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Il Didgeridoo

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Strumenti Musicali Nel Mondo
IL DIDGERIDOO
uno strumento musicale è l’emblema
degli aborigeni australiani nel mondo

Didgeridoo o didgeridù è una parola di origine onomatopeica con la quale in Occidente si designa l’antico strumento a fiato originario dell’Australia settentrionale, ricavato da rami di giovane eucalipto e svuotato all’interno dalle termiti, ghiotte del midollo. Scortecciato e rifinito, lo strumento viene poi decorato con pitture tradizionali che richiamano la mitologia aborigena. In madrepatria lo strumento è indicato invece con almeno cinquanta nomi diversi, a seconda delle etnie: dadjalupu, djubini, ganbag, gamalag, ihambilgbilg (iham = "lingua"), maluk, yiraga ("gola"), yiraki ("gola dell’emù"), yidaky e così via. Per lo più si tratta di termini connessi agli organi umani di fonazione, come se il didjeridoo ne fosse uno strumento di estensione. Il didgeridoo è sicuramente lo strumento musicale più antico arrivato fino a noi praticamente immutato, avendo almeno 15.000 anni! Già questo gli conferisce un fascino senza uguali. Gli aborigeni hanno invece una storia documentata di oltre 40.000 anni.
Altro fascino gli deriva dal fatto di essere uno strumento musicale creato senza alcuna tecnica di modificazione del tronco originariamente svuotato dalle termiti. Oltre a ripulirlo esternamente, gli aborigeni si limitano ad aggiungere della cera per ammorbidire l’appoggio delle labbra sull’imboccatura e a decorarne la superficie visibile con colori naturali, come ocra rossa e gialla, argilla bianca o polvere di carbone, gli stessi usati per dipingere i corpi nel corso dei loro cerimoniali. Tra le figure mitologiche riprodotte sugli strumenti sono preponderanti quelle collegate al "Tempo del sogno" quali i Wondjina, dai corpi allungati, con volti senza bocca e cerchiati di rosso, ed altre figure filiformi di spiriti.
Il didjeridoo appartiene alla categoria degli aerofoni ad ancia labiale. Si tratta di un tubo leggermente conico di lunghezza variabile, da un metro a un due metri e mezzo, la sua espansione conica va dai 4 ai 10 cm. Esistono tuttavia didgeridoo usati in riti particolari che arrivano ai 3,70 mt e a un diametro interno di 15 cm. Si suona da seduti o in piedi (dipende dalla sua lunghezza), appoggiando a terra l’estremità inferiore da cui esce il suono.
Nella musica tradizionale aborigena lo strumento è suonato da un uomo, che soffia vigorosamente alla sua imboccatura sfruttando la vibrazione delle labbra. Il didgeridoo accompagna il canto e la danza ed è usato sia in cerimonie pubbliche, sia nelle canzoni dei diversi clan e nelle canzoni d’intrattenimento.
Lo strumento produce una sola nota fondamentale data dalle labbra messe in vibrazione dalla colonna d’aria prodotta con l’espirazione. La nota dipende dalle dimensioni: può essere un mi, un re, un si bemolle e così via. Oltre alla nota fondamentale, nel didjeridoo si può ricavare una serie di armonici (od overtones). Non solo le labbra, per suonare il didjeridoo si usano anche le corde vocali, poiché lo strumento amplifica sillabe o parole intere che vengono pronunciate sovrapponendosi alla produzione della nota fondamentale. Gli aborigeni lo utilizzano quindi come strumento a fiato, ma mentre soffiano pronunciano al tempo stesso parole, emettono suoni gutturali, mormorii, stridi, urla, falsetti, rumori, schiocchi, ritmiche eccetera, il tutto così amplificato dalla risonanza del suono della nota fondamentale che fa da bordone. Il didjeridoo può anche essere percosso con bastonicini e boomerang, divenendo allo stesso tempo strumento a fiato e a percussione. Nelle sue forme d’uso più complesse il suonatore, attraverso effetti di vario genere imita voci umane e di animali ed altri suoni della natura.
