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L’Abito Adatto

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L’Abito Adatto

"L’Abito Non Fa Il Monaco"
Anonimo Benedettino
"Ma Siamo Proprio Sicuri?"
Anonimo Francescano

Sono sicura che non vi salterebbe mai in testa di recarvi a un colloquio di lavoro con un abito inadeguato, o di presentarvi al primo appuntamento con la ragazza dei vostri sogni senza prima esservi meticolosamente preparati, sbarbati, rasati, abbigliati e profumati.

E allora perchè non fate la stessa cosa con i vostri testi, quando decidete di presentarli a un editore?

Sappiate che state facendo qualcosa che è già stato fatto in quel preciso identico stesso momento da centinaia di altre persone che come voi stanno chiudendo la busta e applicando il francobollo.

Per non parlare di tutte quelle che l’hanno fatto il giorno prima e che lo faranno ancora il giorno dopo.

Dunque siete certi che avete fatto tutto, ma proprio tutto quello che andava fatto?

Avrete naturalmente messo cura nel verificare che il testo sia ben impaginato, con un font leggibile, un’interlinea classica, un formato elegante, che i fogli siano sfusi, come di solito richiesto dagli editori, che la stampa sia nitida, le pagine numerate, oppure no se richiesto diversamente, che ogni cosa insomma corrisponda alle modalità di invio precedentemente concordate.

Perchè sono certissima che voi non spedireste mai dei manoscritti a caso, a un editore che prima non vi abbia autorizzato, indicandovi le modalità corrette per l’invio.

Come sono altrettanto sicura che avrete prima impiegato il tempo necessario attraverso i mezzi a vostra disposizione per identificare i nominativi degli editori "specializzati" o "interessati" al vostro genere di produzione letteraria.

Vero, che non spedireste mai un romanzo giallo a un editore di saggistica? Naturalmente no, mi voglio augurare che sappiate come a mezzo internet sia possibile recuperare e mettere assieme una discreta lista di editori e agenzie letterarie rigorosamente selezionate e filtrate, ai quali, prima di inviare il testo, richiedere via email l’autorizzazione per l’invio della vostra opera, allegando una breve sinossi o presentazione del romanzo, una vostra biografia o curriculum letterario, e magari l’incipit o il primo capitolo.

Gli editori che vi risponderanno vi indicheranno le modalità da loro desiderate per l’invio dei testi, ed ottenuto questo siete già a buon punto, quelli che non vi rispondono invece, beh, teneteli da parte per un’altra volta magari, ma se non vi hanno risposto, come diceva un’altro anonimo benedettino "Il Buongiorno Si Vede dal Mattino", e tanto basta.

Naturalmente tutto questo richiede un’intensa attività di Press Agent e di Merchandasing, ma chi meglio di voi può essere il migliore promotore di se stesso?

Quello che invece a molti sfugge, al di là della pedissequa osservazione di tutti i punti su elencati, al di là del formato, dell’impaginazione, della presentazione, del tipo di invio, è una cosa lapalissiana, visibilissima, eppure molto sottovalutata, la punta dell’iceberg, quello che si vede per primo, il primo impatto, l’imprinting.

Dice una famosa regola del Marketing, che nel primo incontro ci si gioca l’attenzione dell’interlocutore totalmente nei tre secondi di impatto iniziale, la regola si chiama "tre minuti per tre secondi", e sta ad indicare che se giocheremo bene le nostre carte nei primi tre secondi, allora avremo ottenuto l’attenzione totale e concentrata del soggetto per i successivi tre minuti, che non sono poi molti, ma sufficienti per convincerlo del nostro potenziale, se saremo bravi, ma senza nemmeno quei tre minuti, non avremmo assolutamente nessun’ altra chanche.

Ora rapportato al nostro caso, l’invio di un manoscritto a una casa editrice, cos’è che impatta l’interlocutore nei primi tre secondi e che spesso sottovalutiamo miseramente nell’ evoluzione del nostro lavoro letterario?

Qual’è la prima cosa che un editore nota, sfilando il manoscritto dalla busta, prima ancora del contenuto, della firma, del numero di pagine, dello stile, o della presentazione grafica?

