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Terra Rossa

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Terrarossa
Parte Terza

Filine incontra Rejtiel

Sempre più caldo, quel cazzo di autunno di Meralba. Gli uomini che la possedevano, adesso, erano bestioni sudati e puzzolenti, e la cosa non era per niente piacevole. Preferiva tirarla per le lunghe, adesso. Finito il sesso, cercava di far due chiacchiere, di scambiare due parole prima di andarsi a lavare per scendere alla taverna e rimorchiarne un altro.
Comunque.
Era ora di andare.
Non ebbe bisogno di aspettare molto. Era un bel ragazzo che le si era avvicinato stavolta a metà di una birra. Era un biondo dall’aspetto nordico, alto e snello. Le sorrise dapprima senza dire niente, ma insistendo con il suo sorriso finchè pure lei fu costretta a ridacchiare.
– Che c’è di così divertente?
– Niente. Solo che sei molto bella. Mi metti allegria. – Accento straniero.
– Bene. Ti ringrazio. Allora sorridi pure. Da dove vieni, straniero?
– Da Nord, oltre la Terra Rossa.
Filine s’irrigidì.
– Sono fuggito da là, non è più posto per me. Un pazzo sta unendo tutto il nord per le sue ambizioni.
Filine si rilassò.
– Davvero? Non ne sapevo nulla. E adesso?
– Adesso sto cercando di rifarmi una vita qui al Sud. Ma non so bene da che parte cominciare.
– Sei solo?
Sorrise, l’uomo, mentre rispondeva di sì.
– Ma forse tu mi puoi aiutare…

Una mezz’ora più tardi, i due se ne stavano nella camera di Filine, nel vecchio palazzo vicino alla taverna. Le sigarette bruciavano il doppio nell’intenso caldo della stanza, oppressi da un caldo che passava qualsiasi persiana chiusa, qualsiasi ventaglio, qualsiasi bevanda fresca. Il caldo strano dello spegnersi di una passione.
– Hai qualche idea su quel che vuoi fare, Reitjel? – partì Filine, nel tentativo di trattenerlo un po’ di più.
L’uomo sbuffò e sollevò gli angoli delle sue belle labbra rosse.
– A dire la verità, no. Non ho fatto molti mestieri. Ma vorrà dire che imparerò qualcosa di nuovo.
– Su quello, qui a Meralba puoi stare tranquillo. Lavoro ce n’è per tutti.
Filine stava in piedi, vicino alla finestra, cercando disperatamente un filo d’aria fresca; l’uomo giaceva ancora svestito sul letto, su lenzuola fradicie di sudore.
– E con tutti i lavori che ci sono, come mai tu…
Filine lo guardò sorridendo senza cattiveria. Era circa la milionesima volta che rispondeva a una domanda del genere.
– Era il più facile. Quando avrò fatto abbastanza soldi, mi comprerò un bel terreno e un po’ di cavalli e metterò su un allevamento, oppure no, che ne so, andrò in un’altra città e troverò un mestiere decente intanto che mi prendo la mia parte di divertimento nella vita.
L’uomo posò le gambe sul tappeto, muovendosi sinuosamente. Filine dovette ammettere a se stessa che questo era uno dei pochi uomini veramente decenti che le fosse mai capitato. La ragazza lo guardò ancora, lo squadrò, con un sorriso e uno sguardo irresistibili. L’uomo rispose al sorriso, poi si avvicinò senza dire altro, e la baciò sul viso, poi la spinse contro il muro, e se la prese ancora. E per la prima volta dopo molto tempo e molte sudate e molte finte grida, questa volta a Filine piacque. Davvero.
Un uomo fatica a capire l’essenza dell’unità tra i sentimenti e il piacere fisico che si riscontra in molte donne. Una bella scopata, come la definirebbe un uomo, è sempre qualcosa di più per una donna: è un momento in cui ti senti amata e desiderata tanto da far perdere la testa a chi ti sta amando, e il piacere che provi è direttamente collegato a una sensazione di felicità, di tenerezza, di qualcuno vicino. Non ha un inizio né una fine netti, inizia dai primi teneri baci e dalle prime carezze giù in strada, poi prosegue con i sorrisi maliziosi e le risatine nervose, cresce nell’amplesso e se sei fortunata riesci pure a venire, e ondeggia intorno e dentro al tuo corpo per ancora diverso tempo.
Filine si sentiva felice, meno sola del solito insieme a quest’uomo che la faceva stare bene, che la faceva godere. Sì sentì davvero meno sola, mentre l’uomo spingeva dentro di lei dolcemente, a lungo, contro il muro, tanto che poi lo spinse quasi sul letto, lo stese e gli montò sopra a cavalcioni e decise di darci dentro lei, adesso, per ripagarlo. Ragazzo fortunato. Filine è già una bomba normalmente, ma quando ci si mette davvero di impegno ti fa morire. Tefa Saskjevic lo sa bene.
Un uomo del Nord e una ragazza del Sud, quella notte, se la spassarono un mondo.

