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La Ciotola Tibetana

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Strumenti Musicali Nel Mondo
LA CIOTOLA TIBETANA

Un giorno l’amica poetessa Maria Grazia di Corso venne a trovarmi. Stava dando alle stampe la silloge "Disabitazioni d’acqua" a cui avevo appena scritto la prefazione. Aveva portato con sé alcuni strumenti musicali etnici di cui mi aveva parlato, e per i quali mi ero entusiasmato e incuriosito. Il rombo di tuono e la ciotola tibetana in particolare. Mi mostrò come suonarli. Quando mi porse il mazzuolo e la ciotola di bronzo, o Tibetan Singing Bowl, strumento sacro in Tibet, mi avvisò: "In Tibet si dice che chi riesca a farla suonare subito sia una persona…". Non riporto l’aggettivo perché, essendo riuscito da subito a farla suonare e risonare tornerebbe un vanto di pessimo gusto. E poi, non vi credo. Mi schermii: "Va be’, dai, qualunque musicista vi riuscirebbe. Coi musicisti il detto non vale".
Suonare questo strumento, più che musicale, di meditazione, è un’esperienza rilassante: invita alla calma e alla meditazione. Bisogna darsi tempo e spazio per dedicarcisi. Quando si torna a casa stressati e carichi di energie negative, ci si può ritagliare del tempo, sedere per terra su un tappeto o su una sedia, non importa. Prima, però, è meglio escludere la suoneria del telefono, spegnere il cellulare, creare quindi la giusta atmosfera rilassante (silenzio, penombra, incensi o qualunque altra cosa vi ispiri una tranquillità d’ambiente). Chi ha qualche nozione di yoga può sedere preferibilmente in padmasana (la famosa posizione del loto), in siddhasana (la posizione perfetta) o in quella del fulmine (vajrasana). Chi non ha dimestichezza invece con le asana, può sedersi in qualunque modo, purché trovi la posizione più comoda. Ci si deve sentire a proprio agio. Si tiene la ciotola per un po’ nella coppa delle due mani, per sentirne e saggiarne peso e temperatura, la consistenza del bronzo. Ci si concentra sul proprio respiro. Ogni volta che si presta consapevolezza al respiro, il nostro respiro cambia: si fa più lento e profondo. E questo, di per sé, è già motivo di rilassamento (come nello yoga e nel training autogeno). Si appoggia la ciotola sul palmo o sulla dita di una sola mano, oppure sul pavimento (quelle più grandi e pesanti, ovviamente). Bisogna evitare di toccare i bordi, perché questo ne impedirebbe o sporcherebbe la vibrazione e il suono. La si percuote gentilmente con il mazzuolo di legno che si fa quindi girare intorno alla ciotola, sfregando il bordo con continuità in senso circolare (v. illustrazioni). La mano dev’essere ferma, rilassata, la pressione esercitata costante. Si va avanti così, lentamente. Non è la velocità che produce il suono, anzi. Più si va veloci, meno si crea la frizione che lo genera. Suono più acuto per le piccole ciotole, più grave se le ciotole sono grandi. Suono cristallino, etereo, continuo, affascinante, come una risonanza bronzea di campana senza più il tocco del battaglio, o una glass armonica, capace di indurre un riposante stato di contemplazione e semitrance.

Se cercate delle incisioni discografiche dove la ciotola tibetana sia protagonista, consiglio quelle dell’ex batterista dei Grateful Dead Micky Hart, ora percussionista tra i maggiori collezionisti ed esecutori di percussioni tibetane, specialmente campane e campanelle di ogni sorta. Con Henry Wolff e Nancy Hennings ha inciso l’album "Yamantaka". Altro bell’esempio di ciotole tibetane è in "Nada Himalaya" del compositore tedesco Deuter, dall’album omonimo. Od anche "Nine layers of Illusion" di Ann Vancoillie & Guido Martens (2000) della piccola label belga "Highgate". Nessuno finora aveva mai accoppiato le corde di un violino agli armonici delle tibetan singing bowl: ci hanno provato, con strani risultati, questi due artisti, generando una musica ampiamente improvvisata e di grande spessore, meditativa e rituale al tempo stesso. Le corde del violino, pizzicate e strofinate, forniscono lo scheletro principale del suono, ora nervoso, ora assorto, ora rarefatto; si aggiungono piccoli interventi vocali e le risonanze tipiche del metallo delle ciotole tibetane, che estendono e arricchiscono l’esperienza sonora. Per tutti gli album consigliati, siamo in ogni caso in una zona di non facile digeribilità e poco definibile della musica contemporanea, direi ai confini della sperimentazione oggi possibile, soprattutto pensando alle caratteristiche degli strumenti usati.

Davide Riccio

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