Il Titolo.
Quelle misere tre o quattro parole che stanno normalmente in cima al foglio, ma non altrettanto in cima ai nostri pensieri o alle nostre priorità, ma che possono fare in un battito di ciglia la differenza tra vincere o perdere.

Pensateci, cos’è che nota un lettore distratto a zonzo tra gli scaffali di una libreria, cos’è che lo induce a comprare o non comprare, cos’è che può catturare o non catturare la sua attenzione?

Il Titolo.
Un titolo ben scelto è da solo la metà di un buon successo.

Ora naturalmente non sta a me suggerirvi quale potrebbe essere un titolo adatto per il vostro romanzo, ma sono qui a dirvi di porre attenzione nella scelta, di dedicarci tutto il tempo necessario, quello che occorre insomma per identificare un titolo giusto, di sicuro impatto e di indubbia efficacia.

Volendo esaminare i consigli degli esperti vi posso informare che è da loro ritenuta pessima cosa intitolare un lavoro, prima di averlo terminato. Per contro conosco invece scrittori constituzionalmente incapaci di scrivere anche una sola misera riga se non hanno un bel titolo centrato in mezzo alla pagina. La soluzione, come per tutte le cose, sta in "media res", la cosa migliore decisamente è scegliere un titolo provvisorio sul quale lavorare poi di cesello una volta terminato il romanzo. Potreste poi accorgervi che il titolo era comunque perfetto, o che invece va sostituito od affinato, o centrato meglio rispetto all’argomento.

Ma vediamo cosa ci offre il panorama letterario in materia.

Nell’ Ottocento andavano per la maggiore titoli esaustivi, che spiegassero per esteso lo scopo e l’argomento dell’opera, tipo "Le Memorie del Colonnello XXX", "Vita del Conte di YYY", "I viaggi di Gulliver", "Memorie di un Capitano di Lungo Corso" e via così. Troviamo un loro corrispondente nel contemporaneo "La vera storia di Marianna Ucria" di Dacia Maraini, che comunque è un titolo accattivante, che costringe il vostro interlocutore a porsi tutta una serie di domande. Tipo: chi è Marianna Ucria? la vera storia? ma allora esistono diverse versioni, allora c’è un mistero, quale sarà la verità?… Insomma come vedete è un titolo come si dice "aperto". Stesso esempio per il moderno "Il senso di Smilla per la neve" di Peter Hoeg, che affascina e cattura, ponendo interrogativi irrisolti, tipo chi è Smilla, cos’è il senso per la neve, e che effetto potrebbe fare il possederlo, e di che nazionalità può mai essere una che si chiama Smilla, e molto altro ancora, ma ormai il libro l’abbiamo già comprato e anzi siamo a metà della lettura, tutti presi a risolvere i nostri dubbi.

La stessa Maraini poi usa altri tipi di titoli, questa volta chiusi, in altre opere, "Isolina" e "Bagheria" sono due titoli secchi, non dicono niente in pratica, ma coinvolgono comunque proprio per questo. Chi legge si chiede, Isolina, Isolina, chi mai sarà? cosa le sarà accaduto? chi era? da dove veniva? …Bagheria? Che nome insolito, sarà un posto o una persona, o forse un piatto tipico regionale come le lasagne? Oppure un vino dolce come il Moscato? Magari rosso… E via altro libro comprato.

Parlando di titoli prettamente promozionali, pubblicistici, da vero intenditore della comunicazione non possiamo non accennare a Baricco, i suoi "Seta", "Oceano Mare", "Castelli di Rabbia" e "Senza Sangue" sono veri capolavori dell’arte pubblicitaria. Catturano, avvolgono, incuriosiscono, sono brevi, musicali e intriganti come serpenti tentatori.

Come musicalità non possiamo non citare Hemingway, "Fiesta", "Per Chi Suona La Campana", "Il Vecchio e il Mare", "Addio alle Armi", "Isole nella Corrente" sono titoli che cantano da soli, una poesia che vive di vita propria già in quelle poche righe iniziali stampate sopra la copertina.

Ci sono poi tutta una serie di titoli, come dire, melliflui, che possono variare da "Cento colpi di spazzola" a "Và dove ti porta il cuore" fino a "Le parole che non ti ho mai detto", che in una sola frase cercano di focalizzare l’intero contenuto del romanzo, e di solito ci riescono piuttosto efficacemente.

