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Terrarossa – Parte Terza

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Terrarossa – Parte terza

Il personaggio notturno

Era da poco passato il tramonto del quinto giorno dalla partenza di Holye Nan e si erano accampati per la notte, per quanto si possa chiamare "accampamento" stendersi alla base di qualche cespuglio ben nascosto dai possibili sentieri della foresta, lontano dai resti del piccolo fuoco che aveva cotto il loro cibo. Ma non avevano neanche iniziato ad addormentarsi quando sentirono dei rumori vicini. Louis alzo’ gli occhi; fece segno a Tefa di appiattirsi a terra e di restare immobile. Tefa ubbidi’, non prima di aver estratto il suo lungo coltello da caccia. Il silenzio era lungo e pieno di piccoli rumori. No, questo non e’ silenzio. In questo posto non esiste il silenzio, penso’ Tefa mentre perlustrava intorno, per quel che riusciva a vedere.
Eccolo.
Balzando fuori tra due alberi con mossa quasi danzante, una figura umana ricoperta di stracci li sorprese totalmente. Non aveva armi in mano, non era una bestia feroce, era semplicemente un uomo. Tefa e Louis esitarono quanto basto’ perché l’uomo si sentisse a suo agio. Canticchio’ tra sé, poi improvvisamente si interruppe e si guardo’ intorno rapidamente in ogni direzione. Dopo qualche secondo torno’ a sorridere, sollevo’ la testa verso l’alto, e illuminato dall’ultima luce del giorno gli uomini del sud videro un viso giovanile, appena rovinato dallo sporco della foresta, e due occhi spiritati.
L’uomo continuo’ cosi’, a sorridere e poi a guardarsi in giro. Senza parlare. Poi si avvicino’ a Tefa, che distese dinanzi a se’ il lungo coltello da caccia. L’uomo rise allontanandosi bruscamente, e disse – No, oh no no, non serve. Oh no no no no.
– Chi sei? – chiese Tefa con il suo solito brusco tono.
– IO?
E si guardo’ ancora intorno, gettandosi poi a terra come per nascondervi. Continuo’ sottovoce.
– Non ditelo a nessuno, oh no no, non ditelo a nessuno.
Tefa guardo’ Louis con aria interrogativa.
Il giovane esploratore parlo’ a bassa voce. – Non diremo niente a nessuno. Ma tu chi sei?
– Lui non vuole che parli con qualcun altro. Lui non vuole che si parli, in generale.
– Lui chi?
– Ssssh – lo zitti’ l’altro, con un dito davanti alle labbra.
Alcuni attimi ancora di finto silenzio.
– Perché sei qui, a quest’ora di notte? – prosegui’ Louis.
– Non mi piace la vita di giorno – troppo caldo, e confusione, e poi e’ monotona… e’ sempre il solito casino.
– Non ti posso dar torto, amico – disse Tefa rialzandosi con circospezione. – Secondo me e’ fuori di testa – concluse poi rivolgendosi a Louis.
Fu un attimo. Il personaggio balzo’ in avanti verso Tefa e gli diede uno spintone, poi scappo’ dietro nei cespugli.
Tefa venne sorpreso proprio mentre aveva appena risposto il pugnale nella cintura. Quasi perse l’equilibrio sulla spinta, poi si riprese ed estrasse di nuovo il pugnale correndo dietro all’uomo.
– Vieni qui, bastardo!
– No, Tefa, aspetta! – lo chiamo’ Louis inseguendolo.
– No, no, oh no no non sono stato io no lasciami stare – gridava intanto l’uomo dalla boscaglia. – Oh no, e’ stato lui, non io, aspetta oh no no no no no aspetta!
– Fermati ,Tefa! – gli intimo’ Louis, e l’assassino gli diede retta.
Giunsero altre parole dalla boscaglia. Era ancora li’ vicino.
– Non lo so come si chiama, e’ lui, lui non parla mai, non dice niente, ma e’ violento, lui corre e insegue gli animali e li uccide e li fa al fuoco e io poi lo guardo mangiare – io non mangio mai io penso…
Di nuovo silenzio. L’uomo pareva essersi allontanato.
Tefa sbuffo’.
– Quello e’ stronzo. Se si avvicina ancora lo prendo a pugni.
– No, non devi.
Tefa guardo’ Louis interrogativamente.
– Non ti preoccupare, non ci dara’ fastidio – rispose Louis. – E’ inoffensivo, non vedi? E noi non dobbiamo rischiare niente. Meglio rimanere qui, ben nascosti. Fai conto che sia come una zanzara.
– Io le zanzare le uccido subito. Non le sopporto. Come le sento ronzare, hanno gia’ finito di vivere.
– Torna a dormire, dai.
Louis torno’ a coricarsi al suo cespuglio, senza curarsi oltre dell’uomo, e invito’ con lo sguardo Tefa a fare altrettanto. Pochi minuti dopo, improvvisamente, si mise a parlare: – Vedi, non e’ stronzo. Lui dice che c’e’ un altro, e questo puo’ sembrare uno scherzo, ma il fatto e’ che ci crede davvero, ecco qual e’ il problema. Non e’ uno scherzo, non ti sta prendendo in giro. E’ uno sdoppiamento di personalita’. Lui e’ due persone, uno parla e uno agisce. E’ ovvio che quello che parla dia la colpa di ogni azione all’altro. E’ una forma di alienazione, di pazzia. Chi non rischia la pazzia in questa situazione micidiale?
Fece una pausa. Tefa non disse niente.
Louis continuo’: – Possiamo difenderci dalla pazzia con il non pensiero. Evitiamo di riflettere, di meditare, cosi’ non scateniamo quella serie di pensieri concatenati che ci allontanano dalla realta’, e che sono piu’ difficili da gestire. Possiamo accontentarci. Ma la solitudine ci avvicina inevitabilmente alla pazzia. Non vogliamo restare soli perche’ abbiamo paura di impazzire.
In questo posto non esiste il silenzio, concluse nervosamente Tefa tra se’ prima di addormentarsi, dopo un’altra mezz’ora buona di orecchie tese e sguardi preoccupati.