In viaggio per Holye Nan

Il mare che ti porta lontano. Questa incredibile via da terra a terra. Stiamo parlando di oceani immensi che ci viaggi per giorni e non ne vedi la fine, di passare cosi’ tanto tempo lontano dalla terra da farti dimenticare com’e’ fatta, com’è il volto di una persona del passato. Stiamo parlando di colori tanto intensi da farti male agli occhi, e di un silenzio notturno come una coperta che ti soffoca, con piccoli spiragli di luce e d’aria che sono le stelle. Stiamo parlando di non essere mai davvero fermi. Il mare e’ il primo passo se vuoi davvero andare lontano.
Louis sapeva bene cosa vuol dire andar lontano, cosa vuol dire andare cosi’ lontano da perderne il controllo, essere davvero tanto altrove che la distanza da casa perde di significato, e a quel punto tanto vale andare oltre. Era rimasto via per mesi talvolta da solo o talvolta con gente incontrata lungo il tragitto, aveva camminato per giorni senza incontrare essere umano. Aveva viaggiato con tutta la sua vita dentro il cuore, tutta la sua vita li’ con lui nel suo scarno bagaglio rendendosi conto che questo e’ l’unico modo sincero di viaggiare, quando tutto e’ li’ con te e non sai nemmeno bene quando cambierai direzione e tornerai in luoghi conosciuti. Louis De La Manon aveva la propria patria nella borsa da viaggio. Non altrove.
Intanto, il mare continuava a scorrere invisibile sotto di loro.
Eppure le navi non mi sono mai piaciute, penso’ Louis. Sono cosi’ piccole e mi sembra che mi tengano ingabbiato. A me piace camminare a lungo, muovere le gambe mentre osservo intorno, non riesco a godermi lo spettacolo se devo restare immobile. Quante migliaia di chilometri avro’ fatto in vita mia camminando in giro per il mondo? Quanto sangue e’ corso su e giu’ per le mie cosce?
Alcuni solitari rapaci notturni si facevano appena vedere sullo sfondo scuro senza stelle di quella notte. Non c’era nemmeno un cielo sereno per rendere meno pesante quel viaggio circondato di ogni genere di cupo presentimento. C’erano la paura, il disagio, il disorientamento come dopo molto tempo senza dormire, in cui tutto ti sembra assumere spigoli piu’ pericolosi, in cui perdi ogni nozione della morbidezza del mondo. Gli sembrava che con quella missione qualcuno l’avesse condannato a non dormire piu’.
E lui che sapeva addormentarsi su ogni terreno, freddo o caldo o bagnato o scomodo che fosse, senti’ un peso che non aveva mai sentito prima. Non erano i chilometri, non era la scomodita’, penso illuminato all’improvviso. Era l’obiettivo. Raramente nel corso dei suoi viaggi il suo obiettivo era stato cosi’ perfettamente e nitidamente delineato come adesso. A dirla cosi’, sembrava una buona cosa, ma quello che sentiva era diverso. Capi’ il perche’ dopo un breve ragionamento. E’ che avere un obiettivo cosi’ preciso distoglie tutta la tua attenzione dai dettagli del viaggio. Invece che godere di quello che ti succede intorno, delle cose nuove che vedi e che ti abbracciano, sei talmente rapito da questo enorme e ingombrante pensiero che del viaggio ti rimane solo il nero, le cose negative, l’incertezza.
E allora provo’ a scuotersi. A smetterla di preoccuparsi e di guardarsi in giro. Cerco’ gabbiani, volatili vari, increspature significative, nuvole colorate. Ma poi si arrese. Non c’era davvero niente.
Stiamo andando davvero lontano questa volta, caro Louis -, si disse rumoroso nel silenzio della notte.
Tefa senti’, ma non intervenne. Era poco distante ma aveva fatto in modo di non essere notato. Guardava altrove, rivendicava con forza la propria solitudine, e impreco’ mentalmente contro Louis, che aveva questa pessima abitudine di parlare da solo, o perlomeno di esprimere i propri pensieri a voce alta. Tefa era stato poco per mare, e non ci aveva mai dormito: in queste notti a bordo era rimasto estasiato dal silenzio talmente vasto e insistente da intimorire. Un posto perfetto. Un silenzio perfetto.
Solo il silenzio sa esprimere davvero la perfezione, penso’ Tefa concludendo una delle riflessioni filosofiche piu’ profonde che avesse mai fatto. Un silenzio come quello non ha difetti, non esprime nulla, non toglie nulla. Rimane li’ sospeso e ti toglie il fiato.
Continuo’ a rimanere in silenzio.