Autori avventurosi tipo Clyve Russell, o Wilburn Smith, come anche Connelly e Grisham, preferiscono titoli secchi, a una o due parole, tipo "Cobra", "Stirpe di Uomini", "Il Cliente", "Il Socio", "Il Poeta", "Lo Sciacallo", etc etc, particolarmente adatti al loro tipo di narrazione perchè evocano atmosfera e suggeriscono mistero, particolarmente potenti ed incisivi, ed è il caso anche di alcuni titoli di Stephen King, "Il Miglio Verde", "It" e molti altri della sua produzione, anzi quasi tutti.

Autori particolarmente convinti della forza del loro personaggio hanno preferito da sempre incentrare il titolo sul nome del protagonista, "Il Sire di Ballantree", "Moll Flanders", "Madame Bovary", "La Signora delle Camelie", "Il Conte di Montecristo", "Jane Eyre", "Il Grande Gatsby", "La Sposa di Lammermoor".

Altri, come Stendhal, usavano titoli altamente suggestivi, giocati a contrasto, quali potrebbero essere "Il Rosso e Il Nero", "Il Nome della Rosa", "Giallo Parma", "La Fiera delle Vanità", "Sangue e Arena", "Nero di Londra"

Le scelte possono essere davvero vastissime, l’importante è che il titolo non sia eccessivamente lungo, che sia evocativo e potente, e che abbia soprattutto attinenza con la narrazione.

Somerset Maugham intitolò un suo capolavoro "Il Drappo Dipinto", titolo che viene in realtà compreso solo all’ultima pagina del romanzo, ma in ogni caso vibrante di alta sonorità. Se cos’ non fosse stato sarebbe stato un titolo sbagliato, perchè la sua comprensione è difficile, e spesso sfugge, lo ha salvato la musicalità e la potenza secca che da sole ne fanno un titolo adatto per quel tipo di romanzo.

Nei romanzi di azione poi ci sono tutta una serie di titoli veloci, incalzanti, che da soli danno l’idea dello scorrere delle immagini di un film, come "Doppio Delitto", "Post Mortem", "Presunto Innocente", "Denaro Sporco", "Ultima Analisi", "Sangue Innocente" e svariati miliardi di altri. Il che dimostra che è sì un meccanismo collaudato, ma anche un tantino abusato.

Verificate poi con estrema attenzione che non esistano, soprattutto tra i classici o tra i bestsellers recenti, titoli assonanti, simili o assimilabili, per non dare l’idea di una forzata ispirazione, altrimenti denominata copia, o imitazione.

Evitate per tanto titoli tipo "Vai col Vento", "Il Bianco e Nero", "La Certosa di Piacenza", "Presunto Colpevole", "La Fiera delle Libertà", " Mare e Oceano" e altri simili disastri. Al cinema l’anno scorso per esempio è uscito "Master e Commander", quando un film simile marinaresco era già a suo tempo stato intitolato "Brave e Commander", vedete da voi che brutto effetto fa.

Per il resto immedesimatevi in colui che legge, fingete di girare tra gli scaffali di una libreria, cercate di pensare a quale titolo potrebbe colpire la vostra attenzione, provate a stamparlo in mezzo alla pagina, e a vedere che effetto vi fa, ripetetelo ad alta voce, provate e riprovate, fino a che non sarete certi che l’abito che state indossando sia quello assolutamente più adatto per l’occasione.

E, come quando state per andare a una festa importante, non uscite mai di casa se non siete certi, anzi certissimi, di essere pronti, meglio un pò di ritardo, che una partenza affrettata e quindi bruciata.

Gli editori non scappano, mentre siete voi che spesso avete una sola occasione, giocatevela bene, al massimo delle vostre possibilità, non abbiate fretta, fate tutto con la massima calma, e agite quando siete sicuri che ogni minimo dettaglio sia assolutamente perfetto, e quando lo fate, credeteci: siete voi l’anima della festa, e se per primi non ci credete voi, chi vi crederà?

E come diceva Patricia Highsmith, se riuscite a divertirvi per tutto il tempo che scrivere un romanzo richiede, siete già un passo avanti, tutto il resto verrà dopo, e se avete scritto per voi stessi, prima che per gli altri, potete stare certi che verrà.

Sabina Marchesi

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