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Born to be wild

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Born to be wild

Nico esibiva orgoglioso una cicatrice sull’avambraccio destro alla piccola Ketty: un evidente fregio da lama che appariva come una virgola di carne tumefatta e rattrappita; lei, non sembrava affatto inorridita da quanto, stando sulla strada, ribadiva dure certezze per un selvaggio vivere. Ketty, con i suoi lineamenti da minuta ragazzina, finiva sempre col rannicchiarsi tra le possenti braccia di Nico, un muscoloso eroe da fumetto con cui condivideva i resti di una costruzione occupata. Era un luogo lontano e notoriamente malfamato dove, tra rifiuti e quant’altro, in un costante raffermo olezzo si guarniva qua e là il paesaggio di anfratti bui, silenziosi della sola desolazione rotta dallo scricchiolio di soffici tappeti di preservativi e siringhe in cui s’incorreva al passaggio. Nico, quella sera, si acquietò presto, nonostante il freddo, mentre, stanco, stringeva a sé le esili forme di Ketty, proprio in un angolo di quelle disfatte cavità in cemento armato; trattenendo ancora, con gli occhi socchiusi, il mozzicone della sigaretta: un moncone irto di cenere che, nel sopraggiungere del torpore, pendeva sempre più vistosamente dal labbro inferiore. Un vento, cupo e gelido, sussurrava le ultime parole non dette mentre loro, avvinghiati, caddero presto nell’agognato sonno intiepidendosi del calore dei soli corpi. La notte, a dire il vero, sembra non aver mai abbandonato certi posti…ma quella, oltre a un tempo da lupi, aveva il sapore di una disfatta stanchezza…Giorni su giorni consumati in un vivere ai margini, fatto di espedienti e furti ma anche di forzati digiuni ed altri intrugli: droghe sporche, di quelle con l’etichetta e che si trovano anche in farmacia. Più tardi, nel cuore delle tenebre (così come sarebbe opportuno dire solo se si vivesse, come loro, bivaccando in qualche sperduto ed informe tugurio all’inferno) al sibilo del vento si aggiunse il rombo più greve di una potente moto. Seguirono passi incerti, costellati di un vociferare alticcio; quello che, all’apparenza, parrebbe l’abituale andirivieni dei soliti quattro ubriaconi. Tutt’intorno il nulla, di tutti senza appartenere a nessuno: una terra senza regole e frontiere dove Nico e Ketty dormivano dividendo lo stesso spazio con tossici e prostitute durante il giorno. Non c’erano ragioni per venirsi a bucare come sorci rintanati durante la notte e, il clan delle nigeriane, si sa, la sera scende giù, sulla statale. Il rumore del motore tornò di nuovo a rombare e, subito dopo, si udì ancora la sola voce del vento. Nessuno, oltre la notte, sembrava presenziare ancora. Scorse in fretta quell’ultimo lasso di oscurità, di verosimile quiete, lasciando addentrare ancora i chiarori di un nuovo giorno, quasi a confortarci della presenza di un Dio persino in quel posto. Non si poteva dire che fosse ancora spuntato il sole quando una pattuglia della polizia costeggiò quella specie di fabbrica dimessa, l’agente Mazzi bloccò immediatamente l’auto richiamando l’attenzione del brigadiere sul del fumo, di quello nero, messo in risalto dal bagliore delle sottostanti fiamme che s’intravedevano dalla fessura di uno sfiatatoio. Il brigadiere Orlandi, senza indugiare, dette ordine a Mazzi di chiamare alla radio e, insieme al terzo agente che sedeva sul retro, non tardò un istante a discendere dal veicolo per dirigersi, nella dovuta cautela, ad effettuare un primo sopralluogo. Mazzi agguantò subito la radio comunicando coordinate ed eventi alla centrale poi, lanciando un altro sguardo attraverso il finestrino, afferrò una mela dal suo tascapane per morderla con un evidente senso di eccitazione. Sputò infine buona parte della buccia, ma solo dopo averla per un po’ nervosamente masticata, quindi tirò fuori un auricolare dalla tasca, socchiuse gli occhi sistemandoselo nel suo orecchio destro e, con determinazione, pigiò il dito sul sensore del play collocando il volume al massimo:
– Born to be wild!…- .

Enrico Pietrangeli

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