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Apocalipse forever

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Apocalipse forever

Oggi parliamo di grande cinema! Dopo 22 anni è tornato sugli schermi (in contemporanea con la campagna di libertà duratura e giustizia infinita del cowboy texano) uno degli ultimi film-kolossal/opere mondo del 900: Apocalipse now (redux) di Francis Ford Coppola. E’ un’occasione per tanti spettatori (giovani e non) di vedere per la prima volta al cinema, in una copia perfetta ed anzi integrata rispetto all’originale (con 50 minuti di pellicola recuperata), un film che è stato allo stesso tempo specchio e cristallizzazione dell’immaginario politico (Vietnam, colonialismo…), sociale (movimenti, droghe…) e culturale, prima di tutto nord-americano, degli anni 60 e 70.
Io sono stato uno di questi spettatori. Ricordo quando il film uscì per la prima volta, nel 1979, di essere stato impressionato dalle immagini viste alla tv – gli elicotteri che cavalcavano il cielo con la musica di Wagner – in una trasmissione sul cinema che andava in onda su Rai1, Dolly, curata da Claudio G. Fava (!). E poi avevo sempre rimandato l’appuntamento (televisivo) con questo film diventato leggendario con il passare degli anni, nell’attesa della migliore occasione possibile per vederlo, che si è presentata proprio nel 2001, l’anno kubrickiano, il cui nome rimanda ad un altro film decisivo sulla guerra, Full metal jacket.
Apocalipse now è certo film sulla guerra ("Non è un film che parla del Vietnam. Ë il Vietnam" disse Coppola all’uscita), e contro la guerra, sull’eterna lotta tra bene e male; in questo caso, però, i confini sono incerti e spesso indistinguibili, ambigui al massimo, e il tono non è quello realistico delle opere classiche di questo genere, ma quello ipnotico e delirante di un viaggio nel cuore di tenebra del sogno americano; ma forse è anche qualcosa di più, direi che racconta di una nazione, di un popolo, di una generazione, quella cresciuta e diventata adulta negli Usa (ma anche in Europa) nei 60, della sua energia vitale, che è anche alla base del modello (sociale-politico-economico-militare-culturale…) nord-americano, energia che crea e che distrugge: un film sul potere che di questa energia si nutre, fino a cannibalizzare i suoi stessi figli.
Il film sembra condensare in sé anche tutta l’energia assorbita dai suoi protagonisti ed autori, a partire da Coppola e dallo sceneggiatore John Milius (Un mercoledì da leoni), che dopo Apocalipse now hanno entrambi smarrito la loro più potente carica visionaria, da Martin Sheen/Willard, il protagonista principale, quasi distrutto fisicamente (infarto) dalla lavorazione, fino a Marlon Brando, alla sua ultima memorabile apparizione (dopo sono venute solo comparsate dimenticabili in fretta).
Apocalipse now ha un andamento lento, interrotto da numerose e sublimi/atroci scene madri, dai molteplici richiami bertolucciani: Bernardo Bertolucci aveva lasciato il segno su Coppola in quegli anni, dal Conformista a La luna, passando per Ultimo tango e Novecento. Un risalire lungo un fiume, narrato in prima persona da Sheen/Willard, in modo da identificare l’occhio della macchina da presa con quello del viaggiatore, dentro una giungla diventata labirinto mortale, ma soprattutto dentro un abisso interno sempre più profondo; viaggio che vale di per sé. anche più del fine della missione: trovare e uccidere il colonnello Kurz/
Brando (l’altra faccia di Willard, a cui quest’ultimo si accorge di assomigliare sempre più, ma mano che gli si avvicina), la cui lucida follia – di fronte all’evidenza luccicante del male insito dentro l’uomo, della violenza che ne deriva, e della falsità e menzogna del potere, in tutte le sue forme – già insostenibile per i comandi militari Usa, è sconfinata nell’orrore.
"Insegnano ai ragazzi a sparare sulla gente ma non gli lasciano scrivere fuck sugli aeroplani": sta in questa battuta il senso dell’immoralità e dell’ipocrisia della guerra. Così come della sua follia sono emblema le scene in cui, durante un bombardamento di un villaggio, il capitano Kilgore, il personaggio di Robert Duvall, che "ama l’odore del napalm la mattina presto", impone ai suoi soldati di surfuggiare sulle onde del mare e poi è pronto a tutto per recuperare la sua tavola da surf; o quelle che vedono le conigliette di Playboy prima esibirsi di fronte ai soldati eccitati che le travolgono e poi costrette a concedersi in cambio di carburante per lasciare quell’inferno. In un delirio di suoni, musiche (memorabili), colori, allucinazioni, fuochi artificiali, bagliori, Apocalipse now ci fa vivere una esperienza ancora oggi, come ieri, indimenticabile e imperdibile.

Paolo Baldi

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