Sino a pochi decenni orsono il didjeridoo accompagnava narrazioni completamente immerse nella tradizione. Da qualche tempo il didjeridoo ha invece completamente cambiato il suo ruolo diventando un ambasciatore e un emblema della vita aborigena nel mondo. Il contatto con la musica occidentale ha dato luogo ad una sempre più ricca discografia dove il didjeridoo trova spazio nei diversi generi musicali, non solo nella New Age, ma anche nel rock e più in generale nel crossover (in "Live forever" di Midge Ure si amalgama a strumenti elettrici, celtici e al violino del sitarista indiano Shankar). La produzione musicale connessa al didjeridoo non si limita all’Australia, dove sono presenti gruppi rock o più tradizionali di fama internazionale come Goodwanaland, Yothu Yindi e Bugarigarra, quest’ultimo formato da Janawang, Garimba e il sempre più famoso suonatore di didjeridoo Wayne "Jowandhi" Barker, o semplicemente Jowandhi, ma si estende all’Europa e all’America dove il dijeridoo trova modalità di espressione che attraversano tecniche d’esecuzione occidentali e moderne e perfino di altre tradizioni, in una dimensione dove passato e presente si rispecchiano. In "Origins" di Steve Roach il didjeridoo si sposa perfettamente ad altri strumenti originali dei nativi d’America e loro modi musicali. Il didjeridoo sta vivendo un momento di forte espansione nella musica occidentale, ha sempre più estimatori fra i musicisti e i non-musicisti, e sempre più numerosi ne sono i collezionisti. Il suono grave del didjeridoo, la cui timbrica ricorda i canti dei monaci tibetani, il canto hoomi della Mongolia o il throat singing degli sciamani di Tuva, sembra senza tempo e, pur possedendo una fortissima connotazione geografica e identità sonora d’appartenenza, riesce a fondersi con ogni altro strumento, anche il più moderno (il suono del didjeridoo invero sembra un suono elettronico). Nel brano "From the land" dei Test Dept si confonde invece fra le cornamuse sostituendone il tipico bordone, quel tipico basso cupo e persistente di un solo suono usato per accompagnamento alla melodia. Molti musicisti celtici se ne sono appropriati. Gli sperimentatori Roberto Laneri (ex gruppo storico dei Prima Materia e dell’ensemble vocale di overtone singing In Forma di Cristalli) e Claudio Ricciardi ne hanno fatto un uso esemplare in "Inside Notes", dove insieme al prototipo-archetipo di tutti gli strumenti a fiato, ovvero il didjeridoo, si elevano i fraseggi di un clarinetto basso, o il canto armonico perturbante e profondo dei monaci tibetani.
E pensare che fino a una decade fa il didjeridoo era relegato all’attenzione di pochi etnomusicologi. Oggi sono in molti a volerne uno, per arredamento, oggetto da collezione o per provare a suonare qualcosa di semplice, ma che semplice lo è solo in apparenza. Il fatto che si debba soffiare una sola nota fondamentale non deve trarre in inganno. Il didgeridoo richiede molta più perizia del previsto. Per suonarlo è necessario raggiungere la padronanza della respirazione circolare, una tecnica che permette di tenere in tensione il suono dello strumento mentre si inspira. Il problema della continuità di suono è risolto attraverso la tecnica della respirazione circolare. Gli aborigeni hanno perfezionato questa tecnica dove frequenti piccole inspirazioni vengono effettuate attraverso il naso e simultaneamente una quota d’aria immagazzinata nelle guance opportunamente messa in pressione serve per produrre la nota fondamentale o gli armonici attraverso le labbra. Di più, i suonatori di didjeridoo aborigeni hanno sviluppato un preciso e inusuale sistema di controllo attraverso le guance, le labbra, la lingua e la respirazione per produrre un notevole numero di effetti.
Il didgeriddo viene anche utilizzato per fini terapeutici nelle cerimonie tribali di guarigione. La persona ammalata si distende a terra mentre il guaritore, soffiando nel didgeridoo ed invocando gli spiriti, fa risuonare la parte malata del paziente per provocarne la guarigione. In Occidente il suono grave, continuo e riposante del didjeridoo viene usato in musicoterapia: si ritiene che la nota di fondo crei benefiche vibrazioni propizie alla meditazione, al relax, alle tecniche antistress. Imparare a suonarlo, grazie alla tecnica particolare della respirazione circolare, permette invero maggiore capacità di controllo della respirazione. E sulla respirazione si basano in fondo tutte le tecniche antistress, dallo yoga al training autogeno.

Per saperne di più: www.didgeridoo.it

Davide Riccio

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