Ieri sera me ne stavo tornando a casa sul treno dei pendolari.
Era uno di quei classici treni stile retrò, ma solo perché realmente vecchio;
era uno di quei treni in cui è estremamente facile stabilire un contatto umano con chi ti sta a fianco, soprattutto perché i posti sono così stretti e i sedili così vicini che ogni volta che qualcuno si siede o si alza si dà il via a una eccitante partita a tetris;
era uno di quei treni in cui non si sente volare una mosca, perché tutti erano distrutti dalla giornata lavorativa o erano cullati dal ritmico passaggio sulle giunzioni dei binari;
era uno di quei treni in cui nessuno ha più le energie mattutine di spettegolare sul collega o non ha più argomenti per intavolare una discussione sulla partita della sera precedente: troppo lontana e troppo inflazionata durante l’intera giornata;
era uno di quei treni che potrebbero apparire post moderni e ad alto risparmio energetico, dove l’interruttore dell’aria condizionata è sulle pareti, ma le bocchette (o, tecnicamente parlando, gli split) sono i finestrini;
era uno di quei treni naturalisti, dove l’effetto stalla è sempre presente;
era uno di quei treni in cui è manifesta la fiducia e la civiltà del prossimo: niente posacenere (tanto non si può fumare) e finestrini che si aprono completamente (nessuno getterebbe fuori mai nulla);
era uno di quei treni in cui anche i poveracci si possono sentire importanti sedendosi nella parte di vagone in cui i posti sono sopraelevati di qualche gradino.
Ero su uno di questi treni in pace con il mondo, leggendo un libro che mi potrebbe aiutare a capire meglio gli avvocati, se mai un romanzo di Grisham può aiutare a capire il mondo degli avvocati e se mai a me interessasse capire gli avvocati: ne conosco pochi, e quei pochi mi vanno benissimo così, senza necessità di indagare più a fondo. Stavo leggendo uno di questi stupidi romanzi e mi soffermavo per minuti sulla stessa pagina, lasciando che la mia mente spaziasse, fantasticasse, riflettesse su banali frasi che in passato mi avrebbero facilmente portato ad una crisi di identità, che in passato mi avrebbero indotto in dissertazioni filosofiche senza fine e senza risposte.
Alla stazione di Lodi la coincidenza per Piacenza non c’era. Per non so quale motivo il treno era stato soppresso. Non mi interessava sapere perché o per come. Semplicemente mi sono seduto su una panchina e ho proseguito con la mia lettura, sollevando di tanto in tanto la testa per vedere gli strani ceffi che transitavano: avvocati, ingegneri, professionisti in preda al panico per il ritardo accumulato, per il ritardo futuro, per la fretta che li angosciava e li attanagliava.
Io ero in pace con me stesso e con il mondo: mi erano saltati gli appuntamenti presi (per una volta che organizzi le mie serate…) ma la cosa non mi importava. Ormai convivo più giorno per giorno, bensì minuto per minuto, succhiando tutto ciò che mi va e mi aggrada.
Improvvisamente è stato letto un avviso che informava che si sarebbe dovuti salire sul treno in arrivo, scendere a Codogno (dopo 3 fermate locali) e utilizzare il servizio sostitutivo su gomma sino a Piacenza. Sono quindi salito su questo nuovo treno, sconosciuto per me, abitudinario come ogni buon pendolare, e con volti mai visti se non sfreccianti dalla banchina della stazione, conscio che avrei guadagnato ben 5 minuti sul treno successivo. Il treno era stracolmo, la gente era quasi accampata, tutti manifestavano insofferenza per il caldo e la congestione. Non ho trovato, forse perché non l’ho neanche cercato, posto a sedere. E così, in piedi vicino alla porta, ho guardato la gente che saliva (nessuno) e quella che scendeva. La desolazione mi ha pervaso: gente stravolta da una vita sempre in corsa per il raggiungimento di un qualcosa che non è mai abbastanza; volti vispi al mattino, ma triti come la cipria la sera; persone demotivate e quasi tristi di tornare a casa dove avrebbero appena avuto il tempo necessario per una doccia, un frugale pasto e una dormita ristoratrice: niente relazioni interpersonali, niente incontri, niente vita. Mi sono chiesto se questa è la vita che voglio, senz’altro è quella che sto vivendo in queste ultime settimane, se è questa la vita per cui ho studiato sino a 30 anni, se è questa la mia vita nei prossimi 35, se i soldi, la carriera, la fama sono veramente importanti o se sono uno specchietto per le allodole, una giustificazione per il non vivere che ci attanaglia. Non lo so. O meglio, lo so perché tante volte mi sono risposto e la risposta è sempre stata la stessa.
Ero triste per ciò che vedevo e per ciò che mi circondava: tanta vita, tante vite sacrificate al Dio successo, al Dio denaro, al Dio lavoro, a Dei falsi e ingannevoli.
Ma poi ho visto il Po. Era calmo e placido. Nessuna increspatura era visibile sulla sua superficie. Pacato nella sua vastità e nella sua maestosità. E accanto a lui, una palla di fuoco arancione si stagliava tra vane e futili nubi. Non è il Dio Po leghista, ma per me il Po rappresenta la casa: quando si passa sul ponte ci si prepara a scendere dal treno; se si è in macchina ci si stiracchia perché l’arrivo è ormai prossimo. Rappresenta la sicurezza perché so che ci sarà sempre quando tornerò, perché c’è sempre stata quando sono tornato; anche se io ero diverso, anche se non ero più quello che era partito, Lui era sempre lì. È un punto fermo, un elemento tranquillizzante come lo è la voce della madre per l’infante in fasce.
E sono tornato sereno: non so bene perché, forse per tutto e forse per niente; ma il mio cuore si è rasserenato, si è tranquillizzata la mia mente. Tutti i nuvoloni che stavano per adombrare la mia labile stabilità mentale e psicologica sono stati spazzati da qualcosa di più grande, maestoso, invincibile.
Sono sceso dal pullman, ho preso la bicicletta e come il più libero degli uomini mi sono avviato a casa
E una giornata che stava volgendo al peggio è improvvisamente tornata a risplendere.
Sono le piccole cose che riempiono la nostra vita.
Sono le piccole cose che danno un senso alla nostra vita.
Cercherò di non dimenticarmene perché se non perdo la capacità di riconoscere la bellezza, prima o poi troverò con chi condividerla e se non perdo la mia serenità prima o poi ci sarà qualcuno che ne gioirà. Io per primo.
Treno
Spalla