Stati sovrani ma pure tra Stati e individui (sempre più coinvolti quali veri e propri soggetti di diritto internazionale, contro ogni teoria classica che negava loro tale soggettività giuridica) e porsi al lavoro seriamente per smantellare quei residui di sovranità nazionale che ostacolano un vero sviluppo globale partecipato tra pari quale deve, o dovrebbe, esserci nell’ambito del consesso delle nazioni civili.
amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori»
(Dal Vangelo secondo Matteo 5, 44)
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Diritto di pace e diritto di guerra:
«Se segue una disgrazia,
Davide Caocci
«Ma io vi dico:
21.01.2002
Fonte Central Intelligence Agency, sito internet http://www.cia.gov.
Cfr. D. Caocci e A. Monari, Terrorismo globale e nuove insicurezze: la risposta della comunità internazionale, KULT Underground, n. 78, Settembre 2001.
Cfr. P. Verri, Appunti di diritto bellico, Roma, 1990, p.20 e segg.
Ratificata dagli Stati Uniti d’America.
Cfr. H.-P. Gasser, Il diritto internazionale umanitario e la protezione delle vittime della guerra, Ginevra, 1999, p.2.
Si vedano, per es., le speciali leggi anti-terrorismo varate in Italia per fronteggiare l’emergenza terrorismo dagli anni ’70, nel Regno Unito per l’Irlanda del Nord e negli Stati Uniti in seguito all’11 settembre 2001.
Cfr. R. Mkhondo, voce Terrorismo, in Crimini di guerra, Contrasto – Internazionale, 1999, p.360 e segg.
Cfr. artt.82-108.
Cfr. art.99.
Anch’esso ratificato dagli Stati Uniti d’America e, perciò, per loro cogente.
Cfr. art.2.1.
Giacché di persone si tratta, ed è bene ricordarlo, e quindi titolari di tutta la serie di diritti inviolabili della persona che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1945 e i successivi strumenti internazionalistici relativi ai diritti umani riconoscono a ogni essere umano, anche qualora reo dei più atroci crimini, comunque da dimostrare in un equo procedimento.
Si pensi alla fatica che sta facendo la comunità internazionale a dotarsi di un Tribunale penale internazionale come previsto dalla Convenzione di Roma del 1998 e non ancora operativo.
Anche il nascente Tribunale penale internazionale potrà conoscere e giudicare solo di atti commessi successivamente al suo insediamento.