Il viaggio percorse tranquillo. Luc Cherbin racconto’ loro tutto cio’ che sapeva di Cimaron e del suo esercito, poi parlo’ loro del Nord del continente, delle loro abitudini, dei loro dialetti. Louis gia’ ne conosceva alcuni, con Luc Cherbin ripasso’ quello che probabilmente veniva parlato al castello di Cimaron.
Tefa non partecipava, il suo compito non sarebbe stato quello di parlare. Lui faceva ginnastica quasi tutto il giorno. Era un tipo particolare di ginnastica in cui cercava di rendersi piu’ veloce, non piu’ robusto: afferrare cose che cadevano, voltarsi rapidamente in ogni direzione, cadere e rialzarsi rapidamente, riuscire a combattere senza rimanere mai nello stesso punto. Non lo faceva perche’ tenesse al proprio fisico, ma perche’ teneva al proprio lavoro. La sua serie di esercizi era personalizzata, creata in base all’esperienza e "rubando" esercizi interessanti quando li vedeva. Alcuni nuovi gli furono insegnati durante il viaggio da Luc Cherbin, che come allievo di Alexi aveva tra le altre cose una ottima preparazione marziale.
Tra dialetti e finte di corpo, il mare sotto di loro li accompagno’ a destinazione.
– Ecco il porto di Holye Nan, laggiu’ dove ci sono quelle luci – disse Luc dopo averli chiamati. – Andate a prepararvi.

Il porto di Holye Nan


Quasi il tramonto, quasi finito quest’altro giorno del cazzo qui a Holye Nan.
C’e’ un posto affollato vicino al porto stasera, ci sono tanti posti a dire la verita’ vicino al porto ma la maggior parte sono o chiusi o vuoti – e’ la miseria che fa la differenza, e adesso che il periodo non e’ dei migliori solo un’osteria rimane aperta e piena, senza troppa allegria, ma il vino e la birra continuano a scorrere. I marinai sono quasi tutti li’, quelli che non hanno una famiglia da tenere d’occhio o che non ne hanno molta cura, quelli che non hanno ceduto al sonno o alla depressione, insomma i veri marinai sono tutti li’. Dopo se ne andranno, molti di loro andranno a dormire sulle loro imbarcazioni inutili con i loro mantelli pesanti, perche’ il vero marinaio dorme sempre sulla sua barca, vestito pesante anche se fa caldo.
Il porto e’ tranquillo come questi marinai, gente cosi’, fluida, che accetta l’acqua come una forza non controllabile e poi usa lo stesso atteggiamento nei confronti della vita. Cimaron non ha fatto nessuna fatica a occupare il porto. Che reazione vuoi che ci sia? Le vite passano e il mare e’ sempre quello, un porto non cambia, ci sono momenti in cui hai bisogno di trovare gli amici e bere qualcosa insieme per non pensare alle sventure in corso, ci sono momenti in cui tutto va bene, il commercio funziona e allora ti trovi con gli amici a festeggiare, ogni tanto ti fermi a ricordare una sventura passata, un amico perso che l’ha guadagnato il mare, una donna andata che l’ha guadagnata qualcun altro. Ma rimani felice di esserci, forse felice e’ una parola grossa, diciamo orgoglioso. Con la coscienza a posto.
E cosi’ va tutto bene anche se tutto e’ fermo, anche se il porto sembra finto adesso che tutto e’ congelato, solo un ricordino per turisti, adesso che ogni giorno sembra uno di quei giorni di festa grande quando nessuno lavora, quando ci si limita a qualche lavoretto di riparazione, verniciare, inchiodare un asse che capricciosa si vuole liberare, pulire il cesso che rimane sempre in giro – non e’ l’odore il problema, quello chi lo sente piu’?
Cosi’ va tutto bene anche se e’ un periodo di merda e Holye Nan non sembra piu’ la stessa. Perche’ gli uomini potenti sono tanto coglioni? Perche’ non ci lasciano fare il nostro lavoro? La preoccupazione e’ ancora sottile, ci sono altre cose da fare, altri modi di guadagnarsi da vivere, ma guarda che occhi stanchi, guarda che facce strane, se vuoi vedere un uomo davvero infelice guarda un marinaio che non puo’ andar per mare.
I commercianti non ci sono, nemmeno i piu’ allegri, nemmeno i piu’ giovani. Loro si’ che sono incazzati, loro si’ che stanno pensando e pensando con pensieri cosi’ grigi che sembrano decolorare il sole, loro si’ che non sanno piu’ dove sbattere la testa e si chiedono per quanto tempo ancora questo folle ha intenzione di rovinare le loro oneste esistenze. Passeggiano inquieti nelle proprie stanze, come animali in gabbia, guardano dalla finestra come in cerca di un’ispirazione, ecco le luci la’ nell’osteria di Nalici, beati voi che vi godete il riposo obbligato, bastardi, che avete da perdere? Non come noi qui padroni di tutta questa materia inutile, santo cielo, viene voglia di convertirsi e andare a fare i monaci quando queste ingiustizie ti bloccano cosi’ l’esistenza. Santo cielo…
…aspetta un momento…
…e’ una nave, quella? Una nave? Una nave! Chi e’ quel pazzo che arriva a quest’ora di sera nel nostro porticciolo? Oh, scendete! Oh, eccoli la’ i curiosi che escono dall’osteria! Arriveranno buone notizie? Saranno i guerrieri del sud? Ah, non mi sembra una nave guerriera… naaa, quelli li’ hanno perso la rotta. Ed ecco anche le guardie di Cimaron che vanno a rompere subito i coglioni. Mi dispiace, ragazzi, non sara’ un’accoglienza proverbiale…

Le guardie, un drappello composto da sei personaggi armati di lunghe spade, si spinsero fino all’estremita’ del molo per vedere meglio l’imbarcazione. Comune nave mercantile, nessuna arma in vista, una bandiera di una delle compagnie del sud. La nave era ferma a un centinaio di metri dall’estremita’ del molo. Una scialuppa venne calata a mare e si avvio’ verso il porto con a bordo quattro o cinque uomini.
– Questi devono essersi persi qualcosa – scherzo’ una delle guardie verso le altre, che ridacchiano.
– Preparate le armi – lo riprese un altro – chi ha il fucile?
– Io – rispose uno degli uomini, armeggiando con le mani sulla schiena.
– Appostati li’ e tieni sotto tiro chiunque si avvicini.
– Agli ordini, capo.
E poi per qualche infinito istante nessuno parlo’.
"Chi cazzo sono questi?", pensavano all’unisono le guardie, il loro capo, i pescatori che si erano avvicinati, gli armatori dalle loro finestre riscaldate. La domanda risuonava nell’aria piu’ intensa del freddo, come uno sbuffo di certe nuvole basse quando sei in altitudine. La domanda risuonava gia’ nelle orecchie di Luc Cherbin, che doveva improvvisarsi attore di successo per tranquillizzare il popolo straniero con gli occhi sgranati e/o feroci.
La scialuppa era ormai a una ventina di metri dal molo quando il grande capo delle guardie si decise ad affrontare lo spinoso argomento.
– Fermi li’. Chi siete? – declamo’ nel silenzio generale.
– Mercanti, amico – rispose Luc che stava in piedi all’estremita’ della scialuppa.
– Mercanti… – ripete’ pensieroso l’altro. – Non vi aspettavamo.
– Be’, mi sarei stupito del contrario. Non avete molto traffico ultimamente, vero?
– Non molto. Ma ci sono dei buoni motivi per cui le navi non arrivano piu’ qua. E voi, per quale motivo avete ignorato questi motivi?
La scialuppa si era fermata a non piu’ di dieci metri dal molo.
– Perche’ siamo mercanti coraggiosi – continuo’ Luc, cercando di dare un tono meno teso alla conversazione. – E poi, sapete, ci sono alcuni al sud che pagano molto bene per avere cose che normalmente non si possono avere.
Il capo delle guardie ebbe una intuizione.
– Siete contrabbandieri.
– Solo per via delle circostanze.
– Non mi vanno molto a genio i contrabbandieri – disse il capo delle guardie, e l’uomo con il fucile si abbasso’ per prendere la mira.
– Ehi, non avete niente da perdere – s’affretto a precisare Luc. – Se proprio non e’ possibile ottenere qualcosa, gireremo la nave e torneremo indietro. Ma ricordatevi che anche i ricchi fumano tabacco, e sono disposti a pagarlo molto di piu’ del normale. Ovviamente, chiunque ci aiutera’ nel nostro commercio sara’ ricompensato adeguatamente.
– Be’, questo e’ il minimo – disse l’altro. – Ma adesso e’ troppo tardi per le trattative. Ne parleremo domani mattina. Tornate sulla nave.
– Come? E non ci fate nemmeno scendere a bere un bicchiere?
– No. E state tranquilli sulla nave, o vi faccio sparare una cannonata.
– Accidenti, ma che accoglienza e’ questa?
– E’ l’accoglienza di un paese in guerra – concluse la guardia allontanandosi.
Luc Cherbin, capendo che ogni ulteriore insistenza sarebbe risultata rischiosa, fece girare la scialuppa. Quando ormai davano le spalle alle guardie, si permise di sorridere. Non era andata diversamente da quanto previsto.

Perche’ prima di avvicinarsi alla luce ed alla vista del porto, la scialuppa aveva silenziosamente e discretamente scaricato in acqua due pesanti fardelli. Tefa Saskjevic e Louis De La Manon. Che approfittando della chiacchierata di Luc e dell’attenzione dell’intero porto concentrata sulla scialuppa, avevano rapidamente raggiunto un angolo oscuro tra i moli e intravisto una via tra i vicoli che li potesse portare rapidamente all’esterno di Holye Nan.
Fortunatamente, il sistema difensivo delle guardie di Holye Nan era esattamente quello che ci si sarebbe aspettato: massima attenzione a che nessuno arrivasse o fuggisse per via marina, ma poca per chi entrava o usciva dalla citta’ verso l’entroterra. C’erano ampie zone periferiche non custodite, e i due riuscirono presto a lasciare le case e nascondersi in un bosco vicino.
– Direi che il primo passo e’ stato fatto – sospiro’ Louis.
– Temo che non li lasceranno nemmeno scendere. – rispose Tefa.
– Non lo so. Alla luce del giorno tutto sembra migliore. Magari gli daranno piu’ fiducia. Noi aspettiamo qui fino a domani come convenuto. Se riescono a mandarci il resto del materiale bene. Altrimenti ci arrangeremo.
Tefa e Louis trovarono un nascondiglio, lo resero ancora piu’ nascosto, ci sparirono dentro e attesero l’alba. Strano a dirsi, non dormirono un granche’.

Alessandro Zanardi (CONTINUA)

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