Levin scrive poesie

Triste. Tedioso. Terribile. Tragico. Veramente un orribile settembre, vuoto di qualsiasi cosa, il suo cielo, come diceva il poeta, era un blocco di cemento. E il principe Levin si sentiva una mosca in una ragnatela abbandonata, destinato a rivoltarsi e a contorcersi e a non approdare a niente che non fossero notti insonni e pensieri di sventura. La tristezza era peggiore ora che poteva pensarci, dolce omino fatto al contrario. Di fronte agli altri, nella conversazione, era sicuro e ostentava serenità. Da solo, lasciava che i dubbi l’assalissero fino a spalancargli gli occhi, brillanti nelle tenebre, fissi fuori dalla finestra. Ma così era giusto. Il suo dolce Louis non meritava di essere caricato di preoccupazioni altrui, di lamentele egoiste. Sapeva badare a se stesso e sarebbe tornato, questo è tutto ciò che il principe aveva voluto dirgli. Ma adesso, che non c’era nessuno, davvero nessuno, la tristezza allungava i suoi tentacoli su di lui. Una profonda fenditura, un fossato pericoloso, qualcosa che nella solitudine di una persona vede un terreno fertile per propagarsi, riempire di allucinazioni. E Levin giaceva lì, spento dalla troppa nostalgia.
E’ solo di notte che t’incontro, ormai, di notte nei miei sogni, di notte come quando ti baciai la prima volta, di notte come tutti i nostri amori. Di notte soltanto.
Dove sei, amore? Dove sei in questa fresca e amara notte di primavera piena di nostalgia?
Dove sei, strano amore che resiste al tempo e agli eventi e alle persone, strano amore tutto mio impronunciabile sempre presente? Dove sei, adorabile triste metà della mia vita?
Lontano sotto qualche cielo stellato o dormendo in una bettola, lontano, in mezzo al mondo all’odio al pericolo al furore, mi pensi un poco? Pensi ai miei capelli da accarezzare? Alle mie labbra da baciare?
Dove sei, amore?
Mi sorgono dal profondo frammenti d’antiche tristezze, paure antiche di secoli, antiche come l’uomo: paure di tutti gli amanti rimasti soli ad aspettare in una tana. Perchè ridere? Non c’è ridere, solo ansia e una nervosa tristezza, che potrei chiamare angoscia, che potrei chiamare nostalgia, che potrei chiamare Louis…
Portami giù. Fammi dormire, fammi piangere e mentre piango addormentarmi.
Non c’è altro da fare, qui.

Alessandro Zanardi (CONTINUA)

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