Era una mattina fresca di inizio autunno. Erano passati due giorni da quando Iruben aveva salvato Banedon nella grotta di Vallort, ed ora la bella maga di Rodendhal doveva ripartire per il sud del continente. Come aveva spiegato a Banedon, a sud esistevano le migliori scuole di maghi e le più grandi biblioteche conosciute; perciò lei aveva deciso, dopo alcuni brevi viaggi nei paesi nordici confinanti con la sua terra d’origine, di partire ed attraversare il continente, per raggiungere grandi città come Glantri, capitale del regno dei maghi, o Specularum, la stupenda città sul mare dove esisteva la biblioteca più grande del mondo.
Avevano passato gli ultimi due giorni sempre insieme, discutendo di magìa e di avventure, e Banedon era rimasto stregato dalla conoscenza e dalla determinazione di quella giovane donna. Ora stava per lasciarlo. Era in sella al suo cavallo, pronta a ripartire; stava salutando il giovane mago di Arendal.
– Sei proprio sicura di non poter restare? -. Il suo tono tradiva una nota di tristezza.
– Sì, purtroppo sì. Ho un lungo viaggio da compiere verso sud. Spero che tu mi possa raggiungere, un giorno.
Banedon sospirò.
– D’accordo. Arrivederci, allora, e che la fortuna ti assista sempre e ovunque.
– Il tuo volto sarà sempre nel mio cuore, Banedon, e mi porterà fortuna.
Gli porse la mano, bianca e sottile. Il giovane mago la prese fra le sue, la portò al viso e l’appoggio sulla fronte, chinando la testa in avanti.
– Addio, Iruben
– Addio.
La donna scosse le briglie e il cavallo partì trottando; mentre si allontanava gridò – A presto, Banedon!
– Sì! A presto.
Così Iruben di Rodendhal partì verso sud, in quel fresco mattino di inizio autunno, sparendo dalla vita di Banedon per molto tempo. In quanto al giovane mago, si incamminò malinconicamente verso casa. Alcuni passanti lo guardarono incuriositi, attirati dalla veste che indicava chiaramente la sua professione: era da molto tempo che non si vedevano maghi così giovani, ad Arendal. Ma lui non si guardava attorno, fissava il terreno davanti a sè e si sentiva solo come non si era mai sentito. Arrivò a casa, non disse una parola, si chiuse in camera sua e non ne uscì per giorni. Si sentiva stanco, scarico, svogliato, come se avesse lanciato l’incantesimo più potente e difficile dell’intero Libro Primo; i minuti passavano lenti naufragando nelle ore e lui restava lì, steso sul letto, vagando col pensiero in mondi lontani, pieni di immagini astratte e parole senza senso.
Banedon Hansmitt era nato il primo giorno di Settembre dell’anno 978, verso il tramonto, in quella stessa casa di Arendal dove ora viveva con i propri genitori, Lester Hansmitt e Melanie Goldheart. Era venuto alla luce nell’ora in cui la luce se ne andava. Sempre ad Arendal aveva trascorso l’infanzia e la prima giovinezza, ragazzo come tanti, un poco taciturno, molto sognatore, destinato probabilmente a fare l’artigiano, dopo molte giornate passate ad osservare il vecchio zio Firk che lavorava il legno per costruire di tutto. Aveva quasi compiuto quattordici anni quando decise di entrare nella scuola di maghi. La sera del 29 Agosto del 992 uscì, poco dopo il tramonto, per una passeggiata nella foresta vicino alla città. – Ci saranno anche i miei amici – disse alla madre per rassicurarla prima di uscire. – Non farò tardi.
Tornò il mattino dopo all’alba, fradicio per il temporale scoppiato durante la notte, con lo sguardo duro e il viso arrossato come per una scottatura; la sua espressione era cambiata, assorta, sembrava perso in chissà quali ragionamenti. Raccontò di esser stato sorpreso dal temporale e di aver trovato un rifugio dove aspettare che tornasse sereno; poi non disse nient’altro ai genitori fino a sera, quando annunciò alla famiglia che sarebbe entrato nella scuola di maghi.
– Ho avuto una specie di… illuminazione – disse molto seriamente.
All’inizio la sua idea non fu presa in considerazione, ma nei giorni successivi la sua insistenza li convinse che la decisione era seria. Invano provarono a dissuaderlo: il ragazzo non ammetteva obiezioni. Tuttavia per entrare nella scuola era necessario avere compiuto il 15° anno d’età, e quindi dovevano passare ancora dodici mesi. Banedon affermò soddisfatto che l’avrebbe impiegato per studiare e prepararsi adeguatamente; il padre affermò soddisfatto che in un anno avrebbe senz’altro dimenticato quella follia.
– Voi giovani siete facili a questo tipo di entusiasmi. Come fiammate di illusionisti, che scoppiano feroci ed alte, e un istante dopo già muoiono.
– Non hai nessuna fiducia in me, padre? – ribatteva aspramente il figlio. – Non posso dirti altro se non che sarà il tempo a dire chi ha ragione.
– Sei testardo e presuntuoso. Il tuo orgoglio ti creerà solo problemi.
Ma il tempo diede ragione al ragazzo, e l’orgoglio fu la chiave delle ore passate a studiare e a informarsi su tutto ciò che riguardava il mondo della magia; trascorsero i mesi, e il giovane non dimenticò l’idea, anzi, vi si dedicò sempre più accanitamente, calmando l’impazienza di entrare nella scuola con lo studio appassionato di decine di libri sulla magia.
Il 1° Settembre 993 Banedon Hansmitt compì 15 anni. Il giorno dopo, al tramonto, bussò alle porte della rocca che ospitava la Scuola di Magia di Arendal.
– Cosa desideri, ragazzo?, gli chiese il guardiano.
– Imparare l’uso della magia, e diventarne difensore e diffusore – rispose prontamente Banedon. Il guardiano lo squadrò con un sorriso, poi con un lieve gesto lo invitò a seguirlo. Banedon si girò vero Lester Hansmitt, che lo aveva accompagnato.
– Arrivederci, padre.
– Arrivederci, Banedon, e in bocca al lupo.
Si strinsero la mano, poi il ragazzo entrò, e cominciò a diventare mago.
Le avventure di Banedon (II)
Alessandro Zanardi